Romanzo di formazione, d’avventura, d’amore, giallo: più sottogeneri per un’unica opera, scritta da Dumas père nel 1856 ed ambientata nel mondo nobiliare siciliano di fine ‘700, in una delle più nobili e ricche famiglie dell’isola.

Il contino di San Florido, il protagonista, all’inizio del romanzo viene descritto come “giovine, bello, valente e a quella beata età nella quale ogni uomo credesi destinato a divenire l’eroe di qualche romanzo”. Terminati gli studi al Collegio di Palermo, rientra nella casa paterna di Siracusa, accolto da una madre iperprotettiva e dal marchese, padre piuttosto distratto, dedito al culto della tradizione nobiliare e della mitologia (condiviso quest’ultimo con l’autore, che, fra le varie similitudini, dopo aver descritto un viaggio in lettiga, forse con pariniana antifrasi scrive: “Damone e Pizia, antichi modelli di amistà, se assieme fossero partiti in lettiga a Catania, si sarebbero battuti in duello arrivando a Siracusa, e sarebbesi scannati a vicenda non altrimente che Eteocle e Polinice.”).

Le vicende cruciali del romanzo, ed in particolare quella cui fa riferimento il secondo titolo I sepolti vivi, sono però già avvenute, all’insaputa dei nostri personaggi, dieci anni prima, e la causa scatenante è stato il terremoto del 1783, che ha causato la morte del marchese di San Floridio, zio del protagonista, schiacciato da una trave nel crollo del tetto del suo palazzo di Messina.

Il romanzo non si apre però con la descrizione dei personaggi o dell’ambiente in cui vivono, ma con un capitolo intitolato La cappella gotica

«Apparteneva ai marchesi di San Floridio una cappella gotica situata a cinquecento passi da Belvedere, bellissimo villaggio poco lungi da Siracusa, e nel quale que’ signori avevano molti possessi. Essa era stata eretta da un antenato del marchese attuale, e serviva precipuamente di sepoltura per la famiglia.
Rispetto a questa cappella correa un’antica tradizione, la quale diceva non contenere essa soltanto celle mortuarie, ma sibbene un ignoto sotterraneo, nel quale un conte di San Floridio erasi rifuggito ai tempi in cui infierivan le guerre durante le quali l’avversione agli Spagnuoli procacciò al conte una sentenza di morte.»

Questa cappella appare quindi fin dall’inizio connotata come un luogo misterioso, in cui porte inaccessibili, chiavi nascoste, tombe, oscurità, ambienti umidi e maleodoranti creano lo scenario ideale per le avventure del contino Ferdinando. Questi viene irresistibilmente attratto dalla cappella, dopo che, addormentatosi involontariamente nel confessionale durante il rito di commemorazione dello zio, durante la notte viene svegliato dal cigolìo di una porta, e, aprendo gli occhi, vede che il buio profondo è rotto da una lucerna, ed assiste ad una paurosa apparizione, un uomo avvolto in un grande mantello, un ferraiuolo.

«Ma quando l’ente misterioso accostò alla bocca la lucerna per ispegnerla, la luce ch’essa mandava avea illuminato quel volto, sì che il conte ravvisò perfettamente un uomo d’alta statura, dell’età di quaranta a quarantacinque anni, con barba e mustacchi neri, che, insieme alla preoccupazione che certamente agitavalo in quell’istante, davano alla sua fisonomia un’aria tetra e severa.»

L’essere miserioso sarà un fantasma, uno spietato criminale o un essere nonostante tutto sensibile? Da questo momento l’unico scopo di don Ferdinando sarà quello di svelare il mistero della cappella gotica, evadendo con espedienti e fughe avventurose dalla stretta sorveglianza familiare, e solo l’innamoramento a prima vista nato dall’incontro con un’incantevole infermiera dagli occhi azzurri e dai capelli nerissimi lo distoglierà, anche se solo temporaneamente, dal suo intento.

Alla luce della conclusione, potrebbe essere davvero interessante rileggere il romanzo con occhio del tutto diverso, reinterpretando le affermazioni del narratore e riconoscendo le false piste da lui abilmente create.

Sinossi a cura di Mariella Laurenti

Dall’incipit del libro:

Apparteneva ai marchesi di San Floridio una cappella gotica situata a cinquecento passi da Belvedere, bellissimo villaggio poco lungi da Siracusa, e nel quale que’ signori avevano molti possessi. Essa era stata eretta da un antenato del marchese attuale, e serviva precipuamente di sepoltura per la famiglia.
Rispetto a questa cappella correa un’antica tradizione, la quale diceva non contenere essa soltanto celle mortuarie, ma sibbene un ignoto sotterraneo, nel quale un conte di San Floridio erasi rifuggito ai tempi in cui infierivan le guerre durante le quali l’avversione agli Spagnuoli procacciò al conte una sentenza di morte. Voleva poi la tradizione che il conte fosse vissuto in quel recesso per dieci anni, alimentatovi da alcuni vecchi servitori, i quali con pericolo della vita, ogni due notti gli recavano regolarmente in quel sotterraneo di che mangiare e bere. Più d’una volta, il conte di San Floridio avrebbe potuto fuggire di là e mettersi in salvo conducendosi a Malta o in Francia, ma esso mai non assentì ad abbandonare la Sicilia, sempre sperando che l’ora della scacciata degli Spagnuoli dovesse pur suonare, e ritenendo che gli correa dovere d’essere colà al primo segnale.

Scarica gratis: Il contino di San Floridio, o I sepolti vivi di Alexandre Dumas [père].