Luciano Canova e Inge Padovani, Battaglia Navale, Edizioni Labos, Morbegno (SO) 2008, pp. 140, euro 12,00, ISBN: COPERTINA battaglia navale978-88-900995-5-7

 

«se le parole di questo libro ammettono qualche verso felice, voglia perdonarmi il lettore la sgarberia di averlo usurpato io, anticipatamente. Le nostre quisquiglie differiscono poco; ordinata e fortuita è la circostanza che tu sia il lettore di questi esercizi e che io ne sia l’estensore» (J. L. Borges, Carme presunto ed altre poesie)

 

Battaglia navale è una casella vuota da cogliere e riempire delle nostre impressioni e fantasie, la poliedrica dimensione nella quale si muove Luciano Canova, quella sospirata e poco consone a molti di una «donazione» che, come lui stesso scrive, non unisce monadi ma le fa incontrare, permettendo a ognuna di mantenere la sua originalità. È quasi una sfida al lettore perché verifichi lui stesso la «finzione rivelatoria dell’arte» e se ne faccia «ladro e possessore». Solo in questo modo, se ben ci pensiamo il libro si colloca «eterno» per chi lo riscrive dentro se stesso. Luciano Canova gioca, fa sul serio, strappa sorrisi, risa e lacrime e, soprattutto, cosa molto rilevante, allarga la parola alla sua ri-creazione, alla sua ri-messa in gioco, ad altre tessere per altri mosaici che non sono mai un’opera finita.

Rinunciato nell’opera al «diritto di primogenitura» (Borges, Carme presunto), autore e lettore si fondono alla ricerca di un archetipo congetturale. Le parole si snodano offrendo la «tela» della vita, si rotolano addosso nelle mille possibilità di vedere una storia e cogliere destini che si incrociano un attimo e, davanti ai quali, possiamo uscire, entrare, rimanerne sbalorditi, assenti, colpiti.

Nella messa in scena di un mondo di teatranti si rappresenta un quotidiano dal sole incazzato di agosto; Guido entra in gelateria «mi manca l’aria ma non posso uscire». La vita è così spesso: ti infili nel mucchio fino al giorno in cui ti senti spaventato, vorresti tornare indietro ma non puoi più e devi seguire il suo corso. Il padre Eterno rilascerà lo scontrino? « […] allo specchio preparo il mio miglior sorriso./ Disgustato mi preparo a riabituarmi a Gloria con il solito gusto./ Fiordilatte e cioccolato finché morte non ci separi».

Il dialogo scrittore-lettore avviene nell’amare le proprie parti per stare insieme, «prendendoti cura di questo libro, stai amando il tempo che ho amato regalarti».

In realtà capita poche volte di leggere, anzi incontrare, un testo dove la sorpresa a ogni pagina entra sottopelle, muove la parola alla comicità persino di un assassinio improvvisato, sollecita la sim-patia e la risposta che è insita nei racconti stessi ma pronto ad altre scatole che si compongano diversamente e accolgono il lettore nel salotto di casa dell’autore ospite gradito, parte integrante di un ascolto, produzione in fieri, forse subito, forse domani ma mai lettore-oggetto di passivazione e si ride improvvisamente perché vecchietta e assassino partecipano insieme a giochi televisivi, a parole qualunque che deridono l’omologazione della comunicazione ma la smitizzano negli accostamenti improbabili di un omicidio che comunque si compirà o nell’operazione di svuotamento delle parole inutili. Uomini prodi, e di tipologia calviniana, partono per la guerra dell’inutile, superficiale e ridondante lessico comunicativo: «dai tempo al tempo» è obsoleto, noioso, colpevole e quindi da punire. Aggirandosi fra progetti di racconti sempre già scritti da altri, Giovanni pensa finalmente alla SUA storia, «la storia di una non storia: un racconto che non vuole nascere ma che non può neanche morire».

I ventilatori a pala sul soffitto respirano a tanti occhi, sussurri, gemiti d’amore sotto un sole che a Milano, in agosto, non può essere che incazzato ma sfoca le immagini e le scompone per altre storie e personaggi, per altre parole e trasformazioni che potremmo anche inventare noi con lo scrittore che tante proposte offre alla creatività libera del lettore accogliente: «nella vita sono sempre importanti i viceversa».

Fissiamo un punto «le nuvole in cielo sono immobili come a prendere il Sole» (sottolineo che «sole» è scritto con la maiuscola) e da quel punto Luciano Canova ipotizza su Gianni, timido, esuberante, eccitato, rapido nel saluto, rapito dal seno di Katia o con lo sguardo che sembra non vedere la scollatura. Tante situazioni possibili e tante ipotesi di racconto, «il rumore […] s’arrabbia sulla carta». Per ora, niente storia ma per ora soltanto, «la penna libererà i pensieri in ostaggio» magari prima di quanto si pensi, perché scrivere è un’ipotesi mai prefissata ma una ricerca, una necessità per qualcuno se la penna scrive, se la mente si libera, se un seno non distrae, se il pensiero riesce a prendere forma senza immaginarsi finito. E la denuncia, la rabbia, l’irrisione a una società che si ciba di niente, feriscono anche senza aperte accuse ma sottilmente suscitando il grottesco, l’imponderabile, la risata, la sosta all’omicidio segnata da Jerry Scotti, da Proust suggerito dall’assassino alla moglie del giocatore televisivo che poi ucciderà, dagli spot pubblicitari. Viene da accostare il testo al film di Buñuel del ’74 «Il fantasma della libertà», nel quale la visione di un mondo in disgregazione metteva in scene immagini e storie surreali.

«Le parole stanche di bianco» dettano in un solo racconto mille storie, stazioni, baci, sms, addii, sorprese, il treno concede qualche attimo e sfuma l’immagine di un saluto senza strapparla improvvisamente, il tempo di un respiro, scostato da tutti, uno scrittore annota le mille storie che lì, proprio alla stazione, iniziano, finiscono, si accomiatano mentre «chissà che faccia avrà l’omino che annuncia i treni della Stazione Centrale».

Mentre il mare solletica i piedi, c’è aria d’abbandono.

Non sappiamo chi abbia scritto che le cose debbano finire, forse lo abbiamo letto no?

Scrittore: «affondato».

«la stilografica Monblanc […] ha una boccuccia seducente […] raccontare una storia è proprio come una foto, che blocca un pezzo di mondo e ne perde infiniti altri per poi volare ma non per semplice fisica disposizione. Il suo sarà un vero e proprio metodo di pensiero, una condizione ontologica». Il volo è colto da un bambino, dalla rivelazione che i sentimenti servono per vivere e morire («il silenzio di chi muore è lo stesso di chi sta per nascere?»), il mondo non sarà orfano di luce, chi ha ucciso con una siringa, la userà per iniettare dosi massicce d’amore. Mirabilmente persino un cruciverba riesce ad imbastire piccole storie da incasellare; i miei occhi non hanno trovato il 19 orizzontale ma un lettore deve essere preso per mano per poi volare quindi lo riporto.

«Davanti ad una tela i sogni sono lenzuola che si srotolano dal terrazzo per evadere: Vorrei svegliarmi e immediatamente poter pensare ad un «a te»; trovarlo accanto mentre si aprono gli occhi ancora sonnacchiosi». B5

Non leggerò la risposta; ho davanti una ragazza dagli occhi azzurri che raccoglie l’acqua del mondo e dei marosi, i colori degli alberi e del mare, li tratterà per donarceli quando il mondo sarà prosciugato, quando lo scrittore cubano avrà pianto, quando le parole avranno decretato la loro immortalità.

Per ora fotografo con i miei occhi i colori dei suoi quadri, le strisce di giornale , il territorio di Gaza, il tratto da bambina esperta nel calligramma dove piovono parole e nuotano pesci.

L’alzata di gamba di un cagnolino metterà insolitamente il punto di fine al testo.