Esclusi è un romanzo del 1937. Carlo Bo così lo valuta: “Uno dei libri più significativi del Descalzo e dell’opera in prosa l’esempio più concreto e riuscito”.
Medea e Giancino sono due disgraziati giovani, soli al mondo e s’incontrano ai margini della società – lui garzone inetto e maltrattato di una falegnameria e lei, in quella stessa falegnameria in ricerca dei trucioli di legno per fare un poco di fuoco –; divenuti marito e moglie trascorrono l’esistenza girovagando secondo il metodo degli zingari e non hanno né volontà né capacità di inserirsi nel comune consorzio umano. Il mondo con il suo progresso e le sue attrattive rimane per loro incomprensibile, misterioso e sconosciuto.
È chiaro che l’obiettivo dell’autore è di porre nello spirito del lettore un profondo disagio morale attraverso uno squallore che non è solo nell’ambiente ma anche e soprattutto nell’animo dei personaggi; la peculiarità di questo romanzo sugli “esclusi” è che, conforme all’atteggiamento consueto dell’autore, non vi si trova alcuno spunto polemico, per così dire “di classe”, ma si limita al tentativo di far riflettere sulle miserie di una parte dell’umanità.
Come sempre lo spunto e l’ispirazione viene dalla vita reale e dalle osservazioni che Descalzo ha potuto fare. Adriano Grande sottolinea che “la vicenda romanzesca trae i suoi elementi dalla vita dei pescatori e della povera gente di Sestri Levante”. Carlo Bo afferma che la “vicenda reale che aveva colpito l’immaginazione del Descalzo (e per avere una riprova basterà informarsi sul posto stesso della storia, dell’autenticità, direi dell’anagrafe dei personaggi del libro) era in qualche modo già conchiusa in se stessa”.
La vicenda di due figli della coppia, Stella prima e Nerino poi, sta a indicare, secondo me, non tanto una possibilità di salvezza, quanto il fatto che proprio attraverso la disperazione germogliano i fiori più apprezzabili dell’umanità. La speranza non abbandona mai nemmeno i più disperati e il fiore che nasce dal letame non rappresenta un’eccezione ma l’ultimo stadio di un cammino che negli altri si ferma al primo gradino. Tutto questo perchè il mondo degli “esclusi” descritto da Descalzo non è in realtà un mondo né di perversi né di infelici. Ricevono il male e mai lo restituiscono; spaziano dal dolore non emendabile e verso il quale nulla si può opporre, alla felicità che nasce dalla capacità di appagarsi di piccole cose. Il tutto immerso in una svagata indifferenza consolidata dall’abitudine a rimanere estranei alle vicende del mondo, e persino al linguaggio di questo, per mezzo di una attonita meraviglia che solo apparentemente può sembrare ottusa ma che è invece indice di totale innocenza e che l’autore sembra presentare addirittura come auspicabile di fronte a una società che sta per perdere la consapevolezza di se stessa. Tanto che Descalzo abbandona il personaggio di Stella una volta emancipata dal condizionamento familiare. Non possiamo sapere quindi se il cammino di questa “esclusa” in direzione dell’imborghesimento la porterà a una maggiore felicità e se sarà capace di conservare il suo candore.
Per tutte queste ragioni Esclusi non sembra poter essere annoverato tra i romanzi sociali, essendo lontano dai valori tipici di questo genere che si estrinsecano in denuncia, ribellione e riscatto. Dice Giuliano Manacorda che se vogliamo trovare dei riferimenti concreti a questo romanzo di Descalzo dobbiamo cercare nei romanzi di Arthur van Schendel (Un vagabondo innamorato e Un vagabondo smarrito) e nei Vàgeri di Lorenzo Viani.
Giacomo Debenedetti fu invece molto severo nella critica a questo romanzo e in Fare il romanzo, saggio compreso in Cronache letterarie, ne parla come un concentrato di difetti dell’intellettualismo della peggiore specie. “quello dei non intellettuali, sprovvisti di armi critiche per isolarlo e reagirvi”. “Questo popolano che si metteva sotto la tutela della letteratura, questo «discepolo bendato» aveva sbagliato tutto: «era un breve e caro poeta» e diventa un pessimo romanziere, che costruisce personaggi che sembrano attori che recitino la loro parte, stende un reportage di un ambiente e continuamente interviene a spiegarcelo, vuol mostrarci il dolore e l’abiezione e ci descrive la verminaia e lo stupro, ci vuol commuovere e ci offende, infine ripete cinque o sei volte le stesse situazioni usando tutto il repertorio del romanzesco, la prostituta, l’epilettico, il padre che stupra la figlia, il birro, l’anarchico…» Sembra quasi che al noto critico dia forte disturbo che un “popolano” possa addentrarsi nel terreno della letteratura e, ancor peggio, non voglia raccontare una storia d’amore tratteggiando il consueto mondo borghese, ma rivolga invece il suo vigore narrativo ad una drammatica condizione umana, e senza imitare nessuno, proprio perché autodidatta, parli delle cose delle quali aveva diretta esperienza. Su “Circoli” n. 2 del 1937 nella rubrica «Letture» fu Indro Montanelli a difendere il romanzo dalla stroncatura di Debenedetti il quale, disse Descalzo stesso, “del libro capì ben poco, e ciò potrebbe infirmare anche il valore di altre sue interpretazioni”.
Certamente Descalzo non pare preoccupato di “fare il romanzo” costruendo invece una storia che scorre lungo una vita priva degli snodi narrativi tipici costituiti da imprevisti, sciagure, colpi di fortuna e dove invece gli avvenimenti si susseguono lungo gli anni con al centro le vicende della famiglia di Medea e Giancino e dei loro figli sempre guardati con l’occhio descrittivo; i fatti sono già di per sé eloquenti, pare volerci dire Descalzo, e non richiedono un ulteriore commento. La sua preoccupazione non è quella di trasformare liricamente il mondo ponendolo sotto un punto di vista soggettivo, lasciando che sia lo svolgimento stesso delle cose e degli avvenimenti ad esercitare un proprio potere evocativo naturale. La parte migliore dei suoi sentimenti, oltre che la sua intelligenza, lo ha trattenuto da ogni cedimento nei confronti di una letteratura dimostrativa e programmatica, astenendosi rigorosamente dal trasformare i suoi personaggi in simboli. Sta in questo appunto la forza e la validità di Esclusi, nell’aver rifiutato uno sfruttamento laterale che la materia avrebbe offerto molto facilmente.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Medea entrava prima che fosse buio, quasi tutte le sere. Faceva una sosta su l’uscio, guardava dentro torcendo il collo sforzandosi di vedere, poi se attorno ai due banchi dei falegnami scorgeva i trucioli ammonticchiati chiedeva:
— Posso prenderli?
Nessuno glielo impediva. S’accucciava in terra, strisciava guardando di non urtare nelle gambe dei lavoratori e ricolmava il suo sacco di morbidi riccioli di legno che odoravano forte di resina. Se le capitava tra le mani qualche sciavero, qualche arnese caduto, badava a metterlo in disparte. Non avevano mai dovuto lagnarsi di lei che non si sarebbe azzardata a insaccare neppure una scheggia temendo fosse ancora utilizzabile, per cui, anche se il laboratorio era deserto, poteva entrare e raccattare i trucioli senza tema di essere sgridata.
Una sera, annaspando per il solito lavoro, le mani incontrarono una pialla. Alzandosi per riporla sul banco s’accorse che in uno spigolo s’era appiccicata la segatura e volendo essere diligente la ripulì. Le dita le si fecero attaccaticcie; s’avvide che l’umido non era di colla o di vernice e strofinandola con le sottilissime falde di legno le parve di vedere traccia di rosso, forse di sangue.
Scarica gratis: Esclusi di Giovanni Descalzo.