Credere è una raccolta di 14 brevi racconti pubblicati per la prima volta nel 1934. Ottenne il prestigioso premio letterario Pallanza e il volume fu ripubblicato in numerose edizioni successive dalla casa editrice S.E.I. fino a metà degli anni ’60 del secolo scorso.

Il giornalista e critico letterario Lorenzo Gigli scrive come motivazione del premio:

«Si ritrovano nei quattordici racconti di Credere le qualità migliori del Pezzani disposate al gioco d’una fantasia estrosa e giovane guidata dall’autocritica ai porti luminosi dell’arte. Il dominio della materia è quasi sempre esemplare come la sincerità del racconto e la sua fluida vena.
Casi di povera gente, i più, narrati con la pietà pudica che si richiede, e consolati dalla sottaciuta potenza della fede. In codeste allegorie c’è sempre una pena che si scopre e una benedizione che discende senza farsi notare. Implicita la moralità d’ogni racconto nella stessa sua sostanza e stesura. Se si può muovere rimprovero al Pezzani è quello d’aver ridotto alla massima semplicità gli elementi delle sue favole e allegorie, d’averli quasi «elementarizzati» al di là del necessario. Anche questa può essere, in qualche caso, rettorica a rovescio, e non della migliore. Ma l’appunto tocca appena qualche momento letterario della narrazione, non ne investe la materia che è sostanzialmente ricca di pensiero e di sentimento anche là dove è più dimessa. Il libro del Pezzani ha perciò una sua unità spirituale e lirica che fa dei quattordici racconti un blocco senza soluzioni ideali. Ci sono personaggi, avventure e paesi che non si dimenticano: il primo racconto, Terra, è pieno d’un pianto che Qualcuno raccoglierà; nell’ultimo, Grani, cuori di ghiaccio si sciolgono. Tra l’uno e l’altro si distende il canto fermo della speranza; ed è quello che dà al libro il suo tono.»

È quindi evidente che questi racconti sono destinati ai ragazzi e i protagonisti, pur spaziando tra temi vari come scuola, famiglia, lavoro, insistono sui valori tradizionali, cari a uno scrittore di matrice cattolica come Pezzani, fondati sull’umiltà, genuinità, dedizione al lavoro, rispetto per la famiglia e i genitori. Pezzani vede i suoi racconti, come anche le sue poesie, come uno strumento per aiutare i ragazzi a passare all’età adulta preservando purezza e innocenza e ogni carattere positivo della fanciullezza. Dice lo stesso Pezzani nel preambolo a un’altra raccolta di racconti (La Stirpe Prediletta) di qualche anno successiva a questa:

«Questi dieci racconti sono destinati ai giovani italiani che nelle tregue del lavoro e dello studio chiedono ai libri esempi di vita animosa. Per essi io li ho scritti cercando i miei eroi tra la piccola gente, nella folla di coloro che più umilmente vivono e più intensamente amano. Il sacrificio m’è parso più bello quanto più lo vidi oscuro e lontano dal premio degli uomini, preso nell’intenso sguardo di Dio. Non altro ho ambito che di narrare ai giovani e a giovani confidare la mia ostinata certezza in una sopravvivente nobiltà umana.»

La stessa premessa potrebbe valere anche per la presente raccolta. È chiaro che l’autore demanda ai suoi scritti una funzione educativa. Ma educativa a cosa? È necessario sottolineare che, a prescindere da un valore letterario modesto, ma che conserva tuttavia un impatto gradevole per chi legge, questa lettura va necessariamente contestualizzata con il periodo nel quale il libro fu scritto e pubblicato (e premiato), ma che si estende anche alla funzione della scuola almeno fino a metà degli anni ’60 dello scorso secolo, e non a caso fino a quella data ci sono state ristampe. Il messaggio che trapela è diretto ai più poveri, e dice che attraverso il duro lavoro e il risparmio, la fatica e il sacrificio si può riuscire a vivere una vita dignitosa, anche senza mai raggiungere il superfluo. L’esaltazione del valore del lavoro è coerente con un mondo scolastico dove la maggior parte dei ragazzi avrebbe abbandonato gli studi al termine delle scuole elementari.

Il poter studiare rimaneva un privilegio per pochi, mentre le classi subalterne, preparate fin dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza all’idea di un lavoro duro e a una vita di sacrificio, erano pronte in questo modo al rispetto acritico dell’ordine sociale vigente. In realtà l’obbligo scolastico fino a 14 anni era in vigore dal 1923, rimanendo tuttavia lettera morta ed era un obbligo al quale non si ottemperava affatto. Solo all’inizio degli anni ’60 con l’unificazione del ciclo delle tre medie questo obbligo si andava consolidando. Da sottolineare anche che i programmi “Ermini” in vigore dal 1955 pongono a fondamento dell’istruzione la religione cattolica. In questa direzione l’opera letteraria di Pezzani si pone come monito e speranza: chi ha duramente e onestamente lavorato tutta la vita avrà come premio il paradiso. Strada per il paradiso che è impervia: il cattolicismo di Pezzani è simile a quello di Baumann – del quale Pezzani è il traduttore italiano – a proposito del quale scrissero Papini e Giuliotti:

«I cristianucci moderni vogliono un cristianesimo facile, che si adatti al secolo, che non pretenda eroismi; il cristianesimo insomma della porta larga, per la quale si possa passare in carrozza. Invece il cristianesimo di Baumann è quello della porta stretta, della cruna dell’ago; quello che non ignora che non si può ascendere fino all’amore che per la scala del dolore.»

Da tutto questo consegue che i quattordici racconti educativi e morali contenuti in questo volume hanno soprattutto lo scopo di ispirare amore e rispetto per gli anziani, i più deboli e i giovani bisognosi di protezione. I personaggi appartengono sempre alle classi più povere e oppresse, rappresentate da madri severissime che sembra non si preoccupino mai di comprendere i propri figli, uomini dediti al bere, vizio che li conduce a compiere azioni scriteriate, e figli che, attratti dai piaceri della vita, dimenticano l’insegnamento dei propri avi. Ma in genere questi peccatori si pentono e si ricongiungono al mondo dei devoti; spesso è sufficiente la vista di un crocifisso o di un’immagine sacra. Il sentimento che regge la trama è tenue e spesso pare artificiale, tuttavia, come già detto, la lettura non è sgradevole.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

In uno di quegli scoppi di miniera che fanno tremare il cuore del mondo; tra la tenebra e il sasso era rimasto schiacciato anche l’uomo di Marta.
Era quel Paolino dei Villa detti i Melagodo; quel Paolino che avrete visto mille volte giocare a bocce, se la domenica siete stati a San Vito e vi siete fermati a berne un quarto all’Osteria del tabarro. I punti della partita li segnava lui, col gesso, sulla lavagna: e tutti ci si fidavano. Era davvero un galantuomo. Aveva casa e campo; gli mancava una donna: prese Marta.
Ma tre biolche di campagna e due vacche magre, a viverci su in tre son pochino. Perchè in tre erano, ormai, dopo un anno di matrimonio.
Allora il Melagodo, che del mondo non aveva paura, fece sacco di quel che aveva – abiti, biancheria, scarpe – e disse: – Sto via cinque anni e torno con una bella fanfara di marenghi nella saccoccia. Se resto, si crepa di fame quanti siamo.
Era andato; e dalla Francia per qualche mese aveva mandato soldi e baci. Le lettere arrivavano, una la settimana, puntuali: il giovedì.
Ma un giorno alla casa di Marta viene il podestà vestito da cerimonia, con in mano una gran busta gialla e sulla faccia un dolore da protocollo.

Scarica gratis: Credere di Renzo Pezzani.