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Daniele Baron, piemontese classe ’76, laureato in filosofia con una tesi su Jean-Paul Sartre, lavora come impiegato comunale. Oltre a numerosi articoli d’argomento filosofico e artistico sulla rivista on-line «Filosofia e nuovi sentieri», che ha fondato e dirige, ha pubblicato: Il Cantico di Hermes (ed. Controluna, Roma), opera sperimentale a cavallo tra poesia e filosofia alchemica; Mise En Abyme (ed. Il Seme Bianco, Roma), romanzo giallo.
Sotto mentite spoglie, secondo volume della collana “Tutto sotto” (Neos edizioni), si propone di indagare il lato oscuro del territorio piemontese. Da dove nasce quest’idea?
Come sottolineato in un video di presentazione dalla stessa editrice della Neos edizioni, Silvia Maria Ramasso, l’idea nasce in parallelo con uno studio di un gruppo di lavoro dell’Università di Torino, Dipartimento degli Studi Umanistici e Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne assieme alla Facoltà di Management indirizzato a individuare e approfondire le atmosfere culturali prevalenti nel territorio della società torinese e piemontese che possono diventare fattore di sviluppo turistico e economico. La ricerca ha avuto un risultato per certi versi sorprendente: infatti ha mostrato quanto a Torino le atmosfere nere da un punto di vista culturale siano molto più vive e forti del mito della città industriale e “grigia”. Dopo il successo della prima antologia, la Neos ha deciso di ripetere l’esperienza con Sotto Mentite Spoglie, affidandone la cura allo scrittore Ernesto Chiabotto.
Tu hai scelto di evitare la “nera” Torino e di parlare della provincia. Perché?
Ho deciso di ambientarlo a Pinerolo principalmente per un motivo pratico: avendo sempre abitato in provincia ne conosco meglio le caratteristiche, mi è più familiare. Ho frequentato molto Torino, soprattutto ai tempi dell’Università, e mi ha sempre molto affascinato il suo lato oscuro, esoterico, magico, ma non ho mai vissuto lì. Ecco perché ho preferito l’ambiente della provincia a quello della città. Inoltre, la provincia ha il vantaggio di accentuare i contrasti: ad esempio, nel mio racconto Belzebù forte è l’opposizione tra la tranquillità tipica di una piccola cittadina come Pinerolo, forse più a misura d’uomo, ma in cui sono pochi gli avvenimenti eccezionali, e lo sconvolgimento degli eventi che narro. Mentre scrivevo infine immaginavo di essere lì nei posti in cui ho ambientato il racconto e l’immedesimazione riesce meglio con i luoghi in cui si vive.
L’anormalità noir della tua storia parte da una situazione di quotidiana normalità. Qual è il tema della tua storia: furia repressa dietro le buone maniere, apparenza ingannevole… o c’è qualcosa di ancora più sconvolgente?
Il tema generale sotteso al mio racconto, in linea con la tematica dell’antologia, è la finzione intesa come apparenza ingannevole appunto, la menzogna come fattore “diabolico”. C’è di sicuro da parte mia l’intento di procedere per contrasti. Quello più evidente nel mio scritto è tra la normalità del quotidiano che si consuma in abitudini tranquillizzanti e l’anormalità dei fatti di cronaca nera, tra le convenzioni accettate e alla base del vivere comune e l’istinto feroce che represso a volte in modo inopinato viene a galla. La stessa letteratura in generale poi ha un che di demoniaco dal momento che è finzione: il narratore ci racconta una storia inventata, non vera, non accaduta realmente, come se fosse vera; nella lettura di un libro noi amiamo farci ingannare, noi dobbiamo credere al narratore, perché buona parte del godimento estetico è data dall’immedesimazione che ci porta a ritenere come vero tutto ciò che succede, “dimenticandoci” che è tutto finto e soprattutto che è filtrato da un punto di vista (di solito quello del protagonista) scelto dallo stesso autore. Il colpo di scena, elemento tipico del noir, che a seconda dei casi può spaventarci o suscitare angoscia o semplicemente stupirci, conta proprio su questo: il lettore si lascia trasportare da ciò che vuol fargli credere l’autore, si lascia “imbrogliare”, per poi rimanere sbalordito dalla rivelazione di ciò che c’era sotto. Nel mio racconto ho giocato con questo classico e collaudato procedimento.
Ci tieni a sottolineare che lavori come impiegato comunale: quanto della tua esperienza lavorativa si riversa nei libri che scrivi?
Ci tengo perché credo che la professione che uno svolge per vivere, nel bene e nel male, definisca il suo ruolo nella società, determini, in parte, la sua visione del mondo e di conseguenza il suo pensiero. Ciò vale anche per il lavori che non si è scelto o che non sono ciò che si sognava di fare fin da piccoli, come nel mio caso. Il lavoro che facciamo occupa molte ore della nostra giornata e ciò non è senza conseguenze: di sicuro ci forma. Quindi, sia direttamente che indirettamente il mio modo di scrivere e creare è condizionato dal mio lavoro sotto vari aspetti. Solo per fare un esempio, lavorare in ufficio pubblico mette a contatto con molte persone, le più disparate, e da questi incontri si può formare un bagaglio di esperienza utile poi per caratterizzare i personaggi delle storie.
La tua produzione è molto variegata: hai pubblicato una silloge poetica, un romanzo e questa è la prima partecipazione a un’antologia; poi suoni la chitarra e… dipingi. Che tipo di artista è Daniele Baron?
In effetti, ho sempre amato cimentarmi anche in altre arti come la musica e la pittura. Ogni espressione artistica mi interessa nella sua peculiarità che la differenzia dalle altre, ma allo stesso tempo mi piace anche la contaminazione tra le diverse forme d’arte. Anche all’interno dello stesso ambito, come tu noti giustamente, ad esempio la scrittura (a cui mi sto dedicando negli ultimi anni con maggiore assiduità) mi piace variare sia forma che genere. Mi piace sperimentare e gettarmi in imprese nuove. La ripetizione mi annoia e quindi quando mi accingo a creare qualcosa di nuovo cerco di cambiare rispetto a quello fatto fino a quel momento, anche se ho raggiunto buoni risultati; la mia non è volubilità, ma curiosità del nuovo mai appagata e ricerca di sfide sempre più ardue.
A cosa stai lavorando adesso? Cosa puoi rivelare in anteprima ai lettori di «Pagina Tre»?
Per rifarmi alla risposta precedente sto lavorando a cose molto diverse: in primo luogo, a una monografia sul pensiero di Georges Bataille, poi sto scrivendo un romanzo breve surreale intitolato “Il terzo occhio” e infine mi sto documentando per poter scrivere in futuro un romanzo storico ambientato in Italia nelle valli in cui abito ai tempi del Risorgimento.