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Pubblicato postumo nel 1952, Il mestiere di vivere è un diario che copre temporalmente l’intero arco del percorso creativo dell’autore; la data iniziale è 15 ottobre 1935 e quella finale 18 agosto 1950, pochi giorni prima che Pavese si togliesse la vita. Il manoscritto fu ritrovato, contenuto in una cartellina verde, e con una pagina posta come frontespizio contenente il titolo (che è quindi quello scelto dall’autore) e le date. Sembra peraltro che alcuni amici a conoscenza dell’esistenza di questo diario avessero anche raccolto dall’autore il desiderio che lo stesso fosse stampato dopo la sua morte.
La prima edizione, come le successive fino al 1990, contiene numerosi tagli e omissioni, relativi a passi “dove il contenuto è troppo intimo o scottante o dove si tratta di questioni private di persone viventi”; così viene riferito nell’“avvertenza” che in questa edizione digitale è posta in appendice al volume. Questi passi “scottanti” si riferiscono per la maggior parte alla sfortunata esperienza sentimentale dell’autore con la matematica Battistina (Tina) Pizzardo e sono caratterizzati da linguaggio particolarmente violento e offensivo, non solo verso la Pizzardo stessa ma, per estensione, verso il genere femminile nel suo insieme.
Traspare quindi in maniera cruda e sgradevole la misoginia dell’autore. Tina Pizzardo che conosceva l’esistenza di questo diario cercò di convincere i curatori Calvino e Natalia Ginzburg a non pubblicarlo ma ottenne, appunto, solo l’esclusione delle parti nelle quali l’avversione di Pavese per lei raggiungeva i toni più aspri. Altri tagli di minore importanza riguardano brani caratterizzati da linguaggio scurrile (una filastrocca in dialetto piemontese) o nomi di persone viventi. La totalità dei brani omessi venne pubblicata per la prima volta nel 1990 – l’anno successivo alla morte di Tina Pizzardo – a cura di Marziano Guglielminetti e Laura Nay. Questa edizione elettronica riproduce la prima edizione, riproposta da “Il Saggiatore” nel 1971.
Le note di apertura che prendono il titolo di “Secretum professionale” furono scritte nel confino di Brancaleone tra l’ottobre 1935 e il marzo 1936. Le riflessioni e le considerazioni contenute in questi diari sono molto eterogenee; spaziano da una ricerca di tipo stilistico a pensieri di natura esistenziale. Spesso il tratto distintivo che consente di ritrovare lo svolgimento dei pensieri dell’autore è da ricercare nei lavori letterari ai quali Pavese si andava dedicando.
Per esempio il passaggio dalla poesia-racconto all’immagine-racconto in Lavorare stanca, crisi di questo concetto e raggiungimento di quello di “contemplazione inquieta” della realtà. Troviamo poi l’emergere delle riflessioni sugli autori che leggeva, dei quali vengono riportati frammenti ritenuti significativi, da Bergson a Lévy-Bruhl, Dostoevski, Frazer di The Golden Bough. Poi chiose di letture filosofiche (Kierkegaard, Nietzsche), la scoperta della psicanalisi tramite Freud e la quasi conseguente trascrizione di sogni. Forse suggeriti dalle letture di Lévy Bruhl e Frazer abbiamo una serie di pensieri sul “selvaggio” e il “primitivo” e poi su “simbolo” e “mito”.
L’idea di solitudine serpeggia costantemente distendendosi da pensieri sull’infanzia alla sofferta spinta al suicidio. Per questo Il mestiere di vivere appare più il riassunto del particolare sentire dell’autore che uno “zibaldone”, facendo emergere le tappe di un percorso spirituale e artistico nel quale l’umana disperazione prende sempre il sopravvento. Disperazione che scopre la realtà del fallimento nel rapporto con la donna. Arriva quindi a scrivere il 25 marzo 1950:
“Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla.”
I pensieri sulla finzione letteraria e sulle mistificazioni che ne conseguono sono forse tra le cose più interessanti. Possono essere viste come riassunte in questa frase del 27 ottobre 1946:
“Ormai so che queste note di diario non contano per la loro scoperta esplicita, ma per lo spiraglio che aprono sul modo che inconsciamente ho di essere. Quel che dico non è vero, ma tradisce – per il fatto solo che lo dico – il mio essere.”
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
1935 – 6 ottobre.
Che qualcuna delle ultime poesie sia convincente, non toglie importanza al fatto che le compongo con sempre maggiore indifferenza e riluttanza. Nemmeno importa molto che la gioia inventiva mi riesca qualche volta oltremodo acuta. Le due cose, messe insieme, si spiegano coll’acquisita disinvoltura metrica, che toglie il gusto di scavare da un materiale informe, e insieme interessi miei di vita pratica che aggiungono un’esaltazione passionale alla meditazione su certune poesie.
Conta invece questo, che sempre piú inutile e indegno mi pare lo sforzo; e piú feconda che non l’insistenza su queste corde, la ricerca, da tempo concepita, di nuove cose da dire e quindi nuove forme da foggiare. Poiché la tensione alla poesia è data al suo inizio dall’ansia di realtà spirituali ignote, presentite come possibili. Un’ultima difesa contro la smania di tentativi violenti rinnovatori la trovo nella convinzione superba che l’apparente monotonia e severità del mezzo, che ormai possiedo, sia ancora per essere il miglior filtro d’ogni mia avventura spirituale. Ma gli esempi storici – se pure in materia di creatività spirituale è lecito fermarsi agli esempi di qualunque sorta – sono tutti contro di me.
Scarica gratis: Il mestiere di vivere di Cesare Pavese.