Marco Valerio Editore, 2010
A distanza di un anno dal bel romanzo «Confessioni di un evirato cantore» esce con l’editore Marco Valerio di Torino questo libro che ha a che fare ancora con la musica, e il lettore si aspetta dal suo autore – nato a Rho nel 1964, vive e lavora a Ventimiglia – un esito altrettanto felice. Vediamo.
Il direttore d’orchestra Enrico Liverani è un uomo solo che patisce la solitudine ed è stanco del proprio lavoro. Deve andare in onda l’ultimo atto della Traviata ed egli è rinchiuso nel suo camerino, assediato dai pensieri. Ci troviamo a Salisburgo.
Un incipit molto bello ed efficace ci trascina da subito nel mondo della musica lirica. Passo per passo, in compagnia delle emozioni. Maccapani ha una scrittura suadente, limpida, con una intrinseca vocazione musicale. Scorre come uno spartito.
La Traviata e la drammatica storia della sua protagonista Violetta si accompagnano alla tragedia vissuta dal maestro: la morte della moglie Giuliana, in circostanze simili, a causa di un tumore: «È sola, come lo era mia moglie.» Mentre dirige, ciò che si rappresenta sul palco gli ricorda la sua vita.
Sarà la sua ultima esecuzione, poi si ritirerà dalle scene «per motivi strettamente personali.»
L’ultima esecuzione di Liverani è in realtà l’ouverture del romanzo.
Sono passati sei anni da quel momento. Il maestro si è ritirato a Brunetti, una località ligure collinare, isolata, tranquilla, tra i vigneti. Vi trascorre i giorni accompagnato dai suoi tormenti: «Domande urlate nel silenzio delle colline.»
Essi si mescolano ai ricordi musicali, quasi a porgere, questi ultimi, il dono di una risposta, di una interpretazione.
A poco a poco Dio e la musica diventeranno i veri compagni della sua solitudine, sublimando i ricordi. Maccapani immerge il suo protagonista in un nuovo universo in cui fede e musica diventano i motori primi dell’esistenza: «mi pare di provare una percezione di volo. Un distacco dalla vita terrena. Un modo diverso di vedere le cose di ogni giorno.»; «Una natura incontaminata attorno a casa mia, fatta soltanto di suoni.»
Il paesaggio che il protagonista attraversa ha la scansione di note musicali. La strada in discesa, le terrazze, i vigneti, gli alberi, il ruscello, le rocce, i piccoli borghi, come quello di Trinità, si collegano sempre, sia di giorno sia di notte, alla casa di Brunetti, alla sua stanza dove trascorre le ore nella lettura degli spartiti. La mente di Liverani non può più prescindere dalla musica. I suoi dolori, soprattutto quello della perdita della moglie Giuliana, si trasformano nella sua mente in musica.
È la sua fuga dal mondo «esteriore». La sua scelta definitiva.
A tenerlo isolato contribuisce il suo commercialista Gianni Maccario, il quale ha l’ordine di tenere lontano i giornalisti che lo cercano e di rifiutare le proposte degli impresari: «Il signor Liverani non è più interessato ad accettare incarichi. Si è ritirato. Mi spiace.»
Solo che accade un fatto inaspettato. C’è una sinfonia che gli gira nella testa, mai eseguita: è l’Ottava sinfonia di Anton Bruckner: «Mi sta entrando nella pelle come mai era accaduto nel passato.» Quella partitura di ben 171 pagine diventa un’ossessione: «questa cattedrale sonora immensa, dalle guglie altissime, impervie e irraggiungibili». La drammaticità che vi è contenuta lo riporta anche agli anni della malattia della moglie e alla sua morte. Una miscela devastante: «E queste musiche. Questi passaggi strumentali. Il primo movimento. Tutto mi ricorda quei giorni terribili.»
La pace che cercava nell’isolamento si allontana.
Si insinua il desiderio di tornare a dirigere. La musica sublima e trasfigura i sentimenti, li rende materia divina. Bruckner e la sua sinfonia ne sono il tramite.
In Maccapani la musica diventa espressione universale di un potere taumaturgico in grado di risanare e ricostruire. La musica può tutto. È una sfida per chiunque le si avvicini, e una volta che ci si è riusciti ad avvicinarla, si apre dinanzi a noi un universo speciale in cui tutti i sentimenti, siano essi di dolore o di gioia, producono nell’anima una mutazione salvifica e rigeneratrice. La musica non è mai disgiunta da Dio. La scelta di Bruckner non è casuale.
La scrittura di Maccapani è ancora più fluida e sicura rispetto al libro precedente, la narrazione si carica di una piacevole suspense e ci rendiamo conto che l’autore ha acquisito ormai definitivamente il proprio timbro. Sa attrarci e il mondo della musica che descrive con puntualità e competenza immerge la scrittura dentro un alone magico che fa sognare. Il viaggio in treno da Ventimila a Lucerna – un esempio tra tanti – dà conto di questa capacità di tenere desta l’attenzione del lettore.
Dirigerà a Lucerna l’Ottava sinfonia di Anton Bruckner. Ne è felice, non ha avuto esitazione ad accettare la proposta venutagli dal soprintendente di quel teatro. L’orchestra è composta da giovani sotto i 25 anni provenienti da tutto il mondo. Un’esperienza davvero emozionante. Si sente preparato. Una rinascita.
Improvvisamente Maccapani ci introduce gli orchestrali cominciando con la ventiduenne Isabelle Pastor; diventa lei per un attimo la narratrice offrendoci un punto di osservazione diverso e nuovo. È un segnale che l’autore abilmente ci invia.
Infatti, di lì a poco altri orchestrali si alterneranno introducendoci nell’universo emotivo che precede ogni esibizione musicale.
Assistiamo alle fasi preparatorie di un concerto ascoltando voci, incertezze, ansie, dubbi ed emozioni espresse dal direttore e dai componenti l’orchestra. Ci rendiamo conto, così, dei molti fili che devono essere tessuti per collegare tra loro strumenti e sentimenti. Non solo, ma anche di quanto la musica si rivolga agli animi più raffinati e sensibili. Maccapani apre un varco in cui ci invita ad entrare per assistere al modo come la musica da suono diventa arte e vita.
Liverani entra nei segreti del suono alla ricerca di Dio, e la musica si sublima e s’innalza. Il sovrintendente che assiste alla prove, riflette: «Comincio a rendermi conto che quel suono, quella visione, quella concezione ha un senso profondo. Una tragedia umana interpretata dall’orchestra.» È l’umanità che si tuffa nel dolore e lo sublima. Più avanti si leggerà: «È solo il rapporto tra l’uomo e l’Eterno ad emergere in tutta la sua irruenza.»
Maccapani si rivela un singolare, preciso e affabile narratore di musica, forse il solo in Italia. Una piacevole novità. Nell’altro romanzo seguivamo la musica attraverso un «evirato cantore», il celebre Luigi Marchesi, ora viviamo la musica attraverso un direttore d’orchestra che prepara ed esegue per la prima volta una difficile sinfonia, l’Ottava di Bruckner.
Non è facile scrivere romanzi come questo che richiedono passione e competenza, e dove la fantasia è sapientemente controllata. Romanzi che costituiscono una piacevole eccezione nel panorama contemporaneo, non solo italiano.
Va dato a Maccapani il merito di aver intrapreso un cammino insolito per un narratore, che farà felice tutti i lettori, forse un po’ stanchi del solito tran tran, e soprattutto gli appassionati di musica classica.
La musica, infatti, è la musa ispiratrice di Maccapani, le si affida come un amante, la osserva, l’ammira, ne resta incantato: «I corni vibrano nell’aria sullo sfondo tenue dei primi e dei secondi violini. Timidi, si avviano verso un cammino oscuro. Irto di difficoltà. Ombre. Incognite sul prosieguo del percorso. Assenza totale di punti cardinali.» La musica si apre all’infinito. E suoni e strumenti vi conducono come avamposti e messaggeri di Dio. Torna l’immagine di Giuliana, la moglie defunta del maestro. Sembra che la musica la trascini con sé sempre più in alto.
L’Ottava di Bruckner come un’Ascensione.
Un tema eccellente e difficile da rendere, egregiamente svolto dall’autore. Bravissimo. Chi sa se qualche direttore di orchestra verrà mai a conoscere questo romanzo che per un istante ha saputo trasformare in parole la musica, così come l’airone virando a terra può lasciare il segno di un’ala sulla sabbia.
L’Ottava anche come un requiem per Giuliana. E, per il maestro, il requiem di una confessione e di una conversione.
Prima La Traviata e Salisburgo, ora l’Ottava («profondità descrittiva dell’animo umano e spirituale») e Lucerna sono diventate la porta dantesca varcata la quale demoni e angeli si combattono prima che inizi l’ascesa dell’anima: «Intraprende una salita breve. Un percorso rivolto con lo sguardo in alto. Verso un chiarore sempre più definito.»
Liverani è nella musica, come Dante è nelle tre Cantiche: in quel chiarore che sempre più si approssima cerca la sua Giuliana: «Mi domando dove diavolo sia finita, perché se n’è andata improvvisamente e mi ha lasciato solo.»
Sa pure che soltanto attraverso l’ascolto e l’analisi di ogni nota musicale può sperare di non smarrire la strada e di ritrovarla: «guardo da tutte le parti.» La musica è il suo Virgilio: «La musica mi spinge. Mi esorta.»; «Totale assenza di nuvole. Queste ultime restane sottostanti i miei piedi.»; «Il primo violino, la guida del mio viaggio».
Ode la voce di Giuliana, finalmente, che poi scompare, per riapparire come portata dal vento: «perché mai tutto ciò? Perché??? Dove mi hai portato, Dio?»
Quando finalmente ci sarà l’incontro con Giuliana, si accorgerà che tutto è cambiato e che nulla potrà più tornare come prima: «Non c’è più nulla da fare. Non ti posso seguire. Non mi è permesso.»
Oltre un certo confine anche la musica non può andare. Là regna sovrano e intangibile il mistero, dove nemmeno alla morte è concesso di entrare. Ma il viaggio non è stato inutile. L’uomo ha ritrovato se stesso. Può proseguire il cammino da solo, ma non più in solitudine.