Ascanio Gaddi è un orefice, allievo e pupillo di Benvenuto Cellini, che ha seguito nel suo trasferimento alla corte di Francia presso Francesco I; siamo nel 1540. A lui è dedicato il titolo del romanzo in cui si narra la storia del suo amore, fortunato ma contrastato da mille avvenimenti, per Colomba, la figlia del Prevosto di Parigi.
In realtà l’eroe del romanzo, anzi il supereroe, è Benvenuto Cellini, che ha tutti i pregi e tutte le facoltà: finissimo artista, ma anche spadaccino della forza di D’Artagnan, artigliere provetto – ha ucciso il Borbone durante il sacco di Roma – scaltrissimo nel progettare l’evasione da Castel Sant’Angelo come nel contrastare le trame dei suoi nemici. Riuscirà anche nella cosa più difficile: vincere se stesso, perchè s’era innamorato di Colomba, quando scopre che ella ama, riamata, Ascanio.
Un altro personaggio, secondario, ma interessante, è Jacopo Aubry, studente a Parigi ed amico di Ascanio. In un primo tempo la sua imprudenza è causa di guai per Benvenuto ed Ascanio, ma quando si rende conto delle sue colpe, cambia carattere e si getta a corpo morto nelle più straordinarie imprese per rimediare ai suoi errori: si fa arrestare per raggiungere Ascanio, ha la fortuna di essere imprigionato nella cella vicina insieme ad un prigioniero che per anni ha scavato una galleria, quasi finita, e che muore subito dopo averlo conosciuto (Il conte di Montecristo è scritto negli stessi anni e pubblicato dopo questo romanzo, quindi è l’Abate Faria che copia l’idea…) e infine, recuperata la preziosa lettera che può liberare Ascanio, arriva alla suprema abnegazione di… sposarsi per poter far uscire la lettera di prigione consegnandola alla moglie. Nelle avventure di Jacopo, che rischia la vita, c’è anche l’eco di un libro di Hugo, Gli ultimi giorni di un condannato a morte, nella figura del secondino che prega il probabile impiccato di concedergli nel testamento un pezzo della corda con cui l’impiccheranno e che avrebbe dovuto portargli fortuna.
Da questo romanzo è stato tratto anche un melodramma: Cellini a Parigi, di Giovanni Peruzzini.
Sinossi a cura di Claudio Paganelli
Dall’incipit del libro:
Era il 10 luglio dell’anno di grazia 1540, alle 4 pomeridiane, in Parigi, nel recinto dell’Università, all’ingresso del Tempio degli Agostiniani Maggiori; di fianco alla pila dell’acqua benedetta v’era un bel giovine di statura alta, di colorito bruno, con occhi neri e grandi e con lunghi capelli, vestito con una semplicità piena di eleganza e munito d’uno stiletto maravigliosamente cesellato; per devota umiltà, senza dubbio, non si era mosso dal suo posto per tutto il tempo che eran durati i vesperi; questo giovane chinò la fronte, ed assorto in pia contemplazione, mormorava sottovoce non so quali parole, forse le sue preghiere, giacchè le pronunciava sì piano, che solo egli e Dio potevano sapere quello ch’ei diceva: verso la fine del divino ufficio rialzò la testa e coloro che gli eran più vicini poterono udire queste parole pronunciate a mezza voce.
– Come salmeggiano abbominevolmente questi monaci francesi! non potrebbero cantare un po’ meglio dinanzi a lei che deve essere avvezza ad udire i canti degli angioli? Oh! finalmente! i vesperi sono terminati. Mio Dio! mio Dio! fate che oggi io sia più felice di quello che lo fui la scorsa domenica, e ch’ella rivolga almeno gli sguardi su di me.
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