Cinquantamila lire.

di
Adolfo Albertazzi

tempo di lettura: 11 minuti


Al triste annunzio — il commendatore Demetrio Lecci, nell’attraversare la strada, era stato investito da un’automobile; commozione cerebrale e lesioni interne; smarrimento della coscienza; nessuna speranza —; appena ricevuto il terribile annunzio, Corrado Amaldi aveva lasciato in casa la moglie, affranta essa pure, angosciata e tremante, ed era corso al letto dell’amico.
Povero Demetrio! Giocondo, come sempre, nella faccia serena, era stato a trovar Corrado il dì innanzi. Ed ora…. ora Demetrio moriva senza riconoscere l’amico. Moriva: l’occhio vitreo e immoto; il volto disfatto e cereo; soli indizi di ultima vita, il respiro affannoso e uno scattare intermittente del braccio e della mano sinistra.
Non reggendo a tal vista Amaldi, con un nodo alla gola, scappò nella camera attigua e si abbattè su di una seggiola. Non poteva piangere.
Ma a poco a poco reagì in sè, cercò dominarsi riflettendo; e si obbligò a considerare i doveri che l’evento calamitoso e repentino imponeva a lui, l’amico intimo, prediletto. Al commendatore non restava che un parente, quel nipote così diverso da lui, e gli avevano telegrafato subito; ma quand’anche fosse arrivato in tempo a veder morire lo zio, il discolo non ne avrebbe ottenuto il perdono.
E Amaldi ricordò che Demetrio gli aveva manifestato più volte il proposito di diseredare il nipote vizioso e corrotto per beneficare le pie instituzioni a cui aveva dato tutto sè stesso. E pensò: «Demetrio avrà fatto testamento. Se lo trovasse qui in casa, il nipote lo trafugherebbe». Possibile?
Possibile. Quando l’evento o il fatto che confonde e travolge è enorme, anche i pensieri che a ragione fredda si giudicherebbero assurdi, sembrano giusti.
Egli guardò allo scrittoio, quasi a confermarsi che ci fosse il testamento del commendatore; poi, con improvvisa ripresa d’energia, s’alzò, chiamò il servo, andò a sedere allo scrittoio, trasse dalla cartella un foglio e una busta e, mentre scriveva, disse:
— Giovanni, a scanso della mia e della vostra responsabilità….: qui dentro ci potrebbero essere carte di molta importanza; credo convenga avvisare il notaio.
— Quel che fa lei….
— Il dottor Neri…. Sapete?… Via Goito….
Il vecchietto inchinandosi prese il biglietto; e uscì.
Con i gomiti puntati sullo scrittoio, per sorreggere il capo, e strette le tempia fra le palme, Amaldi ritenne nella mente il pensiero di prima, che non gli pareva più ben chiarito e compiuto.
No, non era possibile che un uomo come Demetrio Lecci avesse lasciato il testamento in uno scrittoio aperto. No? Ma qual uomo è così prudente da non cadere in qualche errore? Così prudente da aspettarsi a quarantadue anni un infortunio mortale?
D’altra parte, non poteva Demetrio aver pensato giustamente che Giovanni, meglio che servo l’uomo di fiducia, e lui l’amico, vigilerebbero, e in ogni caso provvederebbero alla custodia delle sue carte e all’adempimento delle sue disposizioni?
Fu così che la mano di Amaldi accompagnò il pensiero con moto spontaneo, proprio per naturale conseguenza. Aperse il cassetto di mezzo e guardò. Ma senza curiosità e intenzione ferma; con mente già inerte guardava, sollevando le prime delle carte sparse che lo riempivano e….
Quasi a ricevere un urto nel petto, quasi per difendersi istintivamente da un assalto impensato, respinse il cassetto dello scrittoio, si levò in piedi con tutto il sangue al capo, al volto, in un’apprensione ontosa, con un’impressione indefinibile di colpa e di repugnanza, con un impeto d’ira e di rabbia contro sè stesso, che già si lasciava afferrare da un dubbio insano; e non gli bastavan le forze a divincolarsi, a sfuggirne la mostruosa, diabolica presa.
Una lettera…, in una busta fina…, tra quelle carte, tra quei documenti…, interpostavi come per caso o dimenticanza.
Ricadde a sedere; riaperse; la tolse; ne guardò attento la soprascritta, vinto. E: sì; la lettera, il carattere (…. anche il profumo) era di Rina. Di Rina? Ebbene, fosse pur stata! Che cosa di male se sua moglie aveva avuto bisogno di scrivere, una volta, a Demetrio?
Ecco: egli era tranquillo, padrone di sè. Ragionava. Poteva ragionare freddamente. — Nessun male? Bisogno di scrivere a Demetrio? Perchè? No no! Quella lettera non era di Rina, ecco tutto! Pazzo! pazzo a lasciarsi allucinare da una somiglianza di scrittura. Dunque, via!; rimettere la lettera dove era prima, pentito dell’azione indegna che stava per commettere; violare, forse, un segreto dell’amico.
…. Vigliacco! Scampare, cercava scampare alla certezza?
E risolutamente levò il foglietto dalla busta, e vide che non c’era la firma, e lesse, e vide che era di Rina. Fu certo.
Ma ecco: sentì che possedeva una forza meravigliosa.
Non si muore d’una ferita, ricevuta a tradimento, nel cuore? di dolore, di spavento? Non si muore! Egli richiuse. Credè d’aver voce bastevole a chiamar Giovanni appena fosse tornato. — Via Goito era a due passi — e dirgli: — Vado a casa, per un momento —.
Si alzò…. (una forza meravigliosa!) e, come spinto da tutte le energie superstiti, entrò invece nella camera del moribondo, si avvicinò a guardarlo, con gli occhi sbarrati….
Ah! L’amico!
Allora il medico lo prese per il braccio, lo trascinò fuori. Cominciava l’agonia.
Ebbene…. — una forza meravigliosa! —, di là, nello studio, senza accorgersi dell’intimo schianto, della ferita ricevuta nel cuore a tradimento, senza piangere, senza gridare all’infamia, senza morire, Amaldi rilesse la lettera per confermarsi, di tutto, evidentemente.
Era un bigliettino scritto in fretta, dopo un convegno. Assicurava l’amante da ogni timore d’imprudenza o contrattempi.
Ma questa l’infamia! questa la prova! questa: «A casa ho trovato la cartolina che mi aspettava. Tornerà da Genova dimani o posdimani».
Egli era tornato da Genova…. Quando? Come gli era possibile ricordarsene? Oh se avesse potuto non ricordarsene! Era tornato….: il 14 maggio. Aveva scritto, e se ne ricordava, all’albergo, due sere prima. Due sere prima.
Nel biglietto amoroso mancava la data. Ma il timbro su la busta? si leggeva benissimo: 12-5…. Dunque: c’era più appiglio a dubitare che fosse di Rina?
Tutto evidente! Che infamia!
E come gli fosse strappata solo allora la benda dagli occhi, Corrado Amaldi vide sua moglie affranta e pallida all’annunzio della disgrazia; e solo allora sentì lo spasimo della ferita, l’atrocità del colpo, l’insopportabile tormento. Fuggire! scomparire dal mondo! Ammazzarla!
Adagio! Aspettare! L’altro, intanto, agonizzava.
Ed entrò il notaio. E passò, trafelato, un prete.
Poi Giovanni annunciò:
— Il presidente del Consiglio Provinciale e un assessore del Comune.
Corrado Amaldi immobile, in piedi in mezzo alla camera, ora provava la sensazione d’uno che sia trascinato da una forza irresistibile in un precipizio. Quei signori si condolevano con lui, più che amico, fratello del commendator Lecci…. Anche, volevano informarsi da lui, per regolarsi nelle onoranze funebri. E l’assessore, più disinvolto, venne dal notaio, presso lo scrittoio, e l’interrogò.
Mentre il Presidente seguitava nelle condoglianze, Corrado udiva il notaio che rispondeva:
— Il testamento segreto è depositato presso di me; ma non si procede all’apertura senza richiesta del presunto erede.
Udiva soggiungere l’altro: — E se il nipote, il presunto erede, ritarda qualche giorno a tornare, come conoscere le precise disposizioni testamentarie per i funerali?
— I familiari…. Il signor Amaldi….
Già, il signor Amaldi.
Ma il signor Amaldi pareva esagerare — un pochino — il suo cordoglio; pareva troppo stordito. Rispondeva a stento che il commendatore sdegnava i funerali chiassosi; che disapprovava l’uso dei discorsi, dei fiori…. Non altro. Giovanni, Giovanni forse ne sapeva di più.
Interrogarono anche lui; e rispose che il suo padrone non avrebbe sdegnata una messa di requiem. Ma la messa, quando fosse richiesta o permessa dal testamento, poteva celebrarsi giorni dopo il trasporto; non era cosa urgente.
A ogni modo, Provincia e Comune stavano per accordarsi su le onoranze, quando il medico s’affacciò sulla porta e aperse le braccia.
Amaldi, che si era seduto accanto al Presidente, balzò in piedi, livido; rimase impietrato, con gli occhi torbidi; e Giovanni scappò via gemendo. L’assessore guardò l’orologio e disse: — Sette e venti —; e il Presidente disse: — Animo, signor Amaldi! —; e afferrò e strinse la mano del signor Amaldi.
Il quale adesso sembrava non esagerar più; sembrava manifestare con il dolore di chi perde il fratello lo stupore del mistero e lo sgomento del nulla; o pareva rimasto senza pensiero.
Pensava: «Dovrò fingere, dissimulare fino all’ultimo!»


Fino all’ultimo, fino a che la salma fu deposta nel loculo, egli si comportò così, come aveva sentito la necessità di comportarsi, come volevano le convenienze sociali.
Ma dopo! Al ritorno, nella carrozza chiusa, libero della cappa di piombo che la società vile e corrotta gli aveva imposta, in una commozione di scherno e di rabbia Amaldi s’abbandonò a meditare, a pregustare la vendetta. Oh sfogarsi! sfogare l’amarezza dell’onta patita e l’onta dell’ipocrisia a cui era stato trascinato come in un baratro; sfogare tutto l’odio che gli si era addensato in veleno nel cuore; esasperare con voluttà di martirio la ferita dilaniante; gettar la maschera, e accusare, e calpestare l’infame prostrata, nella confessione e nel rimorso, ai suoi piedi; o colpirla, ammazzarla se sorretta dalla passione e insolente!
Che benefizio nell’anima e nel sangue, a immaginare il castigo tremendo, mortale! Ammazzarla!
Ma era illusione fugace. A poco a poco intravvedeva che a lui non era concesso — no — nemmeno l’inconsulta attesa della catastrofe che fosse, per sua mano, tragica!
No: egli, povero uomo, doveva riprendersi tosto, ragionare, riflettere. No. Non gli era possibile vendicarsi in tal modo; non doveva ucciderla; non cacciarla, sgualdrina, di casa; non trascinarla a un tribunale. No. Perchè? Perchè sarebbe uno scandalo!
Era caduto in una contradizione; la contradizione in cui s’era messo non tardò a stringerlo, ad attanagliarlo, a soffocarlo. Non poteva vendicar il suo onore senza provocar uno scandalo enorme; ma per evitare lo scandalo, per salvare il suo onore aveva dissimulato restando fin la notte in casa del defunto, fin reggendo nel trasporto uno dei cordoni del feretro!
Sciagurato! Rivelando adesso il suo disonore non darebbe forse diritto al mondo di chiedergli: Come mai, tu, ad accorgerti d’esser tradito, hai aspettato che il traditore sia stato morente o morto? Per quale misterioso interesse hai dissimulato fin all’ultimo? Per quale vergognoso passo hai accompagnata la salma all’ultima dimora? Per quale inconfessabile ignominia hai taciuto sempre con tua moglie, e schiamazzi adesso che Dio o un accidente ti ha liberato del più colpevole, del più forte?…
In ogni persona che vedeva, egli vedeva un ridere osceno; e gli pareva che tutti coloro che conosceva gli ridessero in faccia, gli gridassero:
— Anche tu! anche tu….; e finchè l’altro viveva…., eri contento!
Tutti, sempre, l’avevan tenuto per un uomo onesto, un gentiluomo; e cadere, affogare nel fango! Aveva amata sua moglie e….
Al pensiero del suo amore di un tempo, non resse più. Ruppe in singhiozzi; pianse.
Lo riscosse il rumore delle ruote sul ciottolato, rientrando in città. E non osò rincasare fiaccato in tal modo dalla passione e dalla ragione.
Gli era necessaria una tregua; un po’ di riflessione pacata; di silenzio; le forze umane hanno un limite, perdio!
E ordinò al fiaccheraio di condurlo, invece che a casa, all’uffizio del Consorzio.
Ivi per fortuna l’aspettava un telegramma il quale lo chiamava, d’urgenza, a Ferrara. Per non scrivere o telefonare alla moglie mandò un impiegato a casa a mostrar il telegramma; dicesse alla signora ch’egli ritornerebbe solo al dimani.
E partì davvero subito.
Ma non poteva fuggire, miserabile, da sè stesso; non poteva fuggire al dilemma che gli si veniva determinando sempre più chiaro nella mente:
O il mondo sapeva, e sarebbe inesplicabile la sua condotta, la sua ipocrisia, la sua dedizione alle convenienze quando e in qualunque modo egli desse a vedere che non ignorava, già prima, la colpa della moglie; o il mondo non sapeva, e guai per lui se si vendicasse. Rivelerebbe lui la sua sventura. La pubblica moralità non giustifica il marito che ammazza, o scaccia la moglie, o se ne separa, se il castigo non chiarisce, non specifica la colpa.
Anche in treno, e poi la notte insonne, nel letto dell’albergo, cercò la via a superar sè stesso. Invano. Il pensiero di rimettere all’avvenire una decisione gli era insostenibile; nessun conforto, nessun consiglio, nessun aiuto. Che poteva sperare dal destino?
E invano la mattina dopo si provò a un ritorno di vita normale nelle faccende per cui era stato chiamato a Ferrara; anzi quei discorsi, così lontani e diversi dell’intima cura, gli esacerbarono sempre più la ferita, gli rintorbidarono la mente.
Ripartì con una più fiera tempesta nell’anima, con un senso di energia ricuperata e prorompente, e un bisogno d’uscire da quella sua agonia; con un solo pensiero fisso e, solo esso, ragionevole: che la risoluzione del suo destino non dipendeva da lui; dipendeva dal contegno della moglie.
Egli l’affronterebbe gettandole in faccia la lettera che ne attestava la colpa, le direbbe: — Ho tentato di salvare il tuo onore salvando il mio. Ora, a noi! E senza chiasso, senza scandalo! Che intendi di fare?
Ma una mossa sola di lei, una parola sola avversa alla sua passione immensa lo trasporterebbe al di là del limite che divide la ragione dalla follia; e allora non indietreggerebbe, non esiterebbe davanti alla catastrofe sanguinosa. Una revolverata per lei e una, magari, per sè; tanto, la sua vita era spezzata!
Così, mentre andava a casa, l’immagine della donna gli si confondeva nella mente con le attitudini o del terrore improvviso, o della negazione disperata; o della confessione umiliante, o dell’invocazione di pietà e di perdono. La immaginava di nuovo in una crisi di lagrime e di rimorso, a cui sovrastava imponente, spietata, tremenda, quale che si fosse, la risposta e l’azione di lui….
A casa! A casa! Ma nell’entrare in casa pallido, fremente, ecco venirgli incontro la moglie frettolosa e, al tempo stesso, tranquilla. Tranquillissima! Diceva:
— Il notaio Neri t’ha cercato ierisera e stamattina per una cosa di grande premura. Poco fa ha mandato questa lettera.
E la porgeva. Tranquillissima!
Amaldi per prendere la lettera del notaio e aprirla lasciò nella tasca quell’altra, che già stringeva per gettarla in faccia all’adultera. E lesse; e intanto che leggeva, Rina, nel vederlo affoscare sempre più, dubitò di una nuova disgrazia e: — Che c’è, Corrado? Una nuova disgrazia? — chiese con dolcezza.
Corrado non rispose respingendola: — Via, malafemmina! — Rispose: — Nulla! —; e si diresse all’altra camera.
— Vuoi desinare subito? — Rina domandò ancora con dolcezza —. Sarai stanco; avrai fame.
Senza volere, assentì, del capo.
Poi, nella camera di là…. Era una cosa incredibile! Una cosa turpe, laida, lurida; una schifezza orrenda! Da ridere. Che vigliacco era stato quell’uomo saggio!
Diceva la lettera del notaio:
“…. Il testamento del compianto commendatore Demetrio Lecci, aperto a richiesta del di lui nipote, lega lire cinquantamila a favore della S. V….”
— Ed io — disse a sè stesso Corrado Amaldi sobbalzando con l’impeto del martire che riconfermi la sua fede di fronte allo scherno osceno e tirannico —, io rifiuto il legato, io rifiuto il prezzo della mia vergogna! Rifiuto!
Ah sì? Rifiutava? Un eroe! Se non che il mondo vigilava e chiedeva:
Perchè? Perchè rinunciare al lascito del tuo miglior amico, che hai tanto stimato e amato in vita, che hai tanto onorato in morte, che hai accompagnato all’ultima dimora e hai visto, con tanto strazio, seppellire?
O il mondo sa, o non sa….
Ma no (ragioniamo), no che il mondo non sapeva! Un uomo prudente, retto, saggio quale Demetrio Lecci, non avrebbe avuto mai simile audacia senza l’assoluta certezza che il mondo ignorava la sua colpa; non avrebbe corso il rischio di contaminare post mortem la fama di tutte le sue belle virtù con un atto che disonorasse il benefattore non meno del beneficato; anzi con illuminata esperienza egli aveva forse provveduto così a smentire, a rendere inverosimile la malignità se mai qualcuno osasse di mormorare!
E se il mondo ignorava, non sarebbe stata stoltezza metterlo in sospetto rifiutando l’eredità?
Accettarla!
Ma (ragioniamo), ma accettandola come avrebbe potuto — povero marito —, come avrebbe potuto investire, assalire l’adultera, chiamarla infame? Essa avrebbe ribattuto, trionfante: — Chi più infame di te che accetti l’eredità dell’amante di tua moglie?
Nessuno scampo, gran Dio! Così, proprio così: per salvare la sua dignità, il suo onore; per serbarsi un galantuomo, un gentiluomo agli occhi degli altri e di sua moglie, Corrado Amaldi doveva prendersi le cinquantamila lire e tacere! Irremissibilmente; ad ogni costo: tacere e prendersi le cinquantamila lire! Nessun rimedio.
— Corrado, vieni a desinare? — chiamò Rina con dolcezza.
Egli stracciò la lettera…. — non quella del notaio, l’altra —; ne sparse i minutissimi pezzetti fra le carte del cestino; e raccolte tutte le forze a superar sè stesso, rispose, con dolcezza:
— Vengo.
Non c’era altro da fare.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Cinquantamila lire
AUTORE: Albertazzi, Adolfo

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Il diavolo nell'ampolla : novelle / Adolfo Albertazzi - Milano : Treves, 1918 - 194 p. ; 16 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)