A Pál utcai fiúk (I ragazzi di via Paal o I ragazzi della via Pál in italiano a seconda delle traduzioni) è certamente uno dei più fortunati long-sellers degli ultimi cento anni. Molnár creò con quest’opera un romanzo imperituro sugli adolescenti. Dalla sua uscita a puntate a Budapest nel 1907, nuove edizioni, traduzioni in ben 37 lingue, riduzioni si sono susseguite a ritmo intenso. La prima traduzione italiana è del 1929 di Alessandro De Stefani e da allora se ne contano almeno una trentina.

La vicenda è notissima: un gruppo di ragazzi studenti ginnasiali composto da un comandante, Boka, molti ufficiali e un solo soldato semplice, Nemecsek, difende un’area di gioco, adibita a segheria ma con l’unico spiazzo libero in mezzo a caseggiati, dalle mire dei ragazzi dell’Orto Botanico, le famigerate Camicie Rosse che cercano un posto dove poter giocare a palla. Alleanze e tradimenti formano il tessuto di una trama all’interno della quale gli adulti risultano estranei. Infatti l’amor di patria, la morale, l’onore sono tutti contenuti come valori fondanti in questo testo “per ragazzi” ma si trovano posti al di là delle esortazioni paternalistiche tanto noiose, soprattutto oggi, e che sono, per esempio, la spina dorsale del deamicisiano Cuore. Insegnamenti e valori scaturiscono quindi spontanei dall’interno stesso di una storia apparentemente molto semplice. Infatti gli adulti del romanzo appaiono praticamente tutti piuttosto gretti ed egoisti, insensibili alle esigenze degli adolescenti.

A partire dal prof. Rácz che non comprende fin dall’inizio il fermento dei ragazzi dentro l’aula e cerca poi di impedire l’esistenza della “società dello stucco”, poi il padre di Geréb, e infine il signor Csetneky che vuole urgentemente che il babbo di Nemecsek porti a termine la fattura della sua giacca con il figlio morente nella stanza accanto, tutti dimostrano estraneità assoluta al mondo dei ragazzi; non consigliano, non “spiegano”, non porgono preconfezionati i loro “valori”. Un caso a parte sono i due “stranieri”, l’italiano venditore di torrone e il custode slovacco. Molto interessanti le osservazioni che fa Claudia Tatasciore nella sua tesi di dottorato sugli aspetti linguistici che caratterizzano i due personaggi e che con difficoltà vengono rese nelle traduzioni. Il primo offre la sua personale interpretazione dell’inflazione; raddoppia il prezzo e contemporaneamente diminuisce la dose: «È più caro, quindi ne dò meno» è la sua spiegazione. Il secondo, più vicino al mondo dei ragazzi, subisce anche lui lo sfratto dall’area della segheria, ma non ne pare colpito emotivamente come Boka, il “generale” dei ragazzi della via Pál, anche se verosimilmente perderà il posto.

Nella mancanza di tono didascalico, di lezione pedagogica, è racchiusa la modernità del romanzo, il fatto che possa essere letto anche oggi dai più giovani senza che il passare degli anni abbia inciso troppo sulla sua attualità. Certo, i giochi descritti non sono più probabilmente quelli degli attuali adolescenti, ma chi è stato ragazzo ancora negli anni ’50-’60-’70 del secolo scorso e abbia vissuto l’espandersi spesso senza criterio dell’urbanizzazione non potrà non sentirsi coinvolto nelle emozioni per la difesa del proprio territorio e colpito poi dall’inutilità di questa lotta che, anche se vincente, vedrà quell’area di gioco sottratta per sempre. Ci sono quindi varie chiavi di lettura per questo libro. Quella un po’ nostalgica da parte di chi può ancora identificarsi nei personaggi del racconto; quella educativa e pedagogica con i suoi valori tradizionali, ma anche quella, universale, che ci consente di comprendere che accanto all’amarezza si possono trovare momenti di felicità dei quali è giusto approfittare.

Gli elementi che prefigurano quelli tipici di una vita adulta sono trattati con leggerezza, senza mai far mancare il gusto vero e sincero del gioco. Se pensiamo agli attuali romanzi per ragazzi – mi viene in mente sopra ogni altro la saga di Harry Potter – la proposta è incentrata su un mondo diverso, immaginario, utopico. Molnár sembra invece volerci indicare che accanto al mondo dell’ipocrisia dell’insensibilità e del sopruso sul più debole – esemplificato nella scena della giacca tra il padre di Nemecsek e il suo ricco cliente – esiste un mondo nel quale sperare ed è quello dei ragazzi che stanno per diventare adulti, ma saranno adulti “altri” con la saggezza, il coraggio, i sentimenti temprati anche dalla delusione ma saldi nei loro valori che hanno strenuamente anche se inutilmente difesi. Valori che sanno anche perdonare lealmente il “traditore” fino a mentire davanti al padre del traditore stesso che impersona tutti i valori dell’ipocrisia che i ragazzi combattono.

Il racconto è anche garbatamente ironico, umoristico, anche in questo caso contrapponendosi i ragazzi alle “regole” fasulle che viene loro richiesto di rispettare. Mentre il professor Rácz interroga i componenti della società dello stucco e sequestra l’oggetto fondamentale della società stessa, Nemecsek si mette vicino alla finestra, alla quale era stata da poco sostituita una lastra di vetro, e raschia via del nuovo stucco. «Se c’è dello stucco, c’è anche la società!» e i ragazzi sono presi da nuovo entusiasmo. L’inutilità della repressione becera e senza scopo emerge in maniera evidente.

Al di là delle interpretazioni simboliche che sono comunque “adulte” si pone invece il commento di Enzo Biagi: «In questo riprodurre la semplicità dei grandi sentimenti, in questo suo essere popolare, I ragazzi della via Pal era universale. Come Cuore di De Amicis, ma anche meglio: in Cuore c’è troppo senso del sacrificio, qui prevale l’epica. Si piange. È vero. Ma il pianto per Nemecsek che muore è un buon pianto: è il pianto che tocca a chi ha compiuto il gesto di coraggio.» I simboli patriottici che vengono proposti sono il risultato della trasposizione della realtà in gioco, non una visione di valori universali, ma di utilizzo di quello che si ha a disposizione. La forza di questa narrazione è stata di proporre una storia che potrebbe essere accaduta in qualunque recinto abbandonato di qualunque città europea.

Le trasposizioni cinematografiche sono numerose. La più nota e la prima del cinema sonoro è quella di Frank Borzage No greater glory del 1934. Si può dire che sia in gran parte aderente al romanzo. Però è giusto segnalare la scena di apertura, posta quasi a proporre una possibile interpretazione. Dopo le inquadrature di uno scenario bellico disastroso con morti e feriti e barelle, un reduce con stampella e senza una gamba parla concitatamente mentre attorno a lui morti e feriti vengo portati sulle lettighe: «Qualcuno mi ha chiesto se volevo combattere? Io non volevo. Ogni guerra è una porcheria e il patriottismo è un inganno, una farsa. Che ci vadano loro una volta sul campo di battaglia!»

La scena immediatamente successiva è quella invece con la quale si apre il libro e il professore (di storia e non di chimica come nel testo) dice, in aperto contrasto con quanto detto dal reduce: «La nostra virtù più importante è il patriottismo, nulla vi è di più nobile che difendere la nostra patria. Se veniamo chiamati alle armi imbracceremo il nostro fucile. Solo con una dura battaglia possiamo vincere». Val la pena ricordare che ci si trovava, dopo la catastrofe della prima guerra mondiale, alla vigilia di un evento bellico ancor più disastroso. Mi pare di poter dire che nel film si trova quindi una proposta di lettura piuttosto diversa da quella convenzionale. Fin dall’inizio lo spettatore verrà indotto a porsi delle domande sulla natura dell’amor di patria che animerebbe i ragazzi della via Pál. In Francia il film venne vietato in quanto considerato antimilitarista. La versione inglese si può vedere su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=VBf2BLp24zU, anche quella italiana che presenta però il taglio della prima scena di cui ho parlato: https://www.youtube.com/watch?v=gWxzNVnd1Kg&t=7s oltre al fatto che le “camice rosse” – cioè i rivali dei ragazzi di via Pál – diventano più genericamente “i rossi”, cioè i cattivi, il nemico.

La posizione anti-militarista di Molnár era già esplicita fin dal 1915. Certamente la molteplicità delle traduzioni e dei diversi strumenti di diffusione (cinematografica oltre che testuale) hanno poi consentito interpretazioni e ricezioni differenti. Entrato oggi Molnár nel pubblico dominio, abbiamo scelto per proporre questo grande classico in edizione digitale per il progetto Manuzio la traduzione del fiumano bilingue Silvino Gigante, profondo conoscitore della lingua e della storia ungherese.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Alle dodici e tre quarti, proprio nel momento che sulla cattedra dell’aula di storia naturale, dopo lunghi e infruttuosi tentativi, finalmente, in premio all’agitata attesa, nella fiamma incolore della lampada Bunsen brillò una striscia d’un bel verde smeraldo, prova che la combinazione chimica, di cui il professore voleva dimostrare che colorisce di verde la fiamma, la colorisce realmente di verde, ripeto: alle dodici e tre quarti in punto, proprio in quel momento trionfale, risuonarono nel cortile della casa attigua le note di un organetto, interrompendo a un tratto ogni serietà. Dalle finestre spalancate al tiepido sole di marzo, sulle ali della fresca brezza primaverile, i suoni volarono entro l’aula. Era un’allegra canzone ungherese, che l’organetto sonava in tempo di marcia, in un ritmo tanto viennese da far venire a tutta la classe la voglia di sorridere, anzi ci furono alcuni che ne sorrisero davvero. Nella fiamma della lampada Bunsen guizzava allegramente la striscia verde, ammirata sì e no da alcuni ragazzi del primo banco, ma gli altri guardavano fuori dalla finestra, per la quale si potevano vedere i tetti delle casette vicine e, lontano, nel bel sole meridiano, il campanile della chiesa con l’orologio, il cui indice maggiore s’avanzava confortante verso il numero dodici. E, mentre la loro attenzione era attratta verso la finestra, insieme alla musica penetravano nell’aula anche altri suoni che nulla vi avevano a che fare.

Scarica gratis: I ragazzi di via Paal di Ferenc Molnár.