Elsa la furba

Traduzione dalle fiabe dei fratelli Grimm

di
Antonio Gramsci

tempo di lettura: 6 minuti


C’era un uomo che aveva una figlia, chiamata Elsa la furba.
Quando fu cresciuta, il padre disse: «Bisogna trovarle un marito».
«Sì – disse la madre, – bisogna trovare uno che la voglia».
Finalmente venne di lontano un tale chiamato Giovanni, che voleva sposarla, ma pose la condizione che Elsa la furba fosse davvero molto giudiziosa.
«Oh – disse il padre, – ha molto cervello in testa!».
E la madre aggiunse: «Vede il vento nella strada e sente tossire le mosche».
«Sì – concluse Giovanni, – se non è molto giudiziosa, io non la prendo».
Quando sedettero a tavola e dopo aver mangiato, la madre disse: «Elsa, va’ in cantina e porta su della birra».
Elsa la furba staccò il boccale dal muro, andò in cantina e strada facendo sbatteva il coperchio per non annoiarsi.
Arrivata giù, prese un banchetto e lo pose dinanzi alla botte, per non doversi curvare e per non farsi male, caso mai, alle spalle e non procurarsi qualche danno inaspettato. Quindi mise il boccale al suo posto e aprì la cannella; mentre la birra cadeva giù, perché i suoi occhi non rimanessero inoperosi, guardò la parete in alto di qua e di là e notò proprio sopra di sé un coltello, che i muratori inavvertitamente vi avevano piantato.
Elsa la furba cominciò allora a piangere e disse:
«Se sposo Giovanni e abbiamo un figlio ed egli diventa grande e lo mandiamo in cantina a spillare la birra, allora gli casca il coltello sulla testa e lo uccide».
Si sedette, e pianse e si mise a urlare con tutte le forze che aveva in corpo, sulla disgrazia imminente.
Quei di sopra aspettavano per bere, ma Elsa la furba non veniva mai. Allora la signora disse alla domestica: «Vai giù in cantina a vedere perché Elsa ritarda tanto».
La domestica andò e la trovò che, seduta dinanzi alla botte, gridava forte.
«Elsa, perché piangi?», domandò.
«Ahimè! – rispose, – e come potrei non piangere? Quando sposerò Giovanni, avremo un figlio, egli diventerà grande e dovrà venir qui a spillare la birra, allora forse quel coltello gli cadrà sulla testa e lo ucciderà».
La domestica disse: «Ma che furba Elsa abbiamo!», le si sedette vicino e incominciò anche lei a piangere sulla disgrazia.
Dopo un poco, poiché neanche la domestica ritornava, e quei di sopra avevano sempre più sete, il padrone disse al domestico: «Vai giù in cantina e vedi perché Elsa e la domestica tardano tanto!».
Il domestico scese e vide Elsa la furba e la domestica che, sedute, piangevano. Domandò: «Perché dunque piangete?».
«Ahimè – rispose Elsa, – come potrei non piangere? Quando sposerò Giovanni, avremo un figlio, che diventerà grande e verrà qui a spillare la birra, allora quel coltellaccio gli cadrà sulla testa e lo ucciderà».
Il domestico esclamò: «Ma che furba di una Elsa abbiamo!», si sedette vicino a loro e cominciò a ululare a grandissima voce.
Su aspettavano il domestico, ma siccome egli non tornava mai, il marito disse alla moglie: «Va’ dunque tu in cantina e vedi perché Elsa ritarda».
La moglie scese e trovò i tre in lacrime e ne domandò la causa; anche a lei Elsa raccontò che il suo futuro figlio sarebbe stato ucciso dal coltello quando sarebbe stato grande e avesse voluto spillare la birra, e il coltello gli sarebbe caduto addosso.
Anche la madre esclamò: «Ma che furba di una Elsa abbiamo!», si sedette e pianse a dirotto.
Il marito sopra aspettò un po’, ma poiché la moglie non tornava e la sua sete diventava sempre più forte disse: «Andrò io stesso in cantina e vedrò perché Elsa non viene».
Quando però giunse in cantina vide tutti che sedevano in fila e piangevano e ne udì la ragione e che la colpa era del figlio che Elsa, un giorno, avrebbe messo al mondo e che avrebbe potuto essere ammazzato dal coltello, poiché certamente nel momento in cui questo sarebbe caduto, il figlio sarebbe stato seduto sotto la botte a spillare la birra, allora gridò: «Ma che furba di una Elsa!», si sedette e pianse anch’egli come gli altri.
Il fidanzato rimase a lungo solo di sopra, e poiché nessuno tornava, pensò: «Forse m’aspettano sotto, bisogna che scenda per vedere che cosa fanno».
Scese e li trovò tutti e cinque che gridavano e si lamentavano pietosissimamente, uno più dell’altro.
«Che disgrazia è accaduta?», domandò.
«Ahimè, caro Giovanni – rispose Elsa, – quando ci sposeremo e avremo un figlio, e crescerà e noi forse lo manderemo qui a spillare la birra, allora quel coltello che è rimasto lassù piantato, se cadrà, gli fracasserà la testa ed egli morirà; come possiamo non piangerlo?»
«Orsù – disse Giovanni, – un maggior senno non è necessario per governare la casa; poiché sei una Elsa così furba, io ti voglio per moglie», la prese per mano, la ricondusse su e la sposò.
Dopo un po’ di tempo Giovanni disse: «Moglie, devo andare a lavorare per guadagnare un po’ di denaro; tu va’ nel campo e mieti il grano, perché non ci manchi il pane».
«Sì, mio caro Giovanni, lo farò».
Dopo che Giovanni fu partito, si preparò una buona polenta e se la portò nel campo. Quando arrivò cominciò a domandarsi: «Che devo fare? Mieto prima o mangio prima? Ebbene, prima mangerò».
Si mangiò tutta la pentola di polenta e quando fu sazia, si domandò ancora: «Che cosa devo fare? Mieto prima o prima dormo? Ebbene, voglio prima dormire».
Si sdraiò sul grano e si addormentò.
Giovanni era già tornato a casa da un pezzo, ma Elsa non ritornava mai e Giovanni disse: «Ma che furba di una Elsa ho preso per moglie: è così laboriosa, che non torna mai a casa e si dimentica di mangiare».
Poiché la moglie non rincasava ed era venuta la sera, Giovanni uscì per vedere quanto grano avesse falciato; ma non c’era nulla di mietuto ed Elsa, sdraiata fra le spighe, dormiva.
Giovanni tornò rapidamente a casa, prese una rete da uccellare con tanti campanellini e gliela distese sul corpo; ed ella continuava a dormire della più bella. Quindi Giovanni tornò a casa, chiuse a chiave la porta, si sedette su una sedia e si mise al lavoro.
Finalmente quando già era buio, Elsa la furba si svegliò e quando si levò qualche cosa la imbarazzava e ad ogni suo passo i campanellini tintinnavano. Si spaventò, non fu più sicura di essere veramente Elsa la furba e si disse: «Sono o non sono io?».
Ma non sapeva che cosa rispondere a questa domanda e rimase a lungo dubbiosa; finalmente pensò: «Andrò a casa e domanderò se sono io o se non lo sono; loro lo sapranno».
Corse alla porta di casa, ma la trovò sprangata; bussò alla finestra e gridò: «Giovanni, Elsa è in casa?».
«Sì – rispose Giovanni, – è in casa».
Elsa, spaventata, esclamò: «Dio mio, dunque non sono io», e andò a un’altra porta: ma la gente udendo il tintinnio dei campanelli non le volle aprire ed ella non trovò ricovero in nessun posto.
Allora scappò dal villaggio e nessuno più la rivide.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Elsa la furba
AUTORE: Antonio Gramsci
CURATORI: Fubini, Elsa e Paulesu, Mimma

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Favole di liberta / Antonio Gramsci ; a cura di Elsa Fubini e Mimma Paulesu ; introduzione di Carlo Muscetta. - Firenze : Vallecchi, 1980. - XXXIII, 164 p. ; 22 cm.

SOGGETTO:
JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti
JUV012030 FICTION PER RAGAZZI / Fiabe e Folclore / Generale