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Nonostante i giudizi severi che prima De Sanctis e poi Croce formularono su Guerrazzi scrittore, che probabilmente risentivano anche delle opinioni politiche che dietro quei giudizi erano celate, non sono mancate invece voci più lusinghiere. Per esempio è stato messo in luce il valore di quest’opera che è “letteratura di carattere, espressione di temperamento, è grande sincerità, laboriosa, eccitante, folgorante” come scrisse Gian Pietro Lucini sull’”Italia del Popolo” del 10 agosto 1904. Carducci recensendo Il buco nel muro su “La Nazione” del 23 marzo 1862 scrive:
«In Italia il romanzo storico potè e potrà essere uno sforzo d’ingegni più o meno felici, non mai un genere di letteratura propriamente nazionale e vivace. E, per tornare al Guerrazzi, tenendo io il romanzo di costume contemporaneo per più artistico, per più necessario e utile, per più accessibile alle moltitudini, che di fatto nei romanzi storici gustano meglio le parti d’invenzione e di affetto, mi rallegro di vederlo preso a trattare da uno scrittore illustre, e spero ch’ei ce ne darà esempi originali che durino all’ammirazione e allo studio dei lettori».
Certamente di racconto di costume si tratta, e ispirato direttamente dalle vicende biografiche dell’autore, pur non essendo possibile – come talvolta è stato fatto – relegarlo con sufficienza tra le autobiografie più banali. Guerrazzi ci ha abituato con i grandi romanzi storici come Beatrice Cenci, Pasquale Paoli, Isabella Orsini a vederlo combattere le grandi battaglie che non ha potuto combattere spada in pugno. Per questo talvolta altre sue opere come La Serpicina, I Nuovi tartufi e questo Il buco nel muro vengono considerate come “minori” pur essendo in realtà dei piccoli capolavori.
In questo testo troviamo quindi la sincera bontà, la pazienza e il sentimento vivo, esclusivo e geloso di Betta – la cui collocazione in casa rimane sfuggente, padrona o governante? – per tutto quello che è di pertinenza della famiglia; il nipote Marcello, svagato ma vivace e in fondo sensibile; perfino il gatto Maccabruno e il cane Tobia partecipano alle scene che oscillano tra l’essere delicatamente affettuose e il garbatamente umoristiche. Non a caso Pirandello cita questo lavoro del Guerrazzi nel suo L’Umorismo. Nel prologo del romanzo l’autore si sdoppia nel dissidio tra Francesco e Domenico. Il secondo lo ha scritto ma lo ripudia, il primo lo ritrova e lo dà alle stampe. Il buco nel muro potrebbe apparire a prima vista come un’opera atipica del Guerrazzi, pervaso da calma interiore e da serenità domestica; i successivi Veronica Cybo, Isabella Orsini e Vendetta paterna appaiono però in un’ottica di continuità visti come il frutto delle agitazioni interiori dalle quali l’autore fu per lungo tempo travolto. Abbiamo quindi la rappresentazione di un’idilliaca pace familiare, contrapposta al violento disappunto al vederla turbata. In questo senso credo si possa comprendere meglio il senso del prologo che dovrebbe corrispondere alla battaglia interiore che travaglia l’autore.
In questo testo Guerrazzi si sbizzarrisce nel costruire una trama complessa di riferimenti colti, che ovviamente impegnano il lettore sia nella decifrazione che nel coglierne l’ironia. Per darne una traccia accenniamo al percorso che va con molta evidenza da Sterne, specialmente quello di Tristam Shandy, a Cervantes, ma transitando finemente attraverso Hoffman e a letterature antiche, da Macrobio a sant’Agostino, da Virgilio alla Bibbia e transitando verso il meno discernibile, perchè molto poco conosciuto in Italia, Du Laurens. Per Guerrazzi il romanzo come lavoro letterario deriva dall’unione tra Tersicore, forse la più fascinosa delle muse, e l’irriverente e anticonvenzionale Bacco (tutto questo è spiegato nel capitolo IV) per cui il suo destino è aggirarsi perennemente per il mondo prendendo sembianze sempre differenti, giungendo infine a Livorno dove,
«per amore dei bagni di mare, e stretta amicizia con un popolano, gli mostrò con certa sua lanterna magica le virtù e le colpe di un popolo caduto, e l’anima grande del Ferruccio, che ad ogni secolo (e n’erano già passati tre) si affacciava sdegnosa fuori del sepolcro per domandare se l’ora della vendetta era venuta; e il popolano accelerò la vendetta con arte, che di leggieri avrebbe potuta essere superata da ogni uomo; nessuno avrebbe potuto superarne il coraggio, l’impeto e l’odio contro la tirannide».
Ovviamente, oltre i riferimenti colti ai quali abbiamo accennato, il Guerrazzi non può rinunciare ai consueti attacchi verso clero, banchieri, giornalisti. Leggendo quindi Il buco nel muro possiamo porre sotto un punto di vista diverso i giudizi critici così negativi che hanno quasi sempre colpito l’opera del Guerrazzi. Riusciamo a vedere, dietro le scene sanguinarie dei suoi romanzi storici, anche la scrittura colta (Guerrazzi era un cultore del “trecento”) e la sua capacità di coniugarla con l’evoluzione quotidiana della lingua. E su questo tema è opportuno rimandare al saggio di Beccani Lessico Guerrazziano e al bel saggio di Daniela Mangione che fa da introduzione a una riedizione di Il buco nel muro (Bologna 2005).
Questa edizione elettronica riprende quella curata dal Guerrazzi del 1872. Nel 1959 A. Jeri ha curato l’edizione che ripristina la stesura filologicamente corretta del testo, ripresa anche dalla già citata edizione del 2005.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Il signor Orazio se n’era tornato a casa lieto più del solito: giù per le scale lo avevano sentito cantare un’aria degli Arabi nelle Gallie, cosa che gli tolse l’incomodo di sonare il campanello, imperciocchè Betta lì pronta gli avesse fatta trovare l’uscio aperto: entrato in camera e sovvenuto da Betta, spogliò le vesti cittadine, scalzò le scarpe, depose la parrucca, ed in vece di tutte coteste robe e’ si mise addosso una guarnacca di casa di dobletto bianco stampato a mele, carciofi e non so nemmeno io con quanti altri frutti e legumi, propriamente da disgradarne le sottane di Pomona; il capo cacciò dentro un beretto di cotone candidissimo, che pareva crema sbattuta, e i piedi dentro un paio di pantofole di marocchino giallo, fatte venire a bella posta da Tangeri.
Dopo avere dato sesto ad ogni cosa, seguito sempre da Betta, come il pio Enea dal fido Acate, scese a vedere come stessero i famigli, e a dare e a ricevere la buona sera; poi visitò Lilla la gatta, che appunto in quel giorno si era sgravata felicemente di mezza serqua di gattini; per ultimo volle governare di propria mano, secondo l’usanza vecchia, Rebecca e Tobia, cagna e cane per bontà esemplare, castità, discretezza e parecchie altre virtù cardinali (teologali non si era mai accorto che ne avessero) degne in tutto di figurare (se posso dirlo senza tema di sbalestrare a parole) nella santa scrittura a canto le altre bestie famose, che ci hanno preso stanza.
Scarica gratis: Il buco nel muro di Francesco Domenico Guerrazzi.