Nell’appendice compresa nella quarta edizione di Le illusioni del progresso, nella nota al paragrafo che conclude l’opera, Sorel cita Flaubert riportando un passo nel quale Flaubert stesso «ha espresso l’odio che provava per la mediocrità trionfante» progettando di scrivere un dizionario dei luoghi comuni:

«Mi esalta soprattutto la prefazione; sarebbe la glorificazione storica di tutto ciò che si approva; vi dimostrerei che le maggioranze hanno sempre avuto ragione, le minoranze sempre torto. Sacrificherei i grandi uomini a tutti gli imbecilli […] Così per la letteratura, dimostrerei […] che, dal momento che la mediocrità è alla portata di tutti, è la sola cosa legittima e che si deve dunque aborrire ogni sorta di originalità come pericolosa, stupida ecc. […]. In tal modo rientrerei nell’idea democratica moderna di eguaglianza».

Proprio in Réflexions sur la violence abbiamo chiaro quale sia l’obiettivo della polemica soreliana, chi siano i “mediocri” che hanno sempre ragione. Gli strali vengono lanciati contro gli intellettuali socialisti, «una oligarchia di professionisti dell’intelligenza e della politica». Ai due volumi più noti Sorel aggiunge, nel 1908, in un opuscolo, La Décomposition du marxisme, alcune puntualizzazioni se qualcuno avesse ancora dei dubbi sul giudizio che Sorel dà della fase riformista, che si propaga dagli interessi nazionali all’azione sindacalista. Scrive Sorel nel sopracitato opuscolo:

«Per ben comprendere la trasformazione che si è verificata nel pensiero socialista bisogna esaminare quella che è la composizione dello stato moderno. È un corpo di intellettuali che è investito di privilegi e che possiede mezzi detti politici per difendersi contro gli attacchi che gli sferrano altri gruppi di intellettuali avidi di possedere i profitti degli impieghi pubblici. I partiti si costituiscono per realizzare la conquista di tali impieghi e sono analoghi allo Stato».

Chiariamo innanzi tutto che non si tratta di idee particolarmente nuove. In L’Ancien Régime et la Révolution Tocqueville in un capitolo, ormai famoso, dedicato ai letterati dà una spiegazione della nascita degli intellettuali come corpo sociale e della loro influenza sulla società dalla quale in maniera abbastanza evidente Sorel attinge per la sua polemica. Si tratta di un’idea che è resa continua e sempre viva da un filo rosso che percorre gli ultimi due secoli con evidenza. Ancora come esempio giungiamo a Ferdinando Adornato – filosofo e giornalista che come percorso intellettuale può ragionevolmente ricordare quello di Sorel – che nella sua introduzione, intitolata I crimini di una casta, al testo di Sartre Difesa dell’intellettuale scrive:

«Gran parte dei crimini degli ultimi due secoli sono nati proprio all’interno della logica di potere che gli intellettuali come casta hanno imposto al mondo».

Le crisi politiche si riducono in definitiva alla sostituzione di intellettuali con altri intellettuali e si prefiggono come scopo e obiettivo quello di mantenere e rafforzare lo Stato aumentando il numero dei cointeressati. In questa fase Sorel vede e illustra lo strumento per il superamento di questo eterno stallo “statalista” identificandolo con lo sciopero generale “proletario” o “sindacalistico” in opposizione allo sciopero generale “politico” che, secondo Sorel, diventa il mezzo attraverso il quale il legame tra intellettuali e Stato ha privato la società della possibilità di espressione autonoma che avrebbe dovuto essere il socialismo, e di quel pluralismo culturale che è osteggiato proprio dagli intellettuali che si dedicano alla politica. La convergenza quindi tra socialismo e democrazia ha generato le posizioni di potere degli intellettuali socialisti che si guardano bene dal consentire la gestione dello sciopero generale da parte della volontà proletaria e usano lo sciopero politico per gestire una situazione che potrebbe spaziare tra «la semplice passeggiata di minaccia e la sommossa». Enrico Leone, forse il più autorevole interprete italiano del pensiero di Sorel, almeno limitatamente alla sua fase di sindacalismo rivoluzionario afferma:

«Lo sciopero è l’episodio empirico col quale le forze vive di produzione reagiscono alla pressione che inibisce l’azione economica libera: esso è la riconferma esperimentale che nella fabbrica agiscono poteri estranei all’Economia, che le impediscono di raggiungere l’armonia degli elementi sociali. Le dissertazioni degli economisti sulla “pace industriale” sono confutate dalla natura economica dello sciopero, che essi non sanno spiegare se non come fenomeno perturbante e meteorico» [E. Leone, Il neo marxismo. Sorel e Marx. Bologna 1923]

Questo, che ho espresso in estrema sintesi, lascia trasparire certamente la tendenziosità di un pensiero che si muove secondo gli entusiasmi momentanei dell’autore, che infatti al momento della pubblicazione in volume delle sue due opere maggiori, delle quali oggi presentiamo la prima, aveva ormai attraversato la fase di disillusione che lo avrebbe portato lontano dal sindacalismo rivoluzionario che lui stesso aveva ispirato e che tanto seguito ebbe anche e soprattutto in Italia nei primi due decenni dello scorso secolo.

Ma la genialità del Sorel e la sua preveggenza ha comunque modo di emergere nella critica all’idea marxiana (e socialista) che per estinguere lo Stato ritiene opportuno passare attraverso una fase (dittatura del proletariato) durante la quale lo Stato stesso viene rafforzato in direzione eminentemente repressiva. «Gribouille – scrive Sorel – che si getta nell’acqua per non essere bagnato dalla pioggia, non avrebbe ragionato diversamente.» (Gribouille è il personaggio balordo e sempliciotto della narrativa popolare francese, equivale al nostro Giucco). Non è un caso che questo spunto venga ripreso nella prefazione di Benedetto Croce quando scrive:

«A lui sembra che, a cagione dell’indeterminatezza che c’è nel pensiero del Marx circa l’“organizzazione” del proletariato, le idee di governo e di espediente si siano insinuate nel marxismo, e in questo modo, negli ultimi anni, si sia compiuto un vero tradimento allo spirito di esso, sostituendo ai principi genuini “un miscuglio d’idee lassalliane e di appetiti democratici”».

Appare invece come del tutto sovrastrutturale, rispetto al nucleo di discorso che intende fare Sorel, tutta la parte sul cristianesimo delle origini e sulle opinioni di Renan. Sorel aveva studiato accuratamente, e ne aveva scritto, questi argomenti negli anni precedenti all’elaborazione di Réflexions sur la violence e aver voluto tracciare il parallelo tra la violenza subita dai cristiani (la narrazione delle persecuzioni dei quali è, secondo il Sorel, largamente esagerata) e l’eventuale violenza alla quale sarebbero sottoposti i lavoratori nel corso della loro lotta per l’emancipazione del proletariato, mi appare pretestuoso e in gran parte solo funzionale a introdurre il discorso sulla violenza, che, in fin dei conti, risulta marginale rispetto alle idee espresse sugli intellettuali socialisti, il sindacalismo rivoluzionario, lo sciopero generale.

Il testo che oggi presentiamo conserva il suo interesse, oltre che per una conoscenza storica del dibattito all’interno del movimento operaio dell’inizio del XX secolo, come picconata ad una concezione mitica (quella marxista, importantissima nel periodo delle origini ma sempre più utile tramite le sue interpretazioni a porre il produttore in uno stato di “ebbrezza” spirituale dal quale farà sgorgare solo gli entusiasmi così utili per mantenere intatti i privilegi della burocrazia statale ed economica) per cedere spazio via via alle concezioni della crescente esperienza sociale destinata, secondo Sorel, a condurre il proletariato reso autonomo dalle personalità ad esso estranee allo scontro decisivo con la borghesia.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

NOTE: La prefazione di Enzo Santarelli è stata rimossa perchè protetta dal diritto di autore.

Dall’incipit del libro:

Tutti si lagnano che le discussioni intorno al socialismo siano, in generale, molto oscure: l’oscurità deriva, in gran parte, dall’avere i socialisti odierni adottata una terminologia che, generalmente, non risponde più alle loro vedute. I più notevoli di coloro che s’intitolano riformisti, non vogliono che si dica aver essi abbandonato alcune frasi, che per sì gran tempo hanno servito d’etichetta alla letteratura socialista. Quando Bernstein, avvedendosi dell’enorme contraddizione tra il linguaggio e l’operare della democrazia sociale, invitò i compagni tedeschi ad avere il coraggio di mostrarsi quali erano in realtà, e a correggere una dottrina, ormai menzognera, un grido universale d’indignazione si levò contro il temerario; e i riformisti non furono i meno scalmanati a difendere le formule antiche. Ricordo d’aver udito da importanti socialisti francesi che essi trovavano più facile accettare la tattica di Millerand che le tesi di Bernstein.

Scarica gratis: Considerazioni sulla violenza di Georges Sorel.