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(voce di Luca Grandelis)La realtà radicale, quella in cui si radicano tutte le realtà, è la vita di ciascuno. Non «le cose», né tanto meno «l’io», ma la mia vita. Cioè «io e la mia circostanza», per dirla con la celebre espressione di Ortega y Gasset.
Julían Marías, filosofo castigliano morto a Madrid nel 2005, prende le mosse dalla conclusione del suo maestro Ortega per fondare la propria metafisica della persona. La realtà della persona, prima che pensata, si impone, la sua essenza non è un concetto filosofico, ma il corpo, questo corpo, che manifesta la persona senza esaurirla in sé (detto in altri termini, il corpo manifesta la persona in maniera simbolica: la persona eccede sempre il corpo, come ogni realtà si dà nel simbolo in maniera non oggettivabile, non esaustiva). La persona si dà sempre in maniera insospettata a un «tu» che la accoglie e la comprende come quell’altro-da-sé che lo completa nella relazione.
La persona di Marías è una novità continua, «progetto futuribile» mai del tutto realizzato; in perenne evoluzione, e per questo sempre instabile, insicuro, vulnerabile. La persona è eternamente in movimento, impossibile da fermare e da studiare (sia dall’interno – col rischio di cadere ad ogni passo nella soggettività e nella psicologia – sia dall’esterno – dove il pericolo è quello di ridurre l’uomo a una «cosa», un oggetto d’indagine).
«La persona è un arcano, persino a se stessa»; sempre sull’orlo della «spersonalizzazione», termine con cui l’autore designa la possibilità che la persona smarrisca la sua essenza, la sua vocazione, per finire nella disillusione, nell’errore, o peggio ancora nella malvagità (possibilità rigorosamente umana, preclusa all’animale).
I caratteri immediati della persona sono, come accennato, le circostanze e la vocazione (quest’ultima così tratteggiata: «a ciò che è strettamente personale non si può rinunciare senza cessare di essere se stessi»): essi costituiscono la struttura della persona, configurandola come permanenza del progetto (termine che non deve far pensare erroneamente ad alcuna forma di sostanza). Struttura assolutamente singolare: l’io della persona è quello del pronome, non quello generico del das Ich dell’idealismo tedesco. Ma la sua prerogativa è la relazionalità: «a differenza di ciò che Leibniz pensava delle monadi, le persone hanno finestre».
Tuttavia, al di là di ogni schematizzazione semplificativa (e riduttiva), Marías evidenzia che il problema principale della filosofia della persona è la mancanza di categorie adeguate (a causa di una tradizione filosofica che si è concentrata – e con enormi successi – sullo studio della «cosa»). Ecco perché in questo ambito si corre continuamente il rischio di essere fraintesi: «il peso delle idee ricevute è tale, che si sovrappongono a ciò che vediamo, a ciò che emerge dinanzi agli occhi». Eppure la persona è lì prima che possiamo incominciare a pensarla. Si tratta solo di sgomberare il campo dai pregiudizi concettuali e far posto all’uomo, nella sua unicità, con tutto il suo carico di imprevedeibilità e fors’anche di pericolosità. Ma bisogna avere il coraggio di «prendere l’evidenza sul serio», anche se può essere spiacevole. Una grande lezione di filosofia.
Julían Marías, Persona. Mappa del mondo umano, ed. Marietti, 2011, pp. 165, euro 24. A cura di Armando Savignano.