«Vivere con un lupo non è come vivere con un cane grosso e selvaggio: è diverso, ed è di più». Con questa precisazione comincia l’autobiografia sui generis Il lupo e il filosofo (ed. A. Mondadori, 2009) di Mark Rowlands, docente di filosofia all’Università americana di Miami.
C’è una differenza di qualità, non solo di quantità: non solo perché un lupo si è costretti a portarlo sempre con sé, ovunque si vada (chiunque voglia provare a lasciare un lupo, anche cucciolo, solo in casa, lo fa a proprio rischio). Questo dettaglio condiziona interamente la vita del proprietario, e sarebbe già sufficiente. Ma non è tutto qui. Il lupo è più di un compagno invadente. Ed è più di un simbolo (in molta letteratura, quello del male). Più di una metafora. Il lupo, per Rowland, è uno spazio dell’anima.
«Credo che certi pensieri possano emergere solo nello spazio tra un lupo e un uomo», scrive l’autore in maniera inizialmente un po’ criptica seppur efficace. Pian piano, nel corso del libro, il suo punto di vista si chiarisce: esistono nell’uomo due tendenze fondamentali, quella del «lupo» e quella della «scimmia». Il lupo è la radura, che permette alla verità di mostrarsi in piena luce, al di là dell’ombra proiettata dagli alberi; allo stesso modo, il lupo è il desiderio di quella verità, indipendentemente dall’utilità, dalla proficuità, dalle ragioni dell’opportunità. Non è il folle sbrigliato e arbitrario; bensì l’intransigenza della necessità, la stessa della sete che pretende l’acqua, senza condizioni.
Dall’altro lato dell’uomo (che per Rowland è il «lato oscuro», mentre il lupo è il «lato luminoso») vi è la scimmia: la tendenza a vedere la vita come una continua valutazione dei pro e dei contro di ogni cosa, a vedere il mondo come un fondo di risorse da sfruttare ai propri fini. A questo modo di essere non sfugge neanche la propria felicità, anch’essa ridotta a qualcosa di misurabile. La scimmia riduce tutto ciò che esiste ad un confronto tra costi e benefici.
Ogni uomo porta in sé sia la scimmia sia il lupo. Anzi, su questo punto l’autore è pessimista: siamo più scimmia che lupo. E quest’ultimo è in costante pericolo di vita in noi: è facile abbandonarsi all’abitudine, agli stereotipi, al cinismo della sindrome T.I.N.A. (There Is No Alternatives, non ci sono alternative). Il lupo ha in orrore tutto questo: e con un suo ululato improvviso può ricordarci che a volte il mondo è così brutto da non meritare di sopravvivere un solo istante di più. Lontano dalla mediocrità, dalla grettezza, dall’abiezione in cui l’uomo è capace di cacciarsi, il lupo – come il fuoco – può certe volte riaccendere la luce sulla vita e mostrarla splendente, com’è. Se quella luce ci pare ombra, è solo perché noi, oggetti di fronte al fuoco, ne impediamo l’espansione.
Intriso di chiare (e riconosciute) influenze nietzschiane e heideggeriane, il libro affronta diverse questioni tradizionali, come quella del bene e del male, tagliando talora le cose con l’accetta, ma sempre in maniera suggestiva. A cavallo tra l’autobiografia e la riflessione filosofica, è una lettura gradevole e non impegnativa, non rivolta agli specialisti bensì a un pubblico più ampio, anche a digiuno di studi di filosofia.
Mark Rowlands (Newport, Galles, 1962) è uno scrittore inglese. Insegna filosofia all’Università di Miami.
Titolo: Il lupo e il filosofo. Lezioni di vita dalla natura selvaggia
Autore: Mark Rowlands
Editore: A. Mondadori
Anno: 2009
Pagine: 228
Prezzo: euro 18,50