L’argomento che Sorani affronta in questo breve saggio del 1930 era dibattuto in quegli stessi anni da eminenti studiosi. Ronald Knox aveva compilato nel 1928 il “decalogo” Ten Commandments of Detective Fiction. Scrittore e teologo, Knox era grande ammiratore di Conan Doyle e il Detection Club, al quale apparteneva, aveva lo scopo di suggerire agli scrittori le regole in base alle quali si poteva mettere il lettore sulla traccia giusta per arrivare a smascherare il colpevole.
Sempre nel 1928 fu Van Dine a indicare un regolamento, in venti punti questa volta, per poter evitare di scrivere un romanzo poliziesco poco originale.
Sorani, partendo da Conan Doyle e dal grande successo del suo detective Sherlock Holmes, si interroga sulle ragioni dei tanti imitatori, spesso assai modesti, che da questo capostipite (che a sua volta discende con tutta evidenza dal Dupin di Poe) hanno preso l’avvio e sulle motivazioni che spingono lettrici e lettori a dedicarsi a questo genere di letture. Sorani – alla ricerca di letteratura “alta” nell’ambito del genere poliziesco – cita Chesterton per il suo Padre Brown, ma anche per Gabriel Gale, solo recentemente tradotto in italiano, detective tanto insolito da poter davvero a stento essere ingabbiato in un genere qualsivoglia. E proprio Chesterton, a giustificazione dei suoi personaggi “investigatori” ebbe a dire «il romanzo poliziesco è il romanzo stesso dell’uomo».
Anche Eisenstein, regista russo famoso per alcuni suoi storici film come La corazzata Potemkin, si chiese le ragioni del successo del genere poliziesco:
«Perché il genere poliziesco ci piace? Perché è il genere letterario più efficace. Da esso è impossibile staccarsi. È articolato con tali mezzi e impostazioni che tengono ancorato come non mai l’individuo alla lettura.»
Sorani cita l’opinione di Marjorie Nicolson la quale nel saggio Il professore e il detective
«sostiene che questa fortuna è appunto dovuta al fatto che la letteratura poliziesca costituisce una reazione alla soverchia letteratura soggettiva e introspettiva, che ha raggiunto i limiti più insopportabili della noia».
Io credo che sia Sorani che la citata Nicolson sottovalutino il fatto che se il romanzo poliziesco è di qualità esso travalica i limiti del “genere”. La letteratura soggettiva e introspettiva che annoia è quella che non supera normalmente il valico di un estemporaneo successo editoriale più o meno indotto da sapienti meccanismi di spinta pubblicitaria e lo stesso vale per ogni genere. La fantascienza è stata per anni considerata letteratura di serie B, poi ci si imbatte in Dick, Ballard, Sturgeon, Gibson e si comprende quindi subito che siamo di fronte a letteratura fuori da ogni ingabbiamento di genere. Ma il domandarsi le ragioni del successo del romanzo poliziesco è sempre stato d’attualità (oggi poi assistiamo a un vero e proprio proliferare incontrollato di questo filone).
Trovo delle interessanti riflessioni di Cesare Giardini in appendice a un giallo Mondadori del 1940.
«A differenza di quanto avviene nella lettura di un romanzo popolare il “lettore di gialli” subisce l’ammirazione per l’intelligenza dell’indagine, tanto simile al supremo e instabile oscillare del giocoliere che, per qualche secondo, sembra vincere e rovesciare le leggi dell’universo.»
Negli anni ’60 un gruppo di “lettori eccellenti” – Cassola, Bertolucci, Buzzati, Caproni, Silone, Montanelli, Soldati, Del Buono etc. – offrirono le loro riflessioni sull’argomento nel lungo articolo Il giallo in biblioteca pubblicato nel “Giornale d’Italia”, riflessioni che confluirono poi, arricchite e articolate, nella antologia di opinioni e convinzioni La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, a cura di R. Cremante e L. Rambelli.
Forse il libro giallo è l’intrattenimento utile a disperdere o almeno alleggerire i pensieri pesanti. Così sembra pensare Gesualdo Bufalino:
«Alla stazione, per andare a raggiungere una cara malata lontana. Davanti al chiosco esito, mi domando quale lettura valga meglio a intorpidirmi i pensieri o, quantomeno, a sparpagliarmeli via dal punto cieco dove s’impietrano spaventati. Esito: i titoli dei giornali squillano i soliti orrori, abbasso il capo per non vederli. Quanto al piccolo Montaigne, al piccolo Pascal che ho nascosto meccanicamente fra due camicie, ahimè, hanno già dato, non mi possono aiutare più. Insomma, comprerò un romanzo giallo».
Naturalmente il discorso si potrebbe ampliare. Basta qui ricordare che dalla metà del Settecento in poi si è formato un pubblico di lettori, certamente meno colto ma di gran lunga più vasto, e la narrativa di intreccio si espande e esplode in una narrativa che è più giornalistica, ispirata ai fatti e misfatti della cronaca di ogni giorno. Ci si è avviati quindi alla formazione di un pubblico che si appassiona all’avvincente linearità di una storia intricata, e che si mette in concorrenza con lo scrittore per scoprire “per primo” l’autore e il movente di un crimine. La massa di lettrici e lettori è da una parte laica, pragmatica, amante della tecnologia, ma dall’altro non è obbligata a rinunciare alla propria indole religiosa di fronte al fascino del mistero e delle quasi sopranaturali capacità deduttive di un onnipotente investigatore.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Sir Arthur Conan Doyle è morto quando già la più singolare figura creata dalla sua arte di romanziere, quella del poliziotto dilettante Sherlock Holmes, era da tempo, se non obliata, oltrepassata e non gli procurava che rammarichi e querele. Un tentativo di resuscitarla con un ultimo volume di novelle, The last Case Book of Sherlock Holmes, gli era quasi del tutto fallito, or non è molto, ed aveva accresciuto la sua amarezza di veder fatalmente immedesimati il suo nome e la sua fama con un eroe che aveva avuta la vita da lui, ma gli aveva data una gloria diversa da quella che egli aveva agognata o, ad ogni modo, minore di quella che egli credeva gli competesse come storico e pensatore di problemi spirituali. Lontano ormai dal suo autore, il detective, attaccato alle calcagna pericolose di tanti colpevoli, s’era aggrappato a Sir Arthur colla forza d’una popolarità prepotente e proverbiale, ne era diventato il persecutore implacabile, il sosia inevitabile: lontano, ma, allo stesso tempo, caparbiamente impersonato in lui agli occhi incorreggibili del mondo, anche quando le sue investigazioni avevano abbandonato questa terra per l’oltre tomba.
Scarica gratis: Conan Doyle e la fortuna del romanzo poliziesco di Aldo Sorani.