Inaugurata nella storica Chiesa della Confraternita dell’Annunziata a Bubbio, “Emorragia” dell’artista brasiliano Mora si presenta come un audace esperimento di arte contemporanea, sospesa tra il ready-made e la performance teatrale. Curata da Ingrid Rampini e parte del Festival Contemporaneo organizzato dall’Associazione Culturale Circolo Paulista, l’opera si erge come un potente commento sociale e estetico, interrogando la funzione dell’arte moderna e la sua capacità di provocare e riflettere.
Una Provocazione tra Sacro e Profano
“Emorragia” si colloca in uno spazio sacro trasformato in arena di provocazione visiva e sensoriale. La Chiesa della Confraternita dell’Annunziata, con la sua facciata barocca e il portale settecentesco, diventa il palcoscenico di un’opera che sfida le convenzioni estetiche e morali. Mora utilizza oggetti quotidiani come strumenti chirurgici e piatti sterili per costruire una mise en place che denuncia la disintegrazione della corporeità e dell’intimità, creando un contrasto tra il sacro e il profano.
Il Ritorno al Ready-Made e la Critica al Canone Estetico
L’opera di Mora si rifà al ready-made di Marcel Duchamp, trasformando oggetti comuni in strumenti di riflessione critica. L’installazione, priva di corpi da nutrire, espone resti anatomici e un lettino ginecologico, simbolo di violazione e vulnerabilità personale. Questi elementi, disposti con una precisione glaciale, criticano la perdita di protezione e la vulnerabilità della condizione umana, enfatizzando il concetto di decadenza attraverso una rappresentazione crudele e surreale.
La Centralità del Sangue e la Dialettica Negativa
Il sangue è l’elemento centrale di “Emorragia”, simbolo di vita e salvezza che si svuota, lasciando solo residui colanti. Questa immagine di decadenza si estende ai lembi insanguinati del lenzuolo steso a terra e ai rossi barbuglianti che decorano le pareti. La contaminazione del cotone bianco e il contrasto con gli scarti insanguinati sono emblematici di una dialettica negativa, in cui la bellezza tradizionale viene rifiutata a favore di una riflessione più profonda sulla mortalità e la vulnerabilità.
La Dissonanza Sonora: Tra Jazz e Cacofonia
Il sound track “Emorragia”, della durata di 9 minuti e 20 secondi, è un elemento cruciale dell’esperienza, amplificando l’effetto della installazione. La composizione sonora, curata dal sassofonista tedesco Mario Rechtern, dalla cantante jazz americana Linda Sharrock e dall’attore italiano Marco Berta, è caratterizzata da una dissonanza voluta. La trama compositiva si piega verso una melodia in cui il canto del sassofono arranca, il jazz si spinge verso gli effetti spuri della musica dodecafonica e si avvicina a una cacofonia ribelle. Questo approccio sonoro riflette il respiro della morte e il rantolo che la precede, accentuando la drammaticità della scena e sottolineando la tensione visiva e concettuale dell’installazione.
La Contraddizione e la Fine della Bellezza Tradizionale
“Emorragia” segna una dissonanza con la sacralità del luogo, un tempo dedicato al culto e ora teatro di una provocazione estetica. Le linee curve e le spirali che decorano l’installazione, pur richiamando motivi barocchi, enfatizzano la sconsacrazione e la deflorazione del canone estetico tradizionale. L’opera di Mora non cerca la bellezza convenzionale, ma esplora la dialettica negativa, proponendo un’opera che sollecita una riflessione immediata e profonda. Resta aperta la domanda se una scena teatrale statica senza attori viventi possa ancora essere considerata teatro. La risposta suggerisce che, in un ordine naturale volto alla vita, non c’è spazio per una bellezza del sangue, della violenza e della morte, se non in contesti degenerati.
Conclusione: Un’Esperienza Profondamente Provocatoria
Al termine del brano, con gli applausi del pubblico e la conclusione di Mora – “we close the eyes and we recognise the space, the sidereal space” – l’esperienza si chiude lasciando un segno indelebile. “Emorragia” è più di un’opera d’arte; è un viaggio profondo nella condizione umana, un grido contro l’indifferenza e un invito alla riflessione collettiva e individuale. Mora riesce a creare un’opera che, sospesa tra le arti visive e il teatro, stimola una riflessione critica e senza compromessi sul nostro rapporto con l’arte e la realtà.