Clorofòrmio.

di
Alfredo Panzini

tempo di lettura: 4 minuti


L’operazione a cui la signora contessa aveva deciso di sottoporsi era di tale natura che faceva onore al suo delicato riguardo verso il signor conte.

Non si trattava veramente di una cosa grave; ma piuttosto di un incomodo che forse si sarebbe aggravato con gli anni; che certamente il ferro chirurgico avrebbe estirpato – come assicurava con la sua persuasiva serenità l’illustre professor H…., uno dei più eleganti nostri operatori. Intanto la vita della signora contessa si trovava paralizzata da parecchio tempo fra letto e lettuccio.

Una donnina tutta vivacità, vedersi imprigionata così, era cosa che faceva pena. Tutti i bibelots del suo appartamento ne piangevano.

— Non tanto per me, amico mio, – diceva al marito, – quanto per te, e per il nostro figliuolo, che non voglio abbia davanti agli occhi della sua giovinezza l’immagine di una madre immobilizzata.

Ma il signor conte era un uomo dall’anima trepidante e non riusciva a sopportare il pensiero che sua moglie doveva entrare in una sala operatoria. E dire che i suoi antenati, appesi in anticamera, avevano sopportato quintali di armatura d’acciaio!

Da qualche tempo la bella barba del signor conte non era più così accurata; e un occhio acuto avrebbe potuto scorgere un aumento di fili bianchi. Una forza misteriosa lo portava ad andare in cerca dell’illustre professor H…. e ripetergli ancora la domanda:

— Lei crede, professore, che l’operazione sia assolutamente sicura?

— Assolutamente, salvo complicazioni.

Ma il signor conte era ossessionato dall’idea del clorofòrmio. Vedeva la moglie immobile sotto il clorofòrmio.

— Povero amico mio, – gli diceva la contessa, – tu ti vuoi proprio ammalare. Non basta che sia ammalata io?

Aveva voluto lui accompagnare la contessa alla casa di salute.

Quando la contessa fu portata di là, lui si era abbattuto su di una poltrona, con la destra aveva sbottonato gli abiti sul petto; aveva cercato le sue carni, e si sforzava di far penetrare le unghie nelle carni per soffocare con quel dolore l’altro dolore.

Il tempo passava. Non resse più. Una forza irresistibile lo aveva trascinato sino all’anticamera della sala operatoria.

Una sovraeccitazione del senso auditivo gli aveva fatto percepire, nel silenzio che grandeggiava di là, lo strazio di un grido di morte.

Nulla! Il silenzio era dietro quei muri.

Allora un’allucinazione strana, incredibile, era sopravvenuta: al di là delle pareti impenetrabili, qualcuno rideva.

Ma poi due inservienti della casa lo avevano trascinato via, lontano.

Dopo alcune ore dall’operazione, il professor H…. entrò a visitare l’inferma.

Vicino al capezzale sedeva il marito, sedeva in silenzio; e ogni tanto accostava le sue labbra, religiosamente quasi, ad una piccola mano che si disegnava immobile fuori dalle coperte.

— Tutto bene, tutto perfettamente, – disse il professore. – Non avremo nemmeno una elevazione di temperatura.

— Ma sembra come disfatta, non vede?

— È l’effetto del clorofòrmio, caro signore. È un fenomeno che scomparirà.

— Quel terribile clorofòrmio! – mormorò il conte. – Ne ho avuto l’incubo sul cuore….

— Infatti….

— Perchè? Ci fu pericolo? Fu somministrato in dose eccessiva?

— Perfettamente il contrario: forse in dose minore.

— Ha sofferto allora?

— Assolutamente nulla, – e stette lì meditabondo.

— Dio! Dio! A che pensa, dottore?

— Cornèlio, non ti affliggere! – disse dolcemente la contessa.

E il chirurgo sorrise.

Ma non era stata allucinazione nemmeno prima.

Nella sala operatoria, nel bagliore bianco e senz’ombra, tre uomini, intonacati di bianco, ridevano attorno ad una donna immobile, in loro balìa.

Il visino di lei, quasi affondato dentro ai capelli neri, aveva accolto un’espressione soave di bimba. Le palpebre, cineree, erano abbassate sul taglio degli occhi; ma un sorriso voluttuoso e languido apparve su le sue labbra, che lievemente mandarono un suono; e in quel silenzio, nettamente, spiccarono queste parole:

— È per darti tutta la felicità, o dolce amore.

— Chi «dolce amore»? – domandò uno degli assistenti.

— Cosa vuoi sapere tu? «Dolce amore!»

— E tuo marito?

Le labbra di lei pispigliavano un incomprensibile suono.

— E tuo marito? – ridomandò ancora il giovane.

Le labbra di lei formarono questo suono:

— Cornèlio Tàcito!

— Si chiama Cornèlio Tàcito tuo marito?

— Molto Cornèlio Tàcito.

I giovani assistenti si mordeano le labbra dal ridere.

— Taci, – esclamò allora con voce concitata il maestro, – taci, dormi, mala femmina troiana.

Le labbra di lei si distesero immobili, come se quel comando l’avesse soggiogata.

Ma il pispiglio delle labbra riprendeva.

— È il mio onore, «troiana»! Oh, guarda qui!

Fu allora che il maestro si impose.

Ella decadde infine totalmente; e non si udì più che il cozzo lieve delle bacinelle, dei ferri, in quella stanza dalla luce abbagliante.

— Sentite, ragazzi, – diceva poi il maestro ai due assistenti, – se vi salta in mente di far ancora parlare sotto l’azione del clorofòrmio, vi mando via dalla clinica.

— Ha riso anche lei, professore….

— Sì, sì, va bene, ma un momento; e poi queste sono cose che non hanno importanza. E…. e…. Dove sono i fiammiferi?

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Clorofòrmio
AUTORE: Alfredo Panzini

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle d'ambo i sessi / Alfredo Panzini - Milano : Treves, stampa 1920 - VIII, 186 p. ; 17cm.

SOGGETTO: FIC000000 FICTION / Generale