(voce di SopraPensiero)

Pubblicato I tessitori di Gerhart Hauptmann.

Dramma dal contenuto politico-sociale che ha per tema centrale la rivolta slesiana dei tessitori di fustagno a Kaschbach, Langenbielau e Peterswaldau del 1844, che già ispirò una nota poesia di Heine. Scritto dapprima in dialetto slesiano e poi riscritto in tedesco, fu rappresentato privatamente la prima volta il 26 febbraio 1893 mentre la prima «pubblica», a lungo contrastata dalla censura, ebbe luogo il 25 settembre 1894 presso il Deutsches Theater di Berlino.
In seguito a questa rappresentazione il Kaiser Gugliemo II disdisse l’abbonamento al Deutches Theater. Tradotto in italiano nello stesso 1894 da Enrico Gagliardi, nello stesso anno andò in scena la prima volta anche in Italia. La massa, interprete principe ed eroe della vicenda, si trova a non avere alcuna speranza di vittoria.

Hauptam era nipote di un tessitore e per scrivere questo dramma si documentò accuratamente con due viaggi in Slesia e lo studio di testi come La miseria dei linaioli in Slesia di A. Schneer, L’indigenza e la rivolta in Slesia di W. Wolff e Prosperità e decadenza dell’industria del lino in Slesia di A. Zimmermann.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Uno stanzone imbiancato nella fabbrica di Dreissiger in Peterswalden. I tessitori riportano il frustagno a domicilio. A sinistra finestre senza tende; in fondo una porta a vetri da cui entrano ed escono continuamente tessitori, tessitrici e bambini. Lungo il muro di destra, coperto quasi interamente come tutti gli altri muri da scansie per le pezze di frustagno, c’è un banco su cui i tessitori posano le pezze. Man mano che entrano, i tessitori presentano il frustagno che deve essere esaminato. Il commesso Pfeifer sta in piedi dietro una gran tavola su cui viene deposto il lavoro: per esaminarlo, si serve d’un compasso e d’una lente. Quando Pfeifer ha esaminato il frustagno, il tessitore lo mette sulla bilancia; l’apprendista lo pesa e lo ripone nelle scansie. Ogni volta, il commesso, Pfeifer grida forte la somma da pagarsi al cassiere Neumann seduto dietro un tavolinetto.
È una giornata afosa verso la fine di maggio. L’orologio segna mezzogiorno. La maggior parte dei tessitori che aspettano sembrano imputati sul banco d’accusa, in attesa d’una condanna di vita o di morte. Tutti hanno quell’aria di sottomissione propria a chi riceve elemosina e sentendo d’essere semplicemente tollerato, finisce, a forza di umiliazioni, col farsi abitualmente più piccolo che può. La fisionomia di tutti esprime una preoccupazione incessante ed infruttuosa. Gli uomini, quasi tutti somiglianti fra loro, alcuni rachitici, altri catarrosi, sono per la maggior parte individui dal petto rientrante, miseri, che tossiscono, d’un pallore malsano: vittime del telaio, le cui ginocchia si sono curvate a forza di stare seduti. Le donne sono a prima vista meno tipiche; sono trasandate, spossate, irrequiete, mentre gli uomini mostrano ancora una certa miserevole gravità. Mentre i vestiti degli uomini sono almeno rattoppati, le sottane delle donne cadono a brandelli. Ci sono però ragazze non prive di grazia, dal pallore cereo, dalle forme delicate, dagli occhi grandi, sporgenti e melanconici.