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(voce di SopraPensiero)
Pubblicato Il confetturiere, l’alchimista, il cuciniere piemontese di Real Casa Savoia di Teofilo Barla.
Quello di Teofilo Barla non è solamente un ricettario: è anche un libro che narra in alcune pagine – purtroppo scarse – la storia di una vita che si dipana nelle cucine, nei dormitori, nei fastosi saloni, nelle residenze e nelle tenute di caccia di Casa Savoia nell’arco di poco più di 40 anni (1810 – 1854). Racconta anche alcuni pettegolezzi e gustosi aneddoti circa la vita che scorre a palazzo reale negli anni del Risorgimento.
Il Confetturiere, l’Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia descrive puntigliosamente come, perché e per chi vennero create dal Barla alcune preparazioni che ebbero grande successo a Corte. Forse per la prima e unica volta viene insegnato in un ricettario come preparare la stessa vivanda in una duplice versione, quella ordinaria e quella sublime che è di più complessa elaborazione. Da rilevare anche che l’autore, a differenza di altri, rammenta più e più volte che l’igiene è l’elemento principe d’ogni preparazione, e che, scrivendo, utilizza quello stile quasi colloquiale che il lettore ritroverà solo 37 anni dopo nel famoso libro di Pellegrino Artusi.
Sinossi a cura di Armanno Armanni e Catia Righi
Dall’incipit del libro:
C’è un fantasma che si aggira sulla scena della grande cucina italiana, un fantasma che finora aveva un volto corrucciato, che se ne stava lontano dai clamori, anzi era atterrito al solo pensiero di affacciarsi alla ribalta, di declinare la propria identità terrena.
E questo perché il suo spirito, quando era ancora incastonato nel suo corpo vivente, aveva dovuto subire tali e tante umiliazioni e un destino così crudele da rimanere annientato e vagante in un’altra dimensione cosmica in attesa di un’improbabile revanche.
È il fantasma di un grande e sfortunato cuoco che un giorno conobbe i fasti di corte, le adulazioni di nobiluomini e gentildonne e che poi, per uno di quei tiri mancini che una sorte infame sa rifilare, cadde nella polvere fino a fare perdere di sé ogni memoria.
Ma di lui, scampato al dileguamento della sua impronta umana e pervenuto a noi per uno di quei casi fortuiti che fanno gridare al prodigio, restava un unico esemplare – ignorato da tutti – della raccolta di ricette che aveva dato alle stampe, dedicandola al proprio sovrano per potere rientrare nelle sue grazie. E che invece finì per marcire in una lurida stalla dove lo sventurato era stato relegato a vivere e ad accudire alle bestie per guadagnarsi il pane.