Andrea Graziosi
Occidenti e Modernità, vedere un mondo nuovo”.
Il Mulino, Bologna, 2023, 216 pagine,
ISBN: 978-88-15-38295-5

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Andrea Graziosi (contemporaneista di idee progressiste e vicino alla scuola degli Annales) sveste i panni dello storico per rivolgere lo sguardo al presente e tentare qualche ipotesi di futuro, offrendo utili spunti di riflessione e d’azione a chi abbia a cuore il destino della liberal-democrazia alle prese con le sfide esistenziali della “maturità”.

Già dal titolo, «Occidenti e modernità» (anche il secondo sostantivo e declinato al plurale), nel suo ultimo libro Graziosi propone di ragionare con categorie nuove per collocare correttamente noi stessi sulla mappa della storia moderna e provare a tracciare una rotta per un futuro possibile e sostenibile.

Che il “nostro” mondo sia in crisi (resa solo più’ evidente de COVID e aggressione putiniana) è infatti una delle premesse da cui l’autore muove, assieme alla constatazione che, aldilà di contraddizioni e «ipocrisie», esso sia stato più di altri capace di incarnare i «valori di dignità e libertà individuale» e di offrire «benessere…a menti e corpi liberi in società aperte».

Per agire occorre in primo luogo «vedere il nuovo mondo in cui viviamo» e, per riuscirvi, occorre sbarazzarsi di schemi interpretativi invecchiati e sovraccarichi di simboli quali Primo e Terzo mondo, Capitalismo e Socialismo, eccetera. Quella di “occidente”, evidentemente, non è una categoria geografica ma intellettuale riferita ad una vicenda non unitaria storicamente; anche in concetto di “modernità”, nato dalla rivoluzione del diciassettesimo secolo, ha sperimentato diversi gradi di vitalità da quando pensatori come Galileo, Newton, Leibniz e poi Condorcet posero il progresso umano al centro del discorso culturale e politico. Per ridefinire il “nostro” presente in modo neutro Graziosi propone quindi la nozione di «Moderno maggiore maturo».

Maggiore per distinguerlo da quell’occidente minore che si è eclissato nell’esperienza socialista-sovietica. Un mondo, anche quello, essenzialmente europeo e bianco che ha tentato di interpretare la modernità, quindi di realizzare le medesime aspirazioni di libertà e progresso, attraverso una struttura sociale ed economica «irrazionale» e radicalmente alternativa. Quell’esperienza è fallita in primo luogo per «l’assenza di indicatori economici credibili» (prezzi) e il conseguente «ritardo tecnologico, il ristagno della produttività e la generale tendenza depressiva ad essa intrinseche». Le ragioni del «trionfo» dell’altro occidente, il Maggiore appunto, sarebbero principalmente economiche, tanto che, osserva l’autore, il socialismo è potuto sopravvivere a quel fallimento come modello politico sganciato dal suo paradigma economico e sociale (leggi Cina).

Nel secondo dopoguerra il “nostro” Moderno, accelerando su una traiettoria già in essere dal secolo precedente e incardinata sull’industrializzazione, la crescita demografica, l’urbanizzazione, caratterizzata da vivacità culturale, mobilita sociale, di diritti individuali, riesce invece ad evolvere. Il Moderno Maggiore trova il suo baricentro tra i vincitori della seconda guerra (Stati Uniti e il mondo anglosassone) e i paesi usciti indeboliti e sconfitti, ma uniti nella critica al totalitarismo e al nazionalismo e dall’aspirazione alle libertà politiche e ai diritti per un’ampia classe media. Si tratta di un «blocco dominante» reso omogeneo, da un lato, dalla forte spinta all’integrazione di quella «Europa fuori d’Europa» che erano gli USA di allora e, sul lato degli Stati-nazione soprattutto europei, dall’alfabetizzazione e dal progresso tecnologico, ma anche dagli spostamenti di popolazione e dalle politiche discriminatorie e genocidarie che ne avevano segnato il recente passato.

Pur con queste contraddizioni, nei «Trenta gloriosi» che seguono la fine della guerra, il Moderno Maggiore prevale e prospera. Nella seconda metà degli anni Settanta entra però in una lenta crisi che si manifesta con la «progressiva perdita di prestigio ed egemonia dei modelli politici imperniati sugli ideali liberaldemocratici». Il collasso del Moderno Minore (1989-91) e l’autoesaltazione da “fine della storia”, le velleità della “esportazione della democrazia” alla Bush junior, contribuiscono a «nascondere» il problema che, secondo Graziosi, diviene palese con la crisi finanziaria del 2008 e, politicamente, con la decisione del 2013 di Obama di non dar seguito alle promesse d’intervento militare in Siria.

Se la chiave del successo del Moderno Maggiore sta nel suo sistema economico, ne consegue che i motivi delle sue attuali difficoltà non siano da ricercare nella “crisi del capitalismo” come modello, ma verosimilmente nei limiti contingenti allo sviluppo che esso si trova ad affrontare. Limiti che l’autore riconduce all’impennata della denatalità che, contrariamente a quanto si credeva, accompagna ovunque «il raggiungimento di una determinata soglia di maggiore benessere e libertà» e all’aumento dell’aspettativa di vita. Di qui l’appellativo “maturo” a connotare la fase attuale del moderno.

La contraddizione che Graziosi mette in luce (ai capitoli II e III) è questa: il successo del Moderno Maggiore nel mantenere le promesse di progresso e di benessere è stato tale che, entrando nella sua fase matura, rischia di minare per via demografica i presupposti dello sviluppo su cui la stabilità del suo modello si fonda, «incapace di riprodurre al suo interno le risorse umane, cioè le energie, indispensabili alla sua stessa sopravvivenza».

La percezione della crisi contraddice «la bella favola del miglioramento continuo» che ha illuso gli agenti del Moderno Maggiore. Negli Stati Uniti, e successivamente in Europa, «la percentuale dei figli che da adulti avrebbero avuto una vita migliore dei propri genitori era del 90% tra i nati negli anni Quaranta e sarebbe crollata al 50% per i nati negli anni Ottanta». Quanto nel 2024? Adattarsi di colpo ad una «era ad aspettative decrescenti», per dirla con Lasch, genera ansia, rabbia, fantasie di complotto tra le nuove “classi sociali”. Donne e uomini, “sani” e disabili, giovani e anziani, cittadini e semplici esseri umani privi di status si contendono risorse che, divenute scarse, incorrono nel necessario «razionamento» operato, perlopiù per via burocratica, da uno Stato-sociale che lentamente muta in uno Stato-amministrativo tendenzialmente dirigista e irresponsabile. Così, dal piano economico-demografico la crisi, con il suo corollario di pessimismo e diffidenza, si sposta a quello sociale e inquina il discorso politico finendo per sospingerlo verso sbocchi populistici che rischiano di mettere in questione quel modello liberal-democratico che sta alla base del al nostro Moderno. Occorre agire in fretta.

Il libro di Graziosi è denso di concetti, ricco di dati e riflessioni originali ancorate ad una produzione intellettuale vasta quanto specialistica e ampiamente richiamata. Non ha dunque senso riassumerne oltre le analisi, le conclusioni e le proposte come qui si è provato a fare con le premesse. È un testo che, offrendo una prospettiva di analisi del presente, parla di futuro in modo “necessariamente” problematico; un approccio che il lettore di certo non troverà in uno dei talk show dove si esaurisce il dibattito pubblico nostrano.

 

(Immagine: Winter Night Old Age Death Times Day di David Friedrich. Fonte)