Scrive Arbasino nel suo Marescialle e libertini a proposito di questo testo del Linati:

Decadenza del vizio, e altri pretesti era un titolo già stagionato, allora: ma Carlo Linati, epigono degli Scapigliati più fondatamente scaligeri, ivi sorrideva sul tramonto della «tragica importanza che davano gli uomini alla cosiddetta débauche», sul deterioramento della «sensazione d’orrore, d’equivoco e di clandestino suscitata da un vocabolo come bisca»; sul regresso della «folle ossessione» per le «gesta licenziose dei grandi dissoluti» che «aleggiava sull’intera società con certa sua turpe, grandiosa e luciferina grandezza»…”

Linati, radunando in questo libro una serie di saggi, osservazioni e meditazioni, guarda alla natura attraverso l’uomo, e troviamo un uomo che ama la quiete e si trova a disagio di fronte al meccanismo tumultuoso dei tempi che sta attraversando. Si scorge attraverso la lettura di questi scritti il giornalista e il cronista mondano che, pur attento nei riguardi delle avanguardie letterarie sia italiane che europee, si sente ormai uomo d’altri tempi. Tra i più riusciti troviamo senza dubbio quelli situati nell’ambito dell’ambiente mondano della sua Lombardia che lo scrittore ben conosce e di cui riesce a sottolineare gli aspetti eccentrici e le reazioni stravaganti.

Per fare questo costruisce il suo espressionismo su forme dialettali o arcaicizzanti secondo l’ascendenza di Dossi e della Scapigliatura. Il rifiuto della struttura narrativa lo porta a un attento esercizio descrittivo dal quale emergono il carattere malinconico e i colori sfumati delle campagne lombarde resi tramite il contrasto linguistico tra una descrizione tranquilla della natura e improvvisi quadri inaspriti e deformati.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

C’è tra l’esercizio della poesia e quello dei muscoli, come oggi sportivamente inteso, insuperabile incompatibilità?
Lasciando in disparte i filosofi spiccioli del mens sana in corpore sano, tutta brava gente che vorrebbe far della letteratura e dell’arte una questione di terapeutica e di ottima digestione, confessiamocelo, la vera poesia è sempre uscita dall’insoddisfazione e dal dolore. Ci volle sempre uno speciale stato di grazia a produrla, spesso accompagnato da un intimo disagio o, come nel caso di Leopardi o di Hölderlin, da pena e infelicità fisica. Nel migliore dei casi la nascita della poesia non fu mai sollecitata da un grande fervore o impeto muscolare. Direi anzi che una scoppiante salute fisica è nemica di poesia e meditazione. Il pensiero e la creazione artistica, due eredità di Lucifero, sono stati d’eccezione: pur di vivere, di manifestarsi, arrivano perfino ad abbeverarsi ai succhi malefici delle piú profonde inquietudini e disordinate follie. Vorrei dire che una cattiva digestione, una grande pena di cuore, una situazione finanziaria disastrosa, un forte abbattimento fisico e morale sono i terreni da cui, meglio che dal benessere e dalla sazietà, potrà spuntare il fresco fiore dell’inspirazione.
L’incompatibilità fra sport e poesia la si rileva anche da ciò che, in realtà, c’è nell’esercizio sportivo qualcosa che tende a sfruttare unicamente le risorse dei muscoli e della volontà.

Scarica gratis: Decadenza del vizio di Carlo Linati.