Dall’incipit della tesi:
Nell’ambito dell’organizzazione dello Stato italiano la Costituzione repubblicana coordina al principio democratico il principio della separazione e dell’equilibrio dei poteri, non solo attribuendo varie funzioni ad organi o a gruppi di organi diversi, ma altresì creando un sistema in cui più organi agiscono e reagiscono gli uni nei confronti degli altri e nel contempo cooperano vicendevolmente. Tale principio è stato applicato nel nostro ordinamento oltre che in senso verticale, anche in senso orizzontale-territoriale.
All’art.5 della Costituzione viene infatti proclamato che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali […]». E’ questa una affermazione importante, dalla quale possono trarsi due fondamentali principi che reggono il sistema delle autonomie territoriali del nostro ordinamento:
il principio di Unità e indivisibilità della Repubblica, che sovrasta l’intero sistema;
il principio di Autonomia, che costituisce la chiave di interpretazione della legislazione in materia.
Gli enti territoriali sono così chiamati proprio perché il loro elemento costitutivo è considerato essere il territorio ed essi sono: le Regioni, le Provincie, i Comuni, le Comunità Montane (e le «Città Metropolitane», previste dall’art.18 L. 142790, ma ad oggi rimaste sulla carta).
Il criterio residenziale, con cui tali enti vengono individuati, fa si che essi siano esponenziali delle rispettive comunità e portatori della generalità degli interessi propri di queste Comunità.
Solo le regioni però sono una novità costituzionale, in quanto Provincie e Comuni erano previsti nel nostro Ordinamento precedentemente al varo della Costituzione Repubblicana, essendo già individuati dall’art. 74 dello Statuto Albertino.
Questo non vuol peraltro significare che di Regioni non si sia mai parlato sino al 1948; anzi, il ruolo e la rilevanza da attribuire alle realtà regionali fu uno dei temi al centro del dibattito politico nell’Italia all’indomani della unificazione del regno.
Si pensi alla Commissione Farini del 1860, e si pensi inoltre ai tentativi del Crispi e poi del Di Rudini, datati rispettivamente 1891 e 1896, che però non erano riusciti a rompere resistenze derivanti da una vecchia tradizione che, ricalcando lo schema dell’ordinamento napoleonico, voleva in Italia uno Stato fortemente accentrato dal punto di vista politico-costituzionale; resistenze peraltro giustificate dal timore che le tendenze regionalistiche potessero compromettere il processo di coesione dell’unità italiana, innescando forze centrifughe inarrestabili.
Relatore prof. Ferdinando Canaletti, anno accademico 1997/98, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Economia e Commercio, tesi di laurea in Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche.