Il cielo sopra Torino - 1940 e dintorniAbbiamo già avuto occasione di dare notizie su questo scrittore e regista che trascorre la sua vita tra Roma, Torino (sua città natale) e la Versilia.
Il cielo sopra Torino” è del 2006 e viene dopo “Il calzolaio”, del 2004.
Nella città di Torino, una sera (è il 13 giugno 1940), nel silenzio della strada, sfreccia una rombante macchina sportiva, una “Aprilia decappottabile Pinin Farina”; si ferma davanti ad un portone, ne scende un giovane, tale Carlo Audisio, che si accende una sigaretta. Deve avere in quel palazzo un appuntamento galante. Indugia a godersi il fumo della sigaretta, quando echeggia uno sparo e il giovane è colpito mortalmente alla tempia. Le indagini sono affidate al vice-commissario Oddo Olivieri.
Non ci sono preamboli, Farina va spedito al fatto, senza girarci intorno. Siamo in pieno fascismo e da poco, il 10 giugno, è stata dichiarata la guerra all’Inghilterra e alla Francia, già impegnata e stremata, quest’ultima, contro i nazisti che premono ai suoi confini.
In Italia vigono dal 1938 le leggi razziali e la ragazza corteggiata dall’ucciso è ebrea, Myriam Veronesi, il cui padre, docente di fisica all’università, radiato insieme ad altri 10 professori, si è suicidato gettandosi dalla tromba delle scale. L’ucciso apparteneva, invece, ad una influente famiglia fascista, che dispensava alla vedova Audisio e alla figlia alcuni favori.
Il tema del romanzo appare già delineato. Si tratta di una storia determinata dalle leggi razziali, e il pensiero va al grande romanzo di Giorgio Bassani, “Il giardino dei Finzi-Contini“, del 1962.
Il medico legale, Giulio Cattaneo, conferma che il giovane Audisio è morto in seguito alla ferita alla tempia, procuratagli da un proiettile sparato dall’alto, probabilmente da una finestra. Ora Olivieri ha in mano elementi sufficienti per avviare le indagini.
Senonché la guerra incalza, e presto si fa sentire anche in Italia. Non c’è più tempo per le indagini. Torino viene bombardata dagli inglesi, regnano l’insicurezza e la paura. Arriva il 25 luglio 1943 con la caduta di Mussolini, i tedeschi si insediano a Torino e assumono il comando pieno della città.
Sono pagine asciutte che rievocano la tragedia di una Torino martoriata, con le fabbriche ridotte a macerie, con il centro della città sventrato in alcuni dei suoi palazzi più belli. Se prima gli aerei nemici passavano sopra Torino per andare a bombardare la riviera ligure, ora è giunta la volta della città. La guerra si fa sentire fisicamente sugli abitanti, impauriti, stremati.
Olivieri è riuscito invece ad imboscarsi, e l’amicizia con Bartolomeo Giacotto, uno strano borsaro nero che, quando poteva, aiutava i poveri, gli consente di non passarsela male.
Nelle chiacchiere tra di loro, spesso torna fuori il caso Audisio e il commissario si rammarica di non essere riuscito a trovare il colpevole, pur avendo continuato le ricerche in privato, giacché, per interventi politici, il caso era stato trasferito alla Milizia Fascista.
C’è in lui la convinzione che “la giovane Veronesi mi ha nascosto qualcosa e che la morte di Audisio è in qualche modo legata alla relazione che aveva con lei…”
La Torino di quegli anni di guerra si para dinanzi ai nostri occhi ed è assai più che una cornice al delitto che è stato commesso. Quest’ultimo, infatti, è intriso dell’atmosfera cupa e tragica in cui nazismo e fascismo gettarono il mondo intero. La Torino di questo romanzo ne diventa, dunque, il simbolo e il paradigma.
L’autore conduce la storia con mano ferma e uno stile asciutto e gradevole.
Sono trascorsi, intanto, tre anni da quell’omicidio ancora irrisolto. Myriam e sua madre vengono trascinate via dai fascisti per essere condotte in un campo di concentramento. Con loro, se ne stanno andando gli ultimi che avrebbero potuto aiutare Olivieri nelle indagini.
Farina racconta avvalendosi di riferimenti storici precisi e puntuali.
Passano altri 40 anni. La guerra è finita da un pezzo, siamo nel 1987.
Sappiamo che Myriam si è salvata dall’inferno della risiera di San Sabba e vive con un altro nome a Trieste, sposata con Gianfranco Cadorin, costretto su una sedia a rotelle a causa di un incidente. La notizia della morte per suicidio di Primo Levi, suo compagno di scuola al D’Azeglio di Torino, sconvolge il già debole equilibrio fisico di Myriam. Le descrizioni del suo terribile passato di reclusa in un campo di concentramento confermano un autore attento alla precisione e alla verità storica. Esse sono sempre ampie e convincenti e vi si legge l’esperienza del regista che sa cogliere ombre e luci, sguardi e emozioni, tremori e follie.
Si leggano le pagine sui forni crematori di San Sabba, lucide, asciutte, ma suscitatrici di visioni e sentimenti: “Da quando il sistema funzionava a pieno regime, quasi ogni notte le ceneri e i frammenti di ossa venivano chiusi in sacchi e caricati su un carretto tirato da un cavallo; due SS conducevano il carro fino alla riva del mare, trasferivano i sacchi su una barca e andavano a vuotarli in mare a qualche decina di metri dalla riva.”

In questo ambiente terribile e bestiale Farina colloca la storia d’amore tra Myriam e Gianfranco Cadorin, “il ragazzone alto e biondo che un giorno aveva visto entrare nella camerata insieme all’Untersturmführer Otto Klimt”, un collaborazionista, dunque. Partito come un giallo, il romanzo tutto è fuorché un giallo. La conduzione dei flash back (“relè della memoria”), fino a tornare agli anni della prima giovinezza di Myriam, riesce a suscitare un alternarsi di colori, di stati d’animo, di speranze e di delusioni, di tribolazioni e rinascite, tali da rievocare come fossero accadute ieri le atmosfere di un periodo in cui gli uomini della follia e delle aberrazioni riuscirono a precipitare il mondo nella paura, nella sottomissione e nella schiavitù più brutali.
Farina, senza alcun dubbio, merita ormai tutta la nostra attenzione di lettori e amanti della buona letteratura. Vengono in mente le belle pagine in cui Enrico scala dall’interno la statua di Vittorio Emanuele II e da lassù, dal suo “teatrino personale”, scruta intorno a sé, e soprattutto le finestre degli edifici davanti a lui, sperando di sorprendere Myriam: “io, il ragazzo più piccolo del mondo, sono diventato il più alto di tutti.”
Alcune figure, come quella, appunto, dello spasimante Enrico, una “mezzasega”, basso di statura (che ad un certo punto diventerà il narratore dei propri ricordi degli anni immediatamente precedenti la guerra, 1938/40), che non rinuncia a corteggiare Myriam, Carlo Audisio, fascistone prestante e bello, che frusta le speranze di Enrico e diventa per Myriam, ebrea, una speranza di salvezza, la stessa Myriam, poi Gianfranco, il marito invalido, muovono a tutto tondo il romanzo, intessendo una ragnatela di avvenimenti che ci avvincono e ci tengono legati a doppio filo alla storia.
L’autore, che, fra l’altro, adora Salgari (e pure questo si vede benissimo; non si dimentichi che Salgari è uno dei personaggi di “Giallo antico”, del 1999), è un grande appassionato di fumetti, anche collezionista, e non mancano nel romanzo i segni di questo amore: “Antonio, il fido giornalaio da cui compero i giornalini a fumetti”. Tra cinema e fumetto c’è un legame molto più tenace di quanto sembri e Farina ne è la dimostrazione evidente. Un suo libro del 2001 non a caso s’intitola “Storia di sesso e di fumetto”.
Ai personaggi che Enrico sorprende spiando le finestre dal suo insolito osservatorio, sono affibbiati i nomi di figure celebri dei fumetti, da Braccio di Ferro, a Mandrake, a Cino e Franco, a Gambadilegno, a Gordon, a Orazio e Clarabella, Arcibaldo e Petronilla, e così via, a dimostrazione di come anche il fumetto, allo stesso modo del cinema, sia una verosimile rappresentazione della realtà.
Appare evidente, inoltre, l’omaggio a Hitchcock e al suo “La finestra sul cortile”, nelle spiate che, dal nascondiglio sito nel monumento, Enrico fa con il binocolo (proprio come James Stewart) ai vari inquilini degli appartamenti.
È così che assiste allo stupro di Myriam, una sera in cui già soffiano forti i venti di guerra. La Germania ha invaso la Polonia, poi il Belgio, i Paesi Bassi, la Francia. Mussolini annuncia dal balcone di Piazza Venezia l’avvenuta consegna della dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. Myriam aveva coltivato la speranza di uscire indenne da quel supplizio, ma in realtà sta appena cominciando la tragedia che condurrà a morte sua madre e lei alla risiera di San Sabba. Allo stesso modo in cui sta cominciando la tragedia della città, nella cui periferia un aereo nemico ha sganciato la prima bomba di una serie che porterà rovine e lutti.
C’è questo parallelismo tra Myriam e la Torino amata da Farina. Una bellezza deturpata, una serenità ed una normalità sconvolte dalla follia.
Il giallo avrà un suo misterioso epilogo (un giallo nel giallo), ma ciò che resta in noi e ci coinvolge è il clima di inganno e di amarezza, di delirio e di patimento che impregnò quegli anni che furono quasi certamente i più cinici e terrificanti vissuti dall’umanità.