Alcuni stralci di questo romanzo comparvero nel novembre 1888 sulla rivista danese “Ny Jord”. Nel 1890 venne pubblicata l’edizione integrale a Christiania, che all’epoca era il nome dell’odierna Oslo. In questa occasione l’autore – che aveva pubblicato fino a quel momento i romanzi di valore esiguo Den Gaadefulde (1877), Et Gjensyn, Björger (1878) – adottò in modo definitivo lo pseudonimo Knut Hamsun.

Sult (Fame) non tardò ad essere riconosciuto come un vero capolavoro, dopo un iniziale stupore da parte della critica che si trovò disorientata dall’estrema novità del testo; fu paragonato inizialmente a Studenti contadini di Garborg che rientrava più facilmente nei canoni e nei confini del realismo. Per la novità di stile, per la ricerca psicologica e per un’ardita visione della realtà il romanzo rappresentò una svolta di rottura apportata all’Europa dalla letteratura nordica, iniziata in realtà dal giovane Bjørnson – premio Nobel per la letteratura nel 1903 – e da Strindberg con il suo Inferno. Ed è una rottura la cui violenza lettrici e lettori sentiranno ancora oggi.

L’io narrante è un giovane scrittore di Christiania, nei cui tratti e nelle cui esperienze si riconosce facilmente lo stesso Hamsun; infatti prende certamente spunto da alcune esperienze personali dell’autore ma non può essere considerato come romanzo autobiografico. Il protagonista trascorre un periodo di solitari deliri e tortuose riflessioni tentando di sopravvivere con sporadiche collaborazioni giornalistiche, che spesso falliscono, costringendolo a lunghi periodi di digiuno, sempre in attesa dell’occasione per poter manifestare il proprio genio letterario. Impegna tutto ciò che possiede (cerca di impegnare persino i consunti bottoni della sua giacca) girovagando in stato di grave denutrizione per la città; se non dispone neppure più di una stanza scrive seduto sulle panchine del parco. Inoltre il suo orgoglio lo porta a respingere qualsiasi offerta di aiuto. Le sue azioni bizzarre si moltiplicano, destando la curiosità dei passanti; dona ai poveri i suoi ultimi spiccioli, vivendo l’illusione di una magnanima grandezza. Quando incontra per strada una giovane donna inizia a seguirla a distanza e inventa per lei un nome, Ylajali, e vede in lei, con la sua fantasia, una sorta di fata salvatrice. La giovane invece immagina di essere seguita per amore e imputa il comportamento stravagante del ragazzo agli eccessi alcolici. Si crea una sorta di complicità tra i due ma l’incantesimo va in frantumi quando “Ylajali” comprende la verità e ne ha paura. Il degrado del giovane scrittore si approfondisce ulteriormente e finalmente egli trova il coraggio di farsi ingaggiare come marinaio su una nave russa. Le finestre illuminate di Cristania si allontanano fornendo uno squarcio panoramico e letterario rimasto giustamente famoso nella storia della letteratura.

Sono abbastanza evidenti i riferimenti letterari dai quali Hamsun viene influenzato: Da Dostoevskij a Mark Twain al già citato Strindberg; è evidente anche quello che viene ereditato da Zola; ma è altrettanto certo che riesce a fondere queste influenze in una sua peculiare e caratteristica visione che fa di questo romanzo un capolavoro, come emerge con forza fin dalle prime pagine. Dal naturalismo, per esempio, lo allontana la sottile ironia che percorre tutto il romanzo. Il tema centrale della narrazione è completamente irrazionale; lo stile risulta imprevedibile nelle sue inattese variazioni linguistiche e precorre le più avanzate tecniche narrative del novecento, tramite l’analisi di ciò che avviene in un corpo affamato, l’allucinato torpore che si alterna ad eccitamento nervoso oscillante tra fantasie di grandezza e inquietudine di morte. Gli oggetti più insignificanti assumono una inattesa e determinante importanza, dai già citati bottoni a un mozzicone di matita dimenticato nelle tasche di un indumento portato al banco dei pegni.

Walter Benjamin dice, in Avanguardia e rivoluzione (Torino, 1973):

«Com’è noto, proprio nella letteratura tedesca ci sono alcune grandi versioni dell’eroe sventato, buono a nulla, perdigiorno e malandato. Un maestro nell’arte di creare questi personaggi, Knut Hamsun, è stato celebrato solo da poco […] I personaggi di Hamsun provengono dal mondo primitivo dei fiordi, sono individui mossi dalla nostalgia dei troll.».

L’io narrante di Fame evolve infatti in personaggi dei romanzi successivi di Hamsun, fra tutti si può ricordare Hohan Nilsen Nagel protagonista di Misteri, sempre in conflitto con i sentimenti delle masse, con i falsi miti del mondo in cui vive, con le ideologie che dilagano tra pretese di scientificità e naturalismo fasullo. A tutto questo, cerca di contrapporre, proprio come l’io narrante di Fame, istinto e intuizione. Misteri segue di soli due anni Fame, ma gode di una diversa complessità di trama. Resta la versione moderna, ma tragica, del perdigiorno anarchico-romantico, che vive fino in fondo l’avventura del ribelle, al di fuori di qualunque valore che non sia la vita stessa. Per queste ragioni sia Thomas Mann che il già citato Benjamin (ma anche ad esempio Kasimir Edschmid che definì Hamsun «creatore di un impressionismo fenomenico di portata europea, ma espressionista nel contenuto, tipico come forse nessun altro per quest’epoca») vedono Hamsun come originale seguace di Nietzsche.

Certamente pensare che il contestatore proletario, portatore di libertà zingaresca in fuga da ogni restrizione sociale abbia potuto vivere così a lungo da trasformarsi nel traditore e collaborazionista con l’occupante nazista della sua Norvegia, porta a un senso di disagio. Però se leggiamo Per i sentieri dove cresce l’erba (che in italiano ha assunto il titolo di Io, traditore) ritroviamo nella desolante descrizione e ammissione di colpevolezza il filo rosso che collega l’antico contestatore di fine secolo XIX con il portatore di una vecchiaia umiliata e colpevole. In una certa maniera Hamsun diviene, con la sua lunga esistenza che lo porta ad essere contemporaneo di Zola ma anche di Pavese, nascendo sedici anni prima di Rilke e morendo undici anni dopo Joyce, il più fecondo oggetto di studio per quello che concerne il rapporto, sempre controverso, tra intellettuali e potere, tra rivoluzionari e totalitarismo.

Verdinois, che traduce per la prima volta in italiano nel 1921 questo romanzo – subito dopo l’assegnazione del premio Nobel –, si sforza di riprodurre nella nostra lingua le invenzioni stilistiche e linguistiche dell’autore. L’esito non sempre è ottimale, ma resta certamente suggestivo, anche con alcuni espedienti di derivazione dialettale (“Via mo, fate il piacere”, “Aspetta, ve’!”); traduce “agucchiaruolo” l’originale “Naadler” che in italiano sarebbe forse più preciso tradurre con “agugliatore”, rispettando così anche l’origine nautica del termine originale che si applica soprattutto al rammendatore di vele. Ervino Pocar, che opera una traduzione più sobria – e certamente più moderna – opta invece per “ciabattino” perdendo, almeno in questo caso, una parte dello spirito dell’originale, perché il seguito “ma so fare anche le scarpe” non sembra del tutto coerente.

L’unica versione cinematografica che conosco è del 1966 con regia di Henning Carlsen, che riesce ad ottenere un’opera memorabile quanto il romanzo dal quale è tratta; tra l’altro è il primo esempio di co-produzione tra i tre paesi scandinavi Danimarca, Norvegia e Svezia. Carlsen, che con questo pluripremiato film costruì la propria immagine di icona del cinema danese, regala alla storia del cinema alcune sequenze davvero indimenticabili.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

NOTA: si ringrazia la Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova per la disponibilità dimostrata fornendoci generosamente le scansioni dell’originale.

Dall’incipit del libro:

Tutto quel che segue accadde in quel tempo, che io andavo qua e là attorno per Cristiania, soffrendo la fame… Strana cosa la fame… Su chiunque l’abbia un sol giorno provata, essa imprime il suo suggello.
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Io non dormivo nella mia soffitta e sentii battere le sei all’orologio da basso. Era quasi giorno chiaro e già per le scale incominciava il solito tramestìo. Nella parte inferiore della parete, presso la porta, dove erano incollati dei numeri arretrati del Giornale del Mattino, decifravo distintamente la firma dell’Ispettore del Faro, e in più grossi caratteri l’avviso del prestinaio Fabiano Ilsen, che vendeva pane fresco.
Aprendo gli occhi, cominciai a fantasticare, secondo una vecchia abitudine, a quel che mi aspettava di più o meno piacevole nella giornata.

Scarica gratis: Fame di Knut Hamsun.