Cominciamo dal titolo: Frescura si autodefinisce un imboscato, a causa di uno dei curiosi episodi raccontati nel libro: un generale, credendo di avere davanti il figlio di un altro generale (più potente di lui), lo tratta con i guanti, salvo cambiare umore quando scopre la verità:

«— Prego, prego… Bravissimo… In cosa posso servirla?… Ma si accomodi, prego… no, no, non qui sulla panca… Piantone! di’, piantone, mannaggia l’anima tua, porta «’na sedia di corsa». Ma si accomodi la prego… Mi dica… — e poi: — Ella, scusi, è il figlio del signor generale?
Ho risposto:
— Nossignore. Il figlio del signor generale è tenente di artiglieria… Io sono un ufficiale del Comando…
Il colonnello mi ha guardato, con la meravigliosa aria fra il seccato e lo sprezzante dei meridionali, piegando la bocca e socchiudendo un occhio:
— Ah! ufficiale del Comando? Imboscato, eh? — e accennandomi la panca: — Assettateve…»

In realtà, dice Frescura, c’è sempre qualcuno più imboscato degli altri: la gradazione va dal soldato di pattuglia al “comandato al Ministero della Guerra, in Roma” dove non arrivano né i cannoni, né la flotta, né gli aeroplani. Così avviene che il soldato di pattuglia, ritornando nella trincea, dice ai suoi compagni che sono rimasti nel pericolo minore: “Ah, siete qui, eh, imboscati?”.

Arruolatosi volontario nel 1915, da convinto interventista, venne inquadrato nella milizia Territoriale come sottotenente. Durante la guerra ottenne due medaglie al valore (bronzo ed argento), e venne promosso capitano. Il libro è un vero e proprio diario, con le annotazioni in rigoroso ordine cronologico, che consentono di conoscere i cambiamenti che nel tempo avvengono nell’animo di Frescura: pur mantenendo quasi sempre un tono ironico e satirico, traspare dalle prime pagine l’entusiasmo per la guerra e per D’Annunzio, che incontrerà, ma andando avanti nella lettura si trova la pietà per i morti, e la sofferenza dei civili e dei feriti, e la rabbia per l’insipienza degli alti comandi (Cadorna). Totalmente privo di retorica (uno dei pochi testi con questa caratteristica), si scaglia contro la retorica e le bugie spacciate dai giornalisti di guerra (“Il Corriere della Sera”, e in particolare Barbini e Fraccaroli sono i suoi bersagli). Interessanti sono la descrizione degli episodi di autolesionismo (e conseguenti processi sommari e fucilazioni), e la sostanziale estraneità dei soldati, anche quelli che combattevano valorosamente, alle ragioni della guerra: per sottolineare il valore della testimonianza di Frescura, Rigoni Stern (che ha ripubblicato per Mursia nel 1981 il libro) riprendeva il giudizio espresso da Mario Isnenghi nel suo I vinti di Caporetto, uscito nel 1967:

«[Frescura] Ha parlato a favore della guerra ma il suo Diario di un imboscato è uno dei più puntigliosi nel documentare gli elementi di dissenso ed estraneità, che fanno dei soldati, rispetto a chi comanda e vuole la guerra, quasi gli abitanti di un altro pianeta.»

Le pagine più dolorose sono quelle di Caporetto. Lo sfaldamento totale è descritto in modo impressionante, offrendo forse le pagine più efficaci nell’ampia letteratura memorialistica sulla terribile rotta. Ci parla dei pochi eroi silenziosi che vanno a bruciarsi nei focolai di resistenza, di donne e civili terrorizzati, dei saccheggi compiuti mentre il nemico in ogni momento può irrompere; è un mondo che si schianta. Ancora viene offerto qualche momento tragicomico anche nella fuga, ma davvero il senso della caduta imminente è ben reso, rendendo per certi aspetti quasi miracolistico l’epilogo trionfale della guerra a Vittorio Veneto, appena un anno dopo.

L’opera ebbe una storia editoriale burrascosa: uscita nel 1919, subito esaurita e attaccata per i suoi commenti espliciti e sarcastici nei confronti di militari, politici, giornalisti e figure influenti dell’epoca, ristampata in quattro successive edizioni fino al 1930, con tagli anche vistosi. Nel 1930 Frescura scrive nella prefazione della quarta edizione che il libro ebbe un “torto iniziale: uscire nel 1919, quando si dibatteva furibonda la campagna sovversiva contro la guerra vittoriosa” (p. 12).

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Le gradazioni dell’«imboscato» sono infinite. Il combattente ha sempre qualcuno che è «imboscato» rispetto a sè, ed a sua volta è imboscato rispetto a qualche altro. La gradazione va dal soldato di pattuglia al «comandato al Ministero della guerra, in Roma», dove non arrivano nè i cannoni, nè la flotta, nè gli aeroplani.
Così avviene che il soldato di pattuglia, ritornando nella trincea, dice ai compagni che sono rimasti nel pericolo minore:
— Ah, siete qui, eh, «imboscati»?…
Questo è il «Diario di un imboscato».
Nella seconda metà di Maggio del 1916, fra una cannonata e l’altra, ho potuto salvare quasi tutto il mio manoscritto. Ma i primi fogli, nei quali avevo registrato la esaltazione eroica della folla, nei giorni della preparazione e gli avvenimenti dei primi giorni della guerra, mancano. In parte sono perduti, in parte sono abbruciacchiati e indecifrabili.
Poco male; forse, bene: una documentazione di meno della mia anima poliedrica.

Scarica gratis: Diario di un imboscato di Attilio Frescura.