(voce di SopraPensiero)

La nascita delle lingue romanze così come oggi noi le conosciamo è notoriamente frutto di un percorso secolare caratterizzato da fasi di accelerazione alternate a fasi di rallentamento. Una storia complessa dunque, la cui ricostruzione ha impegnato e impegna i filologi e gli storici della lingua di tutto il mondo, per i quali è fondamentale poter avere contatto diretto con i documenti, specie se si tratta delle pietre miliari della storia della lingua, come possono considerarsi, per l’italiano, i placiti cassinesi, in particolare il Placito Capuano, redatto nel marzo 960 e contenente la formula pronunciata dal testimone Gariberto: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti». Stando al documento Gariberto sarebbe stato «…clericum et notarium…» quindi avrebbe dovuto conoscere il latino, e in effetti è così. Ma il latino del personaggio in questione è già contaminato dal volgare.

Una situazione simile si presenta in Spagna con i Cartularios (o Becerros) dell’arcidiaconato di Santa Marìa de Valpuesta. Si tratta di veri e propri elenchi redatti dai monaci (l’usanza era in voga in gran parte dei centri ecclesiastici del tempo) per registrare le donazioni ricevute.
Risalenti ad un periodo a cavallo tra i secoli IX e XII, i codici, conservati presso la sezione Clero Regular dell’Archivo Histórico Nacional di Madrid, rappresentano la più antica attestazione dell’uso del volgare in Spagna, come confermato dall’impiego di termini come Iermanis per frater o kaballos per caballum.
Saturnino Ruiz de Loizaga (Tuesta, Álava, 1939), frate francescano archivista presso il Vaticano, oltre che paleografo e medievista, sostiene la teoria per cui i frati intendevano scrivere gli elenchi in latino, ma ormai non ne avevano più una conoscenza profonda ed erano condizionati dalla lingua che parlavano regolarmente e così indotti all’errore.

La casa editrice Siloé, arte y bibliofilia di Burgos pubblicherà a breve l’edizione anastatica dei Cartularios (Gotico e Gallicano, contenenti rispettivamente 187 e 138 carte) de Valpuesta, dando la possibilità agli studiosi di entrare in contatto con quella che può essere definita la culla della lingua spagnola e di ricostruire un’altra parte importante della storia delle nostre lingue, che proprio in questo momento storico segnato dalla tendenza all’omologazione anche linguistica hanno bisogno di essere conosciute e di poter svelare il loro fascino e, soprattutto, quello delle loro storie.