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(voce di SopraPensiero)
Al convegno Fidapa ne parlano la neurologa Giovanna Bellini e la psichiatra Lavinia Rossi. Il fenomeno della violenza assistita su animali domestici, il crush fetish e l’animal hoarding
La violenza sugli animali ha tante tristi varianti. Dall’incuria per i bisogni del pet di casa, che rimane sporco e senza cibo per trascuratezza, fino agli atti di crudeltà compiuti consapevolmente fino a procurarne la morte. Quello che il convegno dell’associazione Fidapa (Federazione italiana donne arti professioni affari), organizzato sabato 6 aprile nella sala Ragazzini di largo Firenze a Ravenna, ha voluto indagare, è stata la possibile correlazione tra chi ha assistito in famiglia ad atti di violenza sugli animali domestici e ha poi sviluppato da adulto inclinazioni criminali.
Al microfono la neurologa Giovanna Bellini e la psichiatra Lavinia Rossi di Pisa che hanno fornito una panoramica a 360 gradi del fenomeno partendo proprio dai maltrattamenti sul pet che avvengono nelle mura domestiche. Sono drammi che lasciano tracce nella psiche dei bambini che assistono, una volta diventati adulti, ha spiegato Bellini nel suo intervento intitolato “Tra empatia e linguaggio della violenza” dove, dati alla mano, si scopre quanto spesso la violenza domestica sulle donne da parte del partner non manchi di coinvolgere anche gli animali che vivono con la famiglia o la coppia, per il gusto di affermare il proprio potere o vendicarsi di un torto subito. Angela Bellini, veterinario di Pisa, ha ricordato uno studio compiuto nel 2012 a Utrecht, che metteva in stretta relazione le violenze domestiche con quelle subite dagli animali da affezione. Molti ricorderanno il caso vicino a Pistoia, nel 2016, delle sevizie su una cagnolina, morta pochi giorni dopo, da parte dell’ex compagno della sua proprietaria.
Indagando invece il binomio bambini/animali, emerge quanto spesso l’azione maltrattante sul pet sia giustificata per far nascere sensi di colpa nel bambino con frasi del tipo: “Hai visto? Mi ha fatto perdere la pazienza e alla fine ho picchiato il cane”. Ancora più problematica però, è la traccia che questi eventi lasciano sulla psiche del bambino una volta cresciuto, con il rischio che diventi a sua volta crudele con gli animali. “Anche se nel 2% dei casi della popolazione mondiale – precisa ancora Bellini – si riscontra un’effettiva mancanza di empatia, la maggior parte della gente è empatica oppure può imparare ad esserlo. Il bambino – conclude – apprende soprattutto da ciò che vede, prima ancora da ciò che gli si insegna”. Ergo, chi vede i genitori trattar male gli animali, rischia di farlo a sua volta, quando diventa adulto. Probabilmente svilupperà comportamenti devianti anche con le persone. Da un campione di interviste effettuate su detenuti per atti contro la persona emerge che il 26% di loro ha assistito ad atti di crudeltà su animali in famiglia e il 16% li ha compiuti di persona. Ma se si inizia già da bambini?
“Prima dei 6 anni – spiega Bellini – può succedere, ad esempio che il bimbo manifesti comportamenti ostili verso gli animali ma si tratta di gesti inconsapevoli. Deve preoccupare, invece, se continua anche dopo i 6 anni di età, quindi attenzione ai giochi violenti”. Anche chi non sviluppa a sua volta comportamenti maltrattanti, rimane comunque marchiato a fuoco da questo tipo di vissuto, come dimostrerebbe la sindrome da stress post traumatico che si riscontra spesso già in adolescenza.
La dottoressa Lavinia Rossi ha elencato, nel comportamento del bambino, i segnali predittivi di una probabile futura inclinazione criminale tra i quali rientrano anche gli atti sadici compiuti su animali con fuoco, colla, vernice. Oltre a furti, atti di vandalismo e atteggiamenti vessatori nei confronti dei compagni. Fino ad arrivare, adolescente, a compiere furti con destrezza.
Ma torniamo alle crudeltà verso gli animali, quali le motivazioni psicopatologiche? “Abbiamo la parafilia, il piacere che suscita l’accarezzare gli animali che degenera in perversione. Il sadismo, dove l’iniziale piacere si declina pian piano nel disgusto e poi nel godere a procurare sofferenze. Una delle sue varianti è il crush fetish, ossia il piacere di veder calpestare (preferibilmente con i tacchi a spillo) gli insetti. Un altro disturbo correlato può essere il disturbo ossessivo compulsivo. È il caso degli animal hoarding, accumulatori di animali domestici nella propria casa, tenuti spesso in cattive condizioni igienico-sanitarie. Anche se in questo caso il maltrattamento non è intenzionale ma spesso, al contrario, si raccolgono animali randagi per strapparli alla strada.
Si è parlato ovviamente anche delle altre forme di maltrattamento più conosciute, dall’abbandono allo sfruttamento degli animali nel circo, dai cani utilizzati per il combattimento o dei cavalli per le corse ai casi in cui la vivisezione può essere punita. In Italia, ha spiegato l’avvocato Maria concetta Gugliotta, la chiave di volta è stata la legge 189 del 2004 con cui il maltrattamento sull’animale è stato finalmente definito reato e non più atto che offende la moralità pubblica. Che ha significato passare dalla semplice contravvenzione all’arresto per chi lo commette, ed è un passo avanti, ma non è ancora abbastanza.
Anna Cavallo