Gianni e la felicità
Traduzione dalle fiabe dei fratelli Grimm
di
Antonio Gramsci
tempo di lettura: 9 minuti
Gianni dopo aver servito per sette anni il suo padrone un giorno gli disse: «Signore, il mio tempo è compiuto, desidero tornare a casa da mia madre, datemi il mio salario».
Il padrone rispose: «Tu mi hai servito fedelmente e onestamente; quale il servizio tale il salario e gli dette un pezzo d’oro grande come la sua testa.
Gianni cavò dalla tasca il fazzoletto, avvolse il pezzo d’oro, se lo pose sulle spalle e si mise in cammino verso casa. Mentre così andava avanti un passo dopo l’altro, vide un cavaliere che fresco e gioioso gli galoppava vicino su un brioso cavallo.
«Ah – esclamò ad alta voce Gianni, – che bella cosa andare a cavallo! Uno si siede come su una sedia, si infischia delle pietre, risparmia le scarpe e cammina in fretta, senza accorgersene».
Il cavaliere, che aveva sentito, si fermò e gridò: «Ehi, Gianni, perché dunque vai a piedi?».
«Potrei benissimo fare altrimenti – rispose Gianni – perché sto portando a casa un massello d’oro; è proprio d’oro, tanto che non posso tenere la testa diritta, e mi schiaccia anche la spalla».
«Senti – disse il cavaliere, – facciamo un baratto: io ti dò il mio cavallo e tu mi dai il tuo massello d’oro».
«Molto volentieri – disse Gianni, – ma voi dovete mettermi su».
Il cavaliere scese, prese l’oro e aiutò Gianni a salire in groppa, gli mise le briglie in mano e disse: «Se tu vuoi andare molto in fretta devi schioccare la lingua e gridare hop!, hop!».
Gianni era molto lieto quando sedette sul cavallo e si allontanò sicuro di sé, a testa alta. Dopo un poco gli venne in mente di andare più in fretta e incominciò a schioccare la lingua e a gridare hop! hop! Il cavallo si mise a trottare velocemente, e prima ancora di accorgersene, Gianni fu sbalzato di sella e andò a cascare nella cunetta che separa i campi dalla strada provinciale. Il cavallo sarebbe anche scappato via, se un contadino, che camminava per strada spingendo una mucca, non lo avesse trattenuto.
Gianni si tastò tutte le membra e si risollevò in piedi. Tutto indispettito disse al contadino: «È un brutto affare andare a cavallo, particolarmente quando si incappa in un ronzino come questo che si adombra, ti getta giù di sella, in modo che ti puoi rompere il collo; non risalirò in sella mai più. Invece mi piace la vostra mucca, perché uno con comodità le va dietro e per giunta ha il latte, il burro e il formaggio ogni giorno assicurati. Che cosa non darei per avere una mucca così!».
«Ebbene – rispose il contadino, – procuratevi un così grosso piacere! Sono disposto a barattare la mia mucca col vostro cavallo».
Gianni accettò con immensa gioia; il contadino balzò sul cavallo e si allontanò al galoppo.
Gianni spingeva pacificamente la mucca innanzi a sé e rifletteva sul fortunato affare. «Se avessi anche un tozzo di pane, niente mi mancherebbe, poiché ogni volta che lo desidero, potrei mangiare insieme al pane burro e formaggio; se ho sete mungo la mia mucca e bevo il latte. Cuore mio, che desideri di più?».
Intanto giunse in un’osteria e si fermò; mangiò con grande piacere tutto ciò che aveva con sé, il suo pranzo e la sua cena fatti di solo pane, e con gli ultimi soldi si fece mescere un mezzo bicchiere di birra. Quindi spinse di nuovo innanzi a sé la mucca, sempre in direzione del villaggio di sua madre.
Il caldo diventava opprimente, tanto più che si avvicinava il mezzogiorno e Gianni si trovava in una landa che sarebbe durata ancora un’ora. Il caldo era insopportabile, tanto che per la sete la lingua gli si era incollata al palato.
«Bisogna porvi riparo – pensò Gianni, – mungerò la mucca per ristorarmi con il latte».
Legò la mucca a un albero morto e poiché non aveva un secchio, le pose sotto il suo berretto di cuoio, ma per quanto si desse da fare non venne fuori neanche una goccia di latte. E poiché insisteva anche se non era capace di mungere, la bestia impazientita gli vibrò, con la zampa posteriore, un tal calcio nella testa che egli rotolò a terra e per lungo tempo non poté comprendere dove si trovasse.
Per fortuna capitò un macellaio, che trasportava un maiale in una carriola. «Ecco un colpo ben assestato», gridò e aiutò il buon Giovanni a rialzarsi.
Gianni raccontò ciò che era successo. Il macellaio gli porse la sua bottiglia e disse: «Orsù, bevete e rimettetevi. La mucca non darà latte perché è vecchia e può servire solo per tirare il carro o per essere macellata».
«Ahimè – gridò Gianni, e si strappava i capelli dalla testa, – chi l’avrebbe pensato! Certo sarebbe un buon affare se si potesse macellare in casa questa bestia, per la carne che dà. Ma a me la carne di vacca non piace molto, non è abbastanza saporita. Ah, se avessi invece un maiale! È ben più saporito e per di più si fanno le salsicce».
«Sentite, Gianni – interruppe il macellaio – io farò con voi un baratto da amico: vi darò il maiale in cambio della mucca».
«Dio vi dia grazia», rispose Gianni, gli consegnò la vacca, fece scendere il maiale dalla carriola e prese in mano la corda con cui era legato.
Gianni pensava via facendo come tutto andasse secondo i suoi desideri, poi sentì un certo malumore perché col maiale non avrebbe fatto una bella figura al villaggio. Poco dopo si accompagnò a lui un giovanotto che sotto il braccio teneva una bella oca bianca. Passarono un po’ di tempo insieme e Gianni cominciò a raccontare delle sue fortune e come sempre avesse fatto dei baratti vantaggiosi.
Il giovanotto gli raccontò che portava l’oca a un pranzo battesimale. «Sentite un po’ – proseguì e gli offrì l’oca – com’è pesante, per otto settimane è stata ingrassata col pastone. Chi l’addenterà arrosto, dovrà asciugarsi il grasso che colerà dalle due parti della bocca».
«Sì – disse Giovanni e la soppesò con una mano, – pesa molto, ma anche il mio maiale non è mica una foglia».
Il giovanotto frattanto lo osservava da tutte le parti molto impensierito, scuotendo la testa di tanto in tanto. «Sentite – incominciò poi a dire – col vostro maiale non riesco a vedere molto chiaro. Nel paese, per il quale sono passato, proprio al sindaco ne è stato rubato uno dalla stalla. Temo che sia quello che conducete voi. Hanno mandato della gente in giro a cercarlo e sarebbe un brutto affare se vi intrappolassero col maiale; il minimo che vi può capitare è di essere cacciato in gattabuia».
Il buon Gianni fu soffocato dall’angoscia. «Ah – disse, – aiutatemi, voi siete più pratico dei luoghi qui intorno, prendete il mio maiale e datemi la vostra oca».
«Posso correre il rischio – rispose il giovanotto – non voglio che per colpa mia vi capiti una disgrazia».
Prese la corda e spinse in fretta il maiale in una via laterale; il buon Gianni invece se ne andò, alleggerito dalla sua preoccupazione, con l’oca sotto il braccio, verso il suo paese natale.
«A pensarci bene – diceva tra sé e sé, – nel baratto ho avuto un vantaggio: prima di tutto il buon arrosto, poi la quantità di grasso che ne farò sgocciolare, ciò che mi permetterà di mangiare pane con grasso d’oca almeno per tre mesi, e finalmente le belle piume bianche, con le quali riempirò il mio cuscino. Appoggiando la testa su un così morbido cuscino dormirò dei sonni bellissimi. Come sarà contenta mia madre!».
Quando arrivò all’ultimo villaggio, vide un arrotino che faceva girare la ruota del suo carretto e cantava:
«Arroto le forbici, giro rapido
e navigo secondo il vento».
Gianni si fermò a guardarlo; infine gli rivolse la parola:
«La va bene, eh? Girate la ruota con tanta allegria!».
«Sì – rispose l’arrotino, – il mio è un mestiere d’oro. Un buon arrotino è un uomo che ogni volta che si mette una mano in tasca, vi trova dei soldi. Ma voi, dove avete comprato quella bella oca?».
«Non l’ho comprata, l’ho barattata col mio maiale».
«E il maiale?».
«L’ho scambiato con una vacca».
«E la vacca?».
«L’ho ricevuta in cambio di un cavallo».
«E il cavallo?».
«Per il cavallo ho dato un massello d’oro, grande come la mia testa».
«E l’oro?».
«Ahimè, era il mio salario per sette anni di servizio».
«Si vede che avete sempre fatto buoni affari – disse l’arrotino, – adesso non vi resta che una cosa per assicurarvi la felicità completa: sentire tintinnare il denaro in tasca ogni mattino che vi levate dal letto».
«E come posso ottenerlo?», domandò Gianni.
«Potete diventare un arrotino come me; non è necessario per questo mestiere che avere una pietra per affilare; il resto si può trovare con la massima facilità. Io ho una pietra da affilare che è solo un po’ difettosa: per darvela non vi domando altro che la vostra oca; volete fare l’affare?».
«Come potete domandarmelo? – rispose Gianni, – diventerò uno degli uomini più felici della terra, avrò denaro ogni volta che metterò la mano in tasca; che cosa avrò più da temere?». Gli dette l’oca e ricevette la pietra.
«Orbene – disse l’arrotino, e sollevò una pesante pietra comune, che stava vicino a lui – vi do per sopramercato questa pietra potente, sulla quale potrete raddrizzare a meraviglia i vecchi chiodi. Prendetela e conservatela con molta cura».
Gianni si caricò della pietra e tutto contento riprese la via; i suoi occhi brillavano dalla gioia.
«Devo essere nato con la camicia – esclamò, – tutto ciò che desidero si avvera, come ad un uomo nato di domenica».
Intanto, poiché fin dall’alba era in piedi, incominciò a sentirsi spossato; la fame, inoltre, lo tormentava, poiché per la gioia di aver acquistato la mucca, aveva divorato tutte in una volta le provviste. Poteva appena camminare per la spossatezza e ad ogni momento doveva fermarsi per riposare; in più le pietre gli pesavano terribilmente.
Non poté trattenersi dal pensare a come sarebbe stato bello se non avesse dovuto portarle in quel momento. Avanzò come una lumaca, pian piano, verso una sorgente; voleva riposarsi lì e ristorarsi con l’acqua fresca; ma perché le pietre non si danneggiassero nel porle giù, le appoggiò attentamente vicino a sé sull’orlo della fontana. Volle poi sedersi e si chinò per bere, ma inavvertitamente urtò le due pietre che caddero nell’acqua.
Gianni, quando coi propri occhi le vide affondare, saltò dalla gioia, si inginocchiò e ringraziò Dio con le lacrime agli occhi, perché gli aveva accordato anche quella grazia, e in così bel modo e senza che egli dovesse farsene un rimprovero l’aveva liberato da quelle pesanti pietre che gli avrebbero procurato ancora tanta molestia.
«Che uomo felice sono – esclamò, – non ce n’è un altro come me sotto il sole».
Col cuore leggero e libero da ogni impedimento, riprese il cammino rapidamente e giunse a casa di sua madre.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Gianni e la felicità
AUTORE: Antonio Gramsci
CURATORI: Fubini, Elsa e Paulesu, Mimma
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Favole di liberta / Antonio Gramsci ; a cura di Elsa Fubini e Mimma Paulesu ; introduzione di Carlo Muscetta. - Firenze : Vallecchi, 1980. - XXXIII, 164 p. ; 22 cm.
SOGGETTO:
JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti
JUV012030 FICTION PER RAGAZZI / Fiabe e Folclore / Generale