Danilo Serra (1991) è laureato in Scienze Filosofi che presso l’Università degli Studi di Palermo. Collabora con Agenzia Stampa Italia. Numerosi sono i suoi articoli scientifici editati su volumi, riviste e piattaforme virtuali. Ha pubblicato, fra l’altro, Il movimento del pensare (2013), «Non ho tempo»: la grande menzogna (2014), La banalità che uccide (2015), La meraviglia è quando tremi. Per un’etica della bellezza (2016). L’abbiamo intervistato a proposito del suo libro su Heidegger edito da Il Prato di Padova nella collana I Cento Talleri diretta da Diego Fusaro, dal titolo Che cosa significa pensare in Heidegger.

A quasi un secolo di distanza dalle sue prime riflessioni, il pensiero di Martin Heidegger continua a essere attuale. Perché?
È il minuzioso lavoro ermeneutico condotto da Heidegger che, dal mio punto di vista, rende il suo pensiero attuale e meritevole di interesse. L’attenzione rivolta alle parole, al loro significato, è il suo tratto decisivo. Attraverso le sue opere, Heidegger punta l’accento sull’importanza del linguaggio. La sua è una rivoluzione concettuale fondata sullo «scavo linguistico». Egli è un provocatore e, provocando, invita e stimola a scavare nel terreno fertile delle parole. Le parole, riprendendo un’immagine tanto cara al pensatore tedesco, sono sorgenti, fonti che il dire cerca, che di continuo devono essere ricercate e scavate, che facilmente franano ma che a volte all’improvviso sgorgano. Da questo punto di vista, il suo pensiero è assai affascinante poiché ci permette, quasi costringendoci, di pensare alle parole come qualcosa di non abituale o scontato ma straordinario. Qualcosa che deve essere ascoltato e custodito. In questo ascolto, l’uomo è chiamato in causa. Lui, d’altronde, ne è il pastore, il vero custode delle parole e del linguaggio. Ecco la bellezza. Questo rende, a mio parere, il pensiero di Heidegger sempre attuale.

Heidegger ha scritto: «Il più considerevole nella nostra epoca preoccupante è che noi ancora non pensiamo». Cosa vuol dire?
Ho voluto intitolare il primo capitolo del mio testo con questa potente frase pronunciata da Heidegger all’Università di Friburgo durante il semestre invernale 1951-52: «Il più considerevole nella nostra epoca preoccupante è che noi ancora non pensiamo». Rispondere brevemente alla domanda circa il suo significato è pressoché impossibile. Ciononostante posso dire brevemente che, con questa affermazione, Heidegger si rivolge all’uomo spingendolo a riflettere e soffermarsi sul «più preoccupante» (Das Bedenklichste), ovvero su ciò che ci «preoccupa» e coinvolge prima di ogni altra cosa in quanto a lui si deve il «dono» (Gabe) del pensiero. Per Heidegger, questo «più preoccupante», che viene concepito come matrice del pensiero – e quindi della stessa essenza umana – non viene affatto pensato nella sua piena e totale autenticità. La proposizione vuole quindi porsi al contempo come una denuncia («il più preoccupante», oggi, non è pensato) e come un monito, una chiamata, un invito a mettersi sulla via del pensiero per pensare autenticamente ciò che è degno di essere pensato.

Cimentarsi con un autore di questo calibro, dalla bibliografia secondaria sterminata, è impresa temeraria. Come vi è arrivato? E cosa ha voluto dire al lettore?
Cominciai ad apprezzare il pensiero di Martin Heidegger, in particolare le opere scritte a partire dagli anni ’30, fin dal mio primo anno universitario. La sua scrittura, così densa e ricercata, a tratti oscura, colpì il mio interesse ed ebbe un ruolo decisivo per la mia formazione accademica. Al lettore ho voluto e voglio comunicare questo interesse e questa passione verso un autore che, più di ogni altro, ha saputo cogliere il senso dell’essere nel mondo: mettersi in moto, attivarsi, tendere, camminare in direzione del pensare, nei pressi del pensare.

Un paio d’anni fa non si parlava d’altro che dei Quaderni neri, oggi sembra che la cosa sia passata di moda. In che modo e in che misura la riflessione filosofica dovrebbe fare i conti con l’antisemitismo del pensatore di Messkirch?
Rispondo fin da subito con chiarezza: non vedo nessuna relazione (nessuna misura) tra la riflessione filosofica di Heidegger e l’antisemitismo nazista. La questione è delicata e fa ancora rumore. L’uscita dei cosiddetti Quaderni Neri (Schwarze Hefte) ha scosso il mondo accademico e non solo. In questi taccuini-appunti, scritti da Heidegger in un lungo periodo di tempo che include anche i terribili anni della guerra, molti studiosi e critici hanno colto, tra le altre cose, delle tracce di antisemitismo nel suo globale sistema filosofico. È vero che nei Quaderni Neri c’è una speculazione filosofica che coinvolge ed assorbe in un certo senso il popolo ebraico. La problematica, però, è molto complessa e andrebbe trattata, con tutto il suo carico di complessità, in sedi più appropriate ed adeguate. Comunque sia, credo fermamente che non si possa asserire, come pretenderebbero di fare invece taluni studiosi, che la sua filosofia sia inficiata dal nazismo o – cosa ancor più ridicola – da un presupposto o da una forma di pensiero antisemita. Perché? Semplicemente perché l’antisemitismo (come il nazismo) non è e non può essere né un principio fondante e fondativo della sua riflessione filosofica, né un suo messaggio, né un punto di approdo. Dunque, per una comprensione autentica del pensiero filosofico di Heidegger non è affatto essenziale conoscere le sue presunte e/o discutibili opinioni politiche.

A quale nuovo progetto sta lavorando?
Uscirà prossimamente un mio breve saggio su Thomas Kuhn e, nello specifico, sul concetto di «rivoluzione scientifica», idea fondamentale per comprendere l’originale attività del filosofo americano. Inoltre, sto lavorando da alcuni mesi alla stesura del mio nuovo libro. Al centro di questo progetto è la riflessione sulla figura di Gesù Cristo operata con delicatezza riprendendo alcuni versetti incisivi dei quattro Vangeli canonici, in particolare del Vangelo secondo Matteo. Sono consapevole del fatto che tanto si è già scritto sulla personalità di Gesù. Non per questo si deve smettere. La scommessa, anzi, è quella di continuare ad essere originali, contribuendo a fornire un valido sostegno per lo sviluppo della storia della cultura e dell’umanità. C’è ancora tanta strada da compiere. Le idee certamente non mancano, anche se il cammino è complesso e tortuoso. Tuttavia, finché è possibile, occorre camminare. Hic et nunc.


Danilo Serra, Che cosa significa pensare in Heidegger, ed. Il Prato, Padova 2015, collana “I Cento Talleri”.

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Paolo Calabrò
Laureato in scienze dell'informazione e in filosofia, gestisco il sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Ho collaborato con l'Opera Omnia in italiano di Raimon Panikkar. Sono redattore della rivista online «Filosofia e nuovi sentieri» e membro dell'associazione di scrittori «NapoliNoir». Ho pubblicato in volume i saggi: – Scienza e paranormale nel pensiero di Rupert Sheldrake (Progedit, 2020); – Ivan Illich. Il mondo a misura d'uomo (Pazzini, 2018); – La verità cammina con noi. Introduzione alla filosofia e alla scienza dell'umano di Maurice Bellet (Il Prato, 2014); – Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (Diabasis, 2011) e 5 libri di narrativa noir: – Troppa verità (2021), romanzo noir di Bertoni editore (2021); – L'albergo o del delitto perfetto (2020), sulla manipolazione affettiva e la violenza di genere, edito da Iacobelli; – L'abiezione (2018) e L'intransigenza (2015), romanzi della collana "I gialli del Dio perverso", edita da Il Prato, ispirati alla teologia di Maurice Bellet; – C'è un sole che si muore (Il Prato, 2016), antologia di racconti gialli e noir ambientati a Napoli (e dintorni), curata insieme a Diana Lama.