Alla ricca collezione di classici italiani che affluiscono nella biblioteca telematica di Liber Liber, non poteva mancare la raccolta dei Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioacchino Belli, una pagina di grande interesse nel panorama letterario italiano della prima metà dell’Ottocento.

I sonetti, infatti, ritraggono, con i toni accesi e realistici del dialetto, la città di Roma ed i suoi abitanti, inseriti – come tessere di un antico mosaico – in una struttura sociale contratta in forme rigide e secolari.

L’intento del Belli è proprio quello di rappresentare, attraverso una satira pungente e irrisoria, una città governata da un ristretto numero di aristocratici e dal clero, classi sociali che ostentano un potere ormai privo di alcun valore storico o morale. A subire tale potere sono “…i popolani…” che “…non hanno arte alcuna: non di oratoria, non di poetica: come niuna plebe n’ebbe mai. Tutto esce spontaneo dalla natura loro, viva sempre ed energica perché lasciata libera nello sviluppo di qualità non fittizie”.

Le parole dello stesso poeta rendono bene l’idea di un popolo succube delle prepotenze dei più forti ed allo stesso tempo, espressione di un animo autentico e spontaneo, sgombro da qualsiasi implicazione culturale, mosso da istinti e da sentimenti primari.

Il dialetto romanesco poi, usato dal Belli nel ritrarre costumi e credenze della Roma papalina, rende ancora più efficace e vigorosa l’immagine di queste vignette, avvalendosi di giochi di parole e particolarità che solo il dialetto può offrire.