Sulla 38. Testi di Nicola Scinetti, foto di Marcello Mariana, in Almanaccone 2012, Edizioni Labos (www.tellusfolio.it)
Se il fuoco ha bisogno di legna per non diventare cenere e morire così come la vita, se il fuoco lo si cerca nell’inventario diieri schedato nelle mani della fotografia di Mariana e nelle parole scheggiate di Scinetti, è vero anche che da altri fuochi ubriachi necessita allontanarsi. La Madama scruta da vicino e brucia, non solo l’autista ce l’ha con se stesso […] anche La Madama. E c’è in giro anche chi getta la speranza nel fuoco. Sulla statale 38 «deserta come la strada verso il sonno», ricordi di foto in bianco e nero, delle vecchie 600, dei santini protettori regalati da mogli e fidanzate «appiccicati sopra la leva del cambio» iniziano il percorso.
Dallo specchietto retrovisore tutto si rimpicciolisce man mano che si va avanti sulla 38 che, oltre che una pistola, è la statale dello Stelvio. Tutto sembra ormai inghiottito dal buio, tra poco non esisterà più neanche La Madama, la protesta, le mani dietro la schiena. «Quando qualcosa ti crea molto dolore, prova a mettere il cannocchiale dalla parte della lente che allontana» scriveva Pirandello ed è così […] forse. Non ci sono punti di riferimento da quando hanno messo le rotonde, nessuna indicazione di uscita, una ruota impazzita, un girare a vuoto mentre il lampione acceca. «C’è chi non guarda. E va oltre […] / Sono pazzo. Sono felice».
Inizia un’altra storia mentre palmi di mano indicano il percorso della vita segnato ad inchiostro per ricostruire le linee del viaggio, le sue cicatrici, il suo sangue, il desiderio della luce, l’abbraccio e connotare diversamente quel fuoco che «bisogna di legna».
I versi sono titolati con ben riusciti giochi di parole che fungono da incipit a rime graffianti, a parole spigolose, a non-rime petrose. Fanno male, arrivano forti e puntano i fari dove vogliono colpire questi versi che ci abbagliano come lepri senza possibilità di fuga «È nella sua fuga, la vita […] quante cose non ti ho detto e quante non ti dirò mai,/ ora che dalle mie ferite riconosco il tuo sangue».
Qualche centro abitato, affollato dalla parte delle vetrine […] duplica persino il volto della gente, quella «certa della chiesa sottocasa e della macchina in garage» mentre le puttane ridono della calze di lana grosse fatte dalla mamma nei cinque versi di Night-club.
«Dove la sera/ se non nella notte» e il lastricato di ghiaccio che pavimenta Morbegno, diventa barriera inaccessibile alle carezze troppo fredde anch’esse per non sperare nel sonno, addio ad un mondo andato di cui i ricordi annegano in una nostalgia che duole.
Il juke-box e i balli lenti nella vecchia balera, i fiocchi di neve fra i capelli, treni che vengono e vanno, vite e storie che iniziano e si confondono e che odorano d’addio.
«Sayonara» anche a quel buio che aveva una sfumatura di chiarore e arrampicava le montagne. Il fondo della foto è bianco e bianca, la linea del cuore, forse innevati. «Cartago delenda est» e così è stato, niente più come prima, «i valori in corso» hanno demolito quello che c’era, si vivono memorie nuove, troppo nuove per aver memoria. «il silenzio è amaranto, la voce/ un vetro infranto».
Torna la riga bianca nelle pieghe della mano, vicino alle montagne e ascoltare gli uccelli è anche tornare a sperare: «È il turno dell’alba, il cinguettio del sonno» che le mani possano essere meno sole, che una storia possa essere riscritta per «un hobby chiamato vita».
«Possano i tuoi occhi ridurre/ ad umane incomprensioni/ queste mie parole di sale/ ma ricorda che non c’è mare/ senza marinaio che scompare».
Attimi di luce nelle rugosità delle mani si fanno foriere di «occasioni» per poi rabbuiarsi nel fondo dei rifiuti «nell’afrore del cassone». «Vietato sbagliare in un’epoca di sicurezza».
E allora […] «il fuoco bisogna di legna».