Tra il 16 e il 22 settembre 1866 scoppiò a Palermo la «Rivolta del Sette e mezzo»: il sanguinoso episodio si guadagnò tale appellativo perché gli scontri durarono poco più di una settimana. Il giovane Giacomo Pagano si accinse a scrivere il resoconto dettagliato dei fatti in Avvenimenti del 1866 : Sette giorni di insurrezioni a Palermo nel novembre del medesimo anno.
L’autore non si limita a descrivere quanto accadde: con uno stile asciutto, che tende in buona parte a distaccarsi da quel filone di resoconti giornalistici ottocenteschi colmi di retorica e sentimentalismo ampolloso, offre al lettore una narrazione dettagliata e quanto più veritiera possibile dei subbugli popolari che funestarono la sua città e i dintorni, senza scivolare in giudizi facili, frutto della disinformazione. Pagano manifesta tra le pagine anche l’intento di riscattare l’immagine compromessa della sua terra natia, definita dallo stesso, all’inizio del primo capitolo, come la parte d’Italia meno conosciuta e più lontana dal centro della vita morale, intellettiva e materiale della nazione.
Nella prefazione infatti scrive:
«Analizzando le cause, che cagionarono tante sventure, esponendo la serie dei fatti che mi fece lagrimare, perché essi hanno insanguinato la mia terra, io non porrò passione di sorta. Non lascierò trascorrere l’animo ai rimproveri ed a vane declamazioni, che egli sarebbe delitto quando appunto è dovere lo scrivere solo per l’ Umanità, che giudica, e per la Storia, che deve registrare. Sgombro il cuore dagli allettamenti del sentire e dalla forza dell’imaginare, io pongo ferma fiducia nell’appello che fo alla giustizia degli Italiani: esso valga a premunire chiunque contro i pregiudizi dannosi e contro la furia del condannare.»
Il volume è strutturato in tre capitoli. Nel primo, l’autore espone i prodromi della sommossa, analizzando con lucidità il contesto politico, sociale ed economico dell’isola di Sicilia. La regione era caratterizzata da una forte instabilità a livello governativo, a seguito dei moti del 1860 che avevano decretato la fine del Regno delle Due Sicilie e la capitolazione del re Francesco II. In aggiunta a ciò, la popolazione era ridotta allo stremo, colpita soprattutto dal mandato di leva obbligatoria, e le infiltrazioni mafiose contribuivano ad aggravare la situazione. Pagano illustra chiaramente la complessità della rivolta del Sette e mezzo, considerata «acefala» dagli storici e da Raffaele Cadorna, luogotenente della forza militare in Sicilia, dato che non fu ispirata da un unico promotore ma da un eterogeneo complesso di individui appartenenti a tutti gli strati della società, che rivendicavano molteplici interessi, spesso contrastanti tra loro. All’insurrezione parteciparono infatti sia i popolani sia gli aristocratici e i religiosi, i primi mossi dall’esasperazione, gli altri dalla perdita dei loro privilegi borbonici.
Nel secondo capitolo, ogni paragrafo è dedicato ad un giorno della rivolta. Pagano ci informa subito delle prime fucilate esplose all’alba della domenica del 16 settembre e in seguito fornisce accuratamente dettagli relativi agli spostamenti dei rivoltosi nelle vie della città, agli assalti e alla repressione sanguinosa guidata da Cadorna, su ordine del sindaco Antonio Starabba di Rudinì. Gli strati più bassi della società subirono migliaia di perdite e furono oggetto di durissime rappresaglie governative anche dopo il 22 settembre.
Il terzo capitolo è dedicato alle considerazioni generali sulla rivolta e ai rimedi proposti per evitare il ripetersi di situazioni simili. Di particolare interesse è l’appendice contenente i documenti principali prodotti durante i giorni concitati della rivolta dagli «attori principali»: Cadorna, il prefetto Torelli, Starabba di Rudinì, il questore Pinna. In questa sezione è possibile apprezzare la perizia di Pagano nel raccogliere dispacci, lettere, proclami, decreti ed ordinanze. Si rileva anche il piglio polemico con cui l’autore commenta le lettere scritte da Cadorna alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, evidenziandone gli errori volontari e l’invenzione di fatti raccapriccianti compiuti dalla popolazione contro l’esercito per giustificare i suoi cruenti metodi di repressione.
Sinossi a cura di Elena Paniccià
Dall’incipit del libro:
Egli è fuor di ogni dubbio essere la Sicilia la parte d’Italia meno conosciuta e più lontana dal centro della vita morale, intellettiva e materiale della Nazione. Vi è taluno, che, lasciandosi portare a volo da una calda fantasia, la chiama la terra del fuoco e delle nobili iniziative, come v’hanno altri che la giudicano la terra dei barbari, atterriti come sono dai miserandi fatti testè accaduti.
Nelle altre parti d’Italia i dotti nazionali e gli stranieri ricercano con assidua cura tra le polverose pergamene e nei rôsi volumi la storia del progresso e della civiltà di esse tutte: ma quì sul passato di quest’isola bella ed infelice, ma grande, ricercano solo pochi egregi isolani e di tratto in tratto gli archeologi e i geologi stranieri vengono a scrutare tra i vapori dell’Etna nevoso o nelle catacombe di Siracusa i misteri della natura, vengono a dissepellire le memorie di una vita splendida che fu; dal continente italiano non viene alcuno mai. Tutti in Italia conoscono quell’irrequieto avvicendarsi
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