Come morì il capitano Besson
di
Emilio Salgari
tempo di lettura: 7 minuti
Nel 1827 gli Stati europei che avevano interessi commerciali nei mari di levante, preoccupati dagli attacchi che facevano i pirati greci, conosciuti sotto il nome di Panayoti, contro le navi che trafficavano colle città dell’Asia Minore e colle isole dell’Arcipelago, si erano accordati per inviare colà alcune navi, onde la sicurezza tornasse in quelle acque ed i velieri mercantili non corressero più il pericolo di venire catturati.
Già molti abbordaggi erano avvenuti e molte navi avevano dovuto lasciare il loro carico nelle mani di quei birbanti che, colla scusa di far la guerra ai Turchi, attaccavano ogni bandiera.
La corvetta francese Lauproie, dopo una crociera lunghissima, era riuscita finalmente a sorprendere sulle coste della Siria una nave corsara chiamata Nikta, montata da sessanta greci che già avevano molti delitti sulla coscienza.
Fu deciso di condurli senz’altro ad Alessandria e di farli giudicare dal Tribunale egiziano, ma due di loro essendo riusciti a provare, non si sa in qual modo, che non avevano preso parte a nessun fatto d’armi, furono trasbordati sulla nave francese Magienne, comandata dal capitano Besson, perchè li riconducesse in Grecia.
La Magienne si mise alla vela accompagnata anche dalla Lauproie. Non aveva a bordo che un equipaggio limitatissimo avendo dovuto lasciare parecchi marinai a guardia del Consolato di Smirne, minacciandosi in quei giorni gravi disordini contro i Maroniti, che si erano messi sotto il protettorato francese.
Nella notte del 4 novembre, una burrasca investe i due legni e li separa. La Magienne, che non aveva che quindici uomini d’equipaggio, impotente a tenere testa al mare, poggiò il più presto verso una delle isole dell’arcipelago greco, ma dopo poco il capitano Besson venne avvertito che i due prigionieri greci durante la notte si erano gettati in mare dopo avere spezzati i ferri.
Il 5 novembre la fregata, dopo una lunga lotta contro le onde, gettò l’ancora in una piccola baia situata a tre miglia dalla cittaduzza di Stampalia.
La diserzione dei due greci, durante un mare così pessimo, aveva destato qualche inquietudine a Besson, sicché diede subito ordine di portare in coperta tutte le armi che si trovavano a bordo e prese tutte le precauzioni suggeritegli dall’esperienza, temendo che i due fuggitivi potessero unirsi ad altri per tentare un colpo di mano contro la fregata che aveva un equipaggio così debole.
Il capitano Besson, che aveva già servito parecchi anni nelle stazioni del Levante, non ignorava che in quell’epoca quasi tutte le isole dell’arcipelago greco formicolavano di pirati, i quali, in mancanza di navi da saccheggiare, tormentavano i piccoli villaggi costieri senza che questi osassero opporsi, perchè troppo deboli, alle loro ladrerie.
Al calar del sole ordinò quindi al suo equipaggio di prendere un breve riposo, onde potessero meglio vegliare nelle ore tarde preferite dai Panayoti per gli attacchi, poi salì sul banco di quarto per concertarsi col suo pilota.
Inoltre, chiamato il suo secondo, gli fece giurare che avrebbe fatto saltare il vascello piuttosto che lasciarlo cadere nelle mani dei greci.
Verso le dieci, malgrado l’oscurità, essendo il tempo coperto da folti nuvoloni, un uomo di guardia che vigilava attentamente segnalò due lunghe e sottili imbarcazioni che giravano con precauzione le rocce della piccola baia.
Erano due di quelle scialuppe chiamate dai greci mistik, montate ciascuna da una sessantina d’uomini e che di passo in passo s’avvicinavano alla fregata mandando delle urla feroci.
Subito tutti i marinai furono al posto di combattimento.
Besson montò sul ponte di comando per meglio osservare la manovra delle due grandi scialuppe, che s’accostavano rapidissime, spinte da un gran numero di remi.
Procedevano così celermente che in poco furono a breve distanza dalla fregata e allora si divisero per abbordarla dai due lati.
Il capitano francese domandò loro che cosa volessero, ed i greci risposero con altissime grida e puntarono i loro lunghi fucili.
Allora Besson comandò ai suoi uomini di aprire il fuoco e scaricò lui stesso due colpi di fucile sull’imbarcazione più vicina.
I pirati greci cominciano immediatamente una vigorosa fucileria e dopo qualche colpo di remo sono a bordo contro bordo. Una delle mistik attacca sotto prua; la seconda assale da babordo.
Diversi marinai francesi, che si sono spinti sul castello di prora, cadono morti, malgrado la loro strenua difesa ed i greci salgono sul ponte in gran numero.
Per istinto, invece d’impegnare la lotta con i francesi superstiti, scendono nel frapponte per incominciare il saccheggio, giacchè non avevano alcun motivo di rappresaglia contro la piccola fregata.
Besson, che una ferita dolorosa aveva messo fuori combattimento, riesce a liberarsi dai greci che l’attorniano e volgendosi al suo pilota ed al suo secondo, con un sangue freddo meraviglioso dice loro:
— Questi briganti sono ormai padroni della nave ed il frapponte è perduto. È il momento di finire la nostra vita. Avvertite quelli dei nostri uomini che ancora rimangono di gettarsi in mare. – Poi, serrando fortemente la mano ai suoi due ufficiali, aggiunse: – Addio, amici, la mia esistenza è finita. Io vado a vendicarmi.
Ciò detto, quel valoroso scese nel quadro che non era ancora stato invaso dai greci, s’inoltrò nella santabarbara, dov’erano le polveri e, allungata la mano attraverso il piccolo boccaporto, lasciò cadere una miccia…
Qualche secondo dopo la piccola fregata saltava, scagliando lontano sul mare i suoi frammenti e i due mistik che l’avevano abbordata.
Uno dei due ufficiali, il pilota Frémintin, che l’esplosione formidabile aveva lanciato in aria, si trovò, qualche momento dopo che la catastrofe era avvenuta, steso sulla riva quasi fuori dei sensi, con un piede fracassato e parte della pelle strappata.
Un pirata greco, scampato anche lui miracolosamente al tremendo scoppio, si avvicinò tosto al disgraziato ferito e puntandogli sul cuore la punta del suo pugnale lo costrinse a consegnargli il suo vestito e l’orologio che il valoroso Besson gli aveva regalato.
Fortunatamente, il rombo causato dallo scoppio si era ripercosso su tutta la vicina costa, sicchè provocò subito delle ricerche da parte degli abitanti per sapere che cosa era avvenuto ed il bravo Frémintin fu il primo ad essere soccorso.
Alle due del mattino, dei doganieri greci, sopraggiunti di corsa, lo raccolsero e lo trasportarono nell’abitazione del governatore dell’isola, ove ebbe tutte le cure necessarie che richiedeva il suo stato.
Quattro marinai, che si erano lanciati in mare un momento prima che la nave saltasse in aria, furono pure raccolti e trasportati a terra. Erano Hervy, Lequillon, Carsoul e Bouysson. Vennero scoperti in mezzo alle montagne dell’isola ove erravano smarriti, nudi e affamati, non osando avvicinarsi alle abitazioni che supponevano abitate da famiglie di pirati.
All’indomani di quella tremenda catastrofe, si trovarono sulla spiaggia fra i rottami della nave i corpi di tre marinai francesi e quelli di moltissimi pirati greci morti in seguito all’esplosione, ciò che dimostrava come l’eroica risoluzione di Besson avesse avuto pieno effetto.
Le autorità greche non lasciarono però impunito quel misfatto. Inviarono subito sul luogo due bastimenti armati da guerra ed imprigionarono tutti i pirati che erano riusciti a scampare alla strage, e tutti furono, dopo un giudizio sommario, impiccati.
Quella lezione però non bastò a calmare gli arditi corsari e molte altre navi, specialmente turche e levantine, furono predate nelle acque dell’Arcipelago, non ostante la continua sorveglianza esercitata dagli incrociatori inglesi e francesi.
L’avventura accaduta due anni dopo il sacrificio del prode capitano Besson, alla corvetta spagnola Temperancia, può dar una chiara idea della spavalda tracotanza dei pirati greci.
La nave da guerra, che portava in patria le spoglie del console spagnolo a Costantinopoli, Felice Mangastura y Eraldo, giunta nei pressi dell’isola di Lemno, si vide circondare da una flottiglia sospetta che manovrava in modo da tagliarle la strada. Per evitare un investimento disastroso, la Temperancia rallentò l’andatura, ma contemporaneamente armò i suoi pezzi.
A nulla valsero le minacce: mezz’ora dopo, nonostante che il cannone avesse cominciato a tuonare, duecento satanassi erano sul ponte della corvetta intimando la resa a discrezione, altrimenti avrebbero buttato a mare il feretro!
Poichè l’onore del comandante incaricato di quel mesto trasporto era in giuoco, si dovette cedere e vuotare la cassaforte di bordo nelle mani dei pirati.
Non cessò la pirateria nelle isole greche se non quando il Governo mandò fortissime scorte a sorvegliare le coste coll’ordine di fucilare senza misericordia quanti uomini trovavano con a bordo armi da fuoco.
FINE
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TITOLO: Come morì il capitano Besson
AUTORE: Emilio Salgari
DIRITTI D'AUTORE: no
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TRATTO DA: Il brick maledetto : [segue:] Come mori il capitano Besson, racconto / Emilio Salgari. - Milano : Sonzogno, 1936. - 16 fig. p. 31. – (I racconti di avventure di Emilio Salgari)
SOGGETTO: FIC047000 FICTION / Racconti del Mare
FIC002000 FICTION / Azione e Avventura