(voce di SopraPensiero)

Giorgio Torelli, Gli Ascari del tenente Indro e altri Ascari (I Battaglioni indigeni fatti a modocopertina ascari leggera loro e iscritti nella Storia d’Italia), Edizioni Ares, Milano 2004, pp. 152, € 25,00.

Con il suo stile arguto e travolgente, Giorgio Torelli racconta un capitolo poco conosciuto della storia militare d’Italia: i battaglioni indigeni inquadrati nelle forze coloniali. In particolare gli eritrei, chiamati «ascari». E parte dai racconti personali, di quando lui, ragazzino, li vedeva disegnati da Achille Beltrami sulla Domenica del Corriere e li sognava nei racconti dello zio, militare in Africa.

Un’immagine favolosa che avvinceva lui come molti altri suoi coetanei e che si materializzò quando il Duce volle i battaglioni eritrei alla parata del maggio 1937 ai Fori imperiali, per festeggiare il primo anno dell’impero. Truppe veramente singolari, eppure fedelissime e ardite. L’interesse si protrae negli anni e con pazienza Torelli raccoglie testimonianze e descrizioni di prima mano, apparsi su riviste o in libri scomparsi dal mercato editoriale. Ed ecco che da amici, soffitte, mercatini come quello di Porta Portese, riemergono testi, che qui riporta antologicamente, di Virgilio Litti, Vittorio Beonio-Brocchieri, Torquato Padovani, Paolo Monelli, Luigi Barbini Junior, Cesco Tomaselli, Paolo Corazzi, Curzio Malaparte, Gianbortolo Parisi. E soprattutto Indro Montanelli, che sottotenente ventiseienne comandò un reparto di ascari.

Un’esperienza così forte che, nel perimetro della sua mitica «Stanza» sul Corriere, negli ultimi anni ne parlò spesso, con evidente nostalgia. Di Montanelli, Torelli fu amico, e con lui lavorò al Giornale per lunghi anni. Un giorno a Parma – era il 2000 – Torelli manifestò a Indro di voler comporre un’antologia sugli ascari e gli chiese la prefazione. ««Con immensa gioia», proruppe Indro. E s’illuminò, perché era come se gli restituissi – per capriccio del tempo – un’occasione di giovinezza. «Ah, i miei ascari di allora!», sospirò subito» (p. 6). Inconsapevolmente l’Indro di allora, sugli ascari aveva scritto il suo primo libro di successo. Tutte le sere, in tenda con la macchina da scrivere sempre al seguito, aveva steso un «diario epistolare», che inviava al padre, «preside di liceo e severo intenditore delle qualità del figlio lontano. E già da tempo il padre Sestilio – convinto in proprio – aveva mostrato le lettere dall’Africa a Massimo Bontempelli, che di getto e da par suo s’era deciso a metterle a stampa inventando così un libro dalla copertina verde e dal titolo irrinunciabile XX Battaglione eritreo. All’insaputa poi del tenente Indro [ […]] il libro aveva incontrato nel marzo 1936 le grazie del pontefice massimo Ugo Ojetti, lieto di recensirlo con magnanimità sul Corriere della Sera, annunciando ai lettori la nascita di un nuovo talentuoso scrittore» (p.14).

Impreziosito da un ricco apparato iconografico, risulta un libro godibilissimo e affettuosamente rende giustizia a quei molti uomini che, «fatti a modo loro», dimostrarono fedeltà all’Italia.