Nella memoria autografa e inedita, conservata nei faldoni delle carte di famiglia nell’Archivio centrale dello Stato, Federico Hermanin scrive:
«Era una di quelle mattine stanche di primavera, quando si ha più voglia di sognare che di lavorare ed io infatti non lavoravo ma sognavo guardando le nuvole, lievemente spinte da un fresco venticello di ponente, quand’ecco mi portarono un telegramma della Direzione generale delle antichità e belle arti, che mi invitava ad esaminare, con ‘qualche sollecitudine’ alcuni affreschi venuti alla luce nel coro delle monache della vicina Santa Cecilia in Trastevere.»
Ci sono momenti della vita che capitano ad alcunə fortunati e fortunate, o forse capitano a tuttə ma solo a volte si è in grado di riconoscerli, che cambiano la vita, danno una svolta positiva e da quel momento tutto è diverso.
Al trentaduenne Federico Hermanin questo accade nel 1900. Ha fatto i suoi studi rigorosi, ha assimilato perfettamente l’importanza dell’analisi delle fonti anche nello studio delle opere d’arte. Durante un sopralluogo ad alcuni lavori di restauro nella basilica romana di S. Cecilia in Trastevere lo studioso si trova davanti ad una importantissima scoperta: un grande affresco del Giudizio universale fino ad allora occultato dagli stalli del coro delle monache, addossati nel secolo XVI alla parete interna della facciata della chiesa. Passare dalla teoria alla pratica è un attimo. Egli immediatamente affronta con metodo severamente scientifico lo studio dell’opera per individuarne l’autore e senza esitazione attribuisce il bellissimo Giudizio universale al pittore romano Pietro Cavallini (1240 c. – 1330 c.).
Il ritrovamento genera una serie di sue comunicazioni, sempre più specifiche ed approfondite, e dopo un primo annuncio della scoperta nello stesso 1900, e un articolo dell’anno successivo (“L’Arte”, 1901, IV, pp. 239-244) in cui Hermanin sottolinea la raffinatezza e la qualità dell’opera dell’artista romano, egli pubblica nel 1902 uno studio più approfondito (quello che qui si presenta), dal titolo Gli affreschi di Pietro Cavallini a Santa Cecilia in Trastevere, nel quale inserisce l’affresco ritrovato nel contesto più ampio della figura e dell’opera di Cavallini e dell’arte a Roma alla fine del Duecento. Il Ministero della pubblica istruzione nell’occasione commissiona/concede ad Hermanin di allargare la sua indagine a Napoli, Assisi e Firenze per completare il catalogo delle opere dell’artista romano ed approfondire la relazione tra questi e l’opera di Giotto ad Assisi. Il rilevantissimo tema affrontato è quello legato alla nascita dell’arte ‘moderna’ e se questa ‘nascita’ vada attribuita a Giotto o a Cavallini. Era Cavallini allievo di Giotto? Derivò Giotto temi e stilemi dal grande pittore romano? Quanto è attribuibile a Giotto e quanto a Cavallini in San Francesco in Assisi? Sulla vita e le opere di Cavallini è più attendibile Ghiberti o Vasari?
Il testo di Hermanin è veramente un’opera godibilissima, appassionante, piena di riferimenti dotti e citazioni latine, scritta in maniera semplice e assolutamente chiara anche per i non addetti ai lavori, con un ritmo narrativo assolutamente incalzante e con una definizione del lavoro d’indagine dei particolari paragonabile alle migliori indagini poliziesche. Veramente pagine da non perdere.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
Di Pietro Cavallini, pittore romano del secolo decimoterzo, che Lorenzo Ghiberti nei suoi Commentari chiama «dottissimo e nobilissimo maestro», noi non conoscevamo più che i musaici con le storie della vita della Vergine nell’abside di Santa Maria in Trastevere e quelli che un tempo decoravano la facciata di San Paolo fuori le mura e che ora, divisi e trasformati in modo da essere irriconoscibili, stanno sul rovescio dell’arco di Galla Placidia e al di sopra dell’abside della basilica.
Uno sguardo allo scritto del Ghiberti basta per mostrarci quante pitture s’indicavano come opere del Cavallini, quando lo scultore fiorentino negli ultimi anni del secolo decimoquarto visitava Roma.
Il Ghiberti scrive infatti1: «Fu in Roma uno maestro, el quale fu di detta città; fu dottissimo in fra tutti gl’altri maestri; fece moltissimo lauorio, e ʼl suo nome fu Pietro Cauallini. Et uedesi dalla parte dentro sopra alle porte 4 uangelisti di sua mano in Sancto Piero di Roma, di grandissima forma, molto maggiore che el naturale, et due figure: uno San Piero et uno San Pagolo, e sono di grandissime figure, molto excellentemente fatte et di grandissimo rilieuo; et così ne sono dipinte nella naue dallato; ma tiene un poco della maniera anticha cioè Greca. Fu nobilissimo maestro; dipinse tutta di sua mano Santa Cicilia in Tresteuere, la maggior parte di Sancto Grisogono; fece istorie [che] sono in Santa Maria in Tresteuere, di musayco molto egregiamente, nella capella maggiore 6 istorie.
Scarica gratis: Gli affreschi di Pietro Cavallini a Santa Cecilia in Trastevere di Federico Hermanin.