Dall’incipit del libro:

Ubi societas, ibi ius. E’ pacifica acquisizione della scienza giuridica l’esistenza di una stretta interrelazione tra il manifestarsi di una struttura organizzativa sociale ed il comparire di norme giuridiche volte a disciplinare l’esistenza del singolo individuo all’interno della società in cui egli vive. La relazione tra i due termini è tale che non solo non può darsi l’uno senza la contemporanea presenza dell’altro, ma essi sono in reciproco rapporto di influenza. Il diritto, inteso quale l’insieme degli istituti giuridici vigenti in un luogo e un momento storico determinati, vive nella società e contribuisce a plasmarla. E ne è a sua volta plasmato.
Così, venendo all’argomento di questo scritto, è possibile tratteggiare brevemente l’evoluzione storica della tutela delle opere dell’ingegno.
Nella Grecia classica e nella Roma antica non può dirsi dell’esistenza di una simile tutela. Due le ragioni di una tale assenza: la prima può essere individuata nella stessa concezione della vita sociale propria del mondo antico (in cui l’opera letteraria e le rappresentazioni teatrali avevano un ruolo di catarsi e di educazione ed elevazione verso il bello, inteso nella unificante idea del καλος και αγαθος), a conferma di quanto più sopra affermato; la seconda, forse decisiva, ragione risiede invece nell’assenza di una figura di intermediazione industriale tra l’autore ed il pubblico, quale poi sarà svolta dall’editore. In un tale contesto storico, dunque, l’opera, in seguito alla sua declamazione o rappresentazione (cioè in seguito a quella che oggi definiremmo la sua pubblicazione), era appropriabile e riproducibile senza il necessario consenso dell’autore.
Certamente doni ed onorificenze erano tributati ai grandi scrittori: Pindaro ottenne una generosa ricompensa per un’ode marziale, ed Orazio alcune proprietà da Mecenate come premio per i suoi versi. Ma questi erano per l’appunto doni e premi, piuttosto che compensi derivanti da un diritto dell’autore nel moderno senso del termine.
Solo in età molto più vicina a noi si creeranno le condizioni perché possa svilupparsi nella società quell’esigenza di tutela delle opere dell’ingegno che condurrà ai moderni sistemi di diritto d’autore. Da un lato gli artisti, a partire dalla Deposizione che Benedetto Antelami firma nel 1178 per il Duomo di Pavia, iniziano lentamente ad acquisire una nuova coscienza del proprio ruolo. Dall’altro l’invenzione della stampa a caratteri mobili intorno alla metà del XV secolo consente lo sviluppo della industria libraria.
La nascita del diritto d’autore (o quanto meno del suo diretto antesignano, dovendosi – come si dirà poco oltre – attendere il XVIII secolo per poter assistere all’emanazione di leggi sul diritto di autore nel senso moderno del termine) può allora essere fatta risalire ai privilegi concessi dalla Repubblica di Venezia agli autori ed ai librai sul finire dello stesso XV secolo.

Relatore Chiar.mo Prof. Mario Libertini, anno accademico 2001/2002, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, facoltà di Giurisprudenza, tesi di laurea in Diritto Industriale.

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