Il volume è un insieme di interessanti scritti di Arturo Graf, poeta, storico, critico letterario italiano (1848–1913). I contributi, già pubblicati in rivista, analizzano i vari aspetti della cultura cinquecentesca. Pur presentando dettagliate notizie storiche, questi scritti sono lontani dall’essere una critica puramente erudita; piuttosto, vediamo come Graf, pur formato da una cultura positivistica, sia permeato di spirito romantico, mostrandosi attento ai valori storici e umani di un’opera d’arte.
La raccolta contiene cinque saggi: Petrarchismo e antipetrarchismo, Un processo a Pietro Aretino, I pedanti, Una cortigiana fra mille, Un buffone di Leone X.
Il volume si apre con un denso saggio sul fenomeno del petrarchismo, fenomeno ampiamente diffuso nella letteratura italiana del Cinquecento. L’autore, erede della sensibilità e del gusto romantico, si mostra molto critico nei confronti di questa corrente, considerandola una «malattia cronica della letteratura italiana». Ripercorrendo le varie esperienze del petrarchismo italiano lungo il Cinquecento, il secolo in cui «il petrarchismo galla, lussureggia, trionfa e strabocca», l’autore identifica in questa “malattia” una comune causa, ossia la debolezza dell’ingegno artistico dei poeti di allora. Questo giudizio, che risente degli influssi del pensiero romantico, sarà poi ribaltato da Benedetto Croce, che affermerà invece come l’imitazione della poesia di Petrarca abbia condizionato positivamente lo sviluppo del linguaggio della lirica italiana, non solo durante il Cinquecento, ma anche oltre. Questo capitolo è senz’altro interessante per comprendere la concezione di una certa storiografia romantica, che vedeva nel petrarchismo una corruzione della letteratura italiana.
Il secondo capitolo è un saggio dedicato a Pietro Aretino (Un processo a Pietro Aretino). Di fronte a questo scrittore, i critici hanno per lungo tempo avvertito un certo disagio, per via di alcuni suoi scritti dal contenuto licenzioso. In questo lavoro, Graf cerca di dissipare la fosca leggenda che attornia la figura di Aretino, ripercorrendo alcuni tratti salienti della sua storia biografica e letteraria. Seguendo uno schema metodologico, l’autore divide il suo “processo” in tre parti: nella prima parte cerca di individuare quanto vi sia di vero nelle leggende che ruotano attorno ad Aretino; nella seconda esamina l’indole morale del poeta; nella terza analizza il valore di lui come scrittore.
Il terzo scritto è un curioso saggio sulla figura del “pedante” e sulla sua fortuna nel Cinquecento. Il pedante, vera e propria caricatura dell’erudito, fu una costante nella letteratura e nel teatro comico cinquecenteschi, tanto da costituire un genere a sé, la cosiddetta letteratura pedantesca. In questo saggio, Graf riporta una dettagliata (e anche divertente) analisi della figura del pedante, buffo personaggio «ottuso di mente; ricco talvolta di memoria, ma poverissimo sempre di giudizio», infarcito di cultura umanista e colmo di saccenteria, che «sparge di latinismi il suo dire, e fa un guazzabuglio che nessuno intende». Corredato di una ricca bibliografia di testi pedanteschi, il testo fu molto bene accolto dagli ambienti accademici dell’epoca, e ancora oggi costituisce una lettura fondamentale per lo studio del pedante nella letteratura.
Nello studio della cultura cinquecentesca, Graf rivolse la sua attenzione anche al mondo femminile, come dimostra il suo interessante saggio sulle cortigiane del Cinquecento, dal titolo Una cortigiana fra mille: Veronica Franco. Qui l’autore riporta uno studio interessante sul ruolo della cortigiana, sulla sua condizione, i suoi costumi, la sua formazione culturale e morale, riportando una gran quantità di curiosi aneddoti che ruotano attorno alle corti cinquecentesche.
Il volume si chiude con un saggio su Fra’ Mariano Fetti, buffone di corte del pontefice Leone X, famosissimo all’epoca per le burle che faceva ad alti dignitari della corte romana. Oltre a svelare l’identità di un curioso personaggio, questo scritto è un interessantissimo studio sulla buffoneria, quando era usanza comune dei principi e dei signori (ma anche dei pontefici) avere nelle proprie corti dei buffoni che rallegravano le sale e i banchetti.
Nel complesso, l’intera opera affronta i più diversi aspetti della vivace cultura del Cinquecento italiano (dal petrarchismo all’antipetrarchismo, dalle maschere della commedia alla buffoneria di corte), offrendo una variegata galleria di personaggi, fatta da eruditi, poeti, cortigiani, papi, signori, pedanti, buffoni. I saggi contenuti sono tuttora un punto di riferimento importante per gli studiosi della letteratura e cultura cinquecentesche (alcuni saggi sono stati citati da recenti studi, anche stranieri), ma allo stesso tempo costituiscono delle letture interessanti e piacevoli per chiunque voglia conoscere alcuni aspetti meno noti e singolari della cultura Umanista.
Sinossi a cura di Sofia Fagiolo
Dall’incipit del primo saggio Petrarchismo e antipetrarchismo:
Il Petrarchismo è una malattia cronica della letteratura italiana. A cominciare dai tempi stessi del poeta che gli diede il nome, e a venir giù sino a quelli dei nonni o bisnonni nostri, ogni secolo della nostra storia letteraria se ne mostra, non voglio dire infetto, che potrebbe parere troppo irriverente verso la causa prima e non volontaria del male, ma soprappreso, o colpito, in varii modi e con diversità di grado e di effetti. È una specie di febbre ricorrente, da cui non so se possiam dirci ancora in tutto e per sempre guariti, ma che già più di una volta c’ebbe a tornar perniciosa. Il Petrarca era ancor vivo e vegeto che molti già, com’egli stesso ci dice, si facevano belli delle sue spoglie, tentavano di tramandare sull’ali stesse dell’ingegno di lui il nome loro ai posteri. Costoro, che spacciavan per proprii i versi stessi del cantore di Laura, sono certo i petrarchisti più petrarchisti che sieno mai stati.
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