Questa è la prima di due uniche raccolte di racconti, pubblicate da Panzacchi, che ebbero all’epoca grande seguito di pubblico e di critica, ma, all’interno della sua vasta produzione, di poesia, di critica d’arte e di critica musicale, sono forse l’anello debole, le opere meno convincenti pur con qualche gradevole eccezione.

Questa raccolta fu pubblicata nel 1885: la seconda, dal titolo I miei racconti, nel 1889. Tutte le novelle erano contenute in una prima opera, Infedeltà, del 1884. Nel passaggio dalla prima antologia alle due successive, naturalmente l’autore ha eseguito aggiustamenti e aggiunte, pur mantenendo un coerente impianto compositivo tardo-romantico con poche venature veriste.

Le otto novelle, contenute in questo Racconti incredibili e credibili, confluiranno, a volte con titoli diversi, nella successiva raccolta, che però ne raccoglie oltre venti. Questa prima raccolta, che qui si presenta, offre temi vari. A volte la musa è l’amore: in Coi sordini l’amore sfortunato nonostante la comune passione per la musica dei due innamorati abbia cercato di fare la sua parte galeotta; in Occhi accusatori l’amore intensissimo e felice che arriva a trasformare gli occhi degli amanti; l’amore geloso e traditore in In casa dell’amico; ancora l’amore che sfida o no il tempo che passa, in Dopo dieci anni, una sfida che solo alcunə hanno il coraggio di affrontare.

Altri racconti sono riflessioni dell’autore a seguito delle sue visite per esempio a San Pietro a Roma (in Cantores!) dove potentissimo entra l’elemento musicale con un mottetto di Allegri che fa salire il canto al cielo. O ancora nella Repubblica di San Marino, nel racconto In Repubblica. Si tenga presente che quando Panzacchi, monarchico convinto, scrive questo resoconto di viaggio, in Italia la Repubblica è ben lungi dall’essere una realtà.

Molto personale ed accorato è il racconto del Primo ricordo, nel quale nella curiosità di quale possa essere il primo ricordo di ognunə di noi, Panzacchi inserisce il suo, tragicissimo.

La raccolta si chiude con il racconto Nella “Montagnola”, nel quale l’autore prende spunto dal canto dolcissimo di un usignolo, udito in una passeggiata notturna per i boschi, per fare varie ed interessanti considerazioni: come i poeti antichi, da Esiodo a Virgilio, abbiano descritto il canto dell’uccello notturno come ‘flebile’ e lamentoso, mentre oggi (ricordo, fine ‘800) a noi “fa provare un senso di dolcezza calma, temperata e quasi allegra”. Questo perché, scrive, la legge della progressione “signoreggia tutte le sensazioni, massime se vi entra l’arte, e massime se quest’arte è la musica”. Ciò che oggi ci sembra meraviglioso domani sarà visto sotto una nuovo prospettiva che lo ridimensionerà. È la bellezza del canto dell’usignolo ad essere eterna. Così come sono eterne le opere di Omero, Raffaello, Bellini:

«l’argomento della loro grandezza è tutto in un fatto semplicissimo: il quale consiste nell’aver essi fatta vibrare una nota nuova nell’ime corde dell’essere e con quella generato in noi una nuova sensazione della vita.»

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi

Dall’incipit del libro:

Accadde ben presto ciò che il vecchio Petronio aveva preveduto e temuto; e, caldo ancora del rabbuffo che aveva toccato dalla signora contessa, entrò nella stanza del giovinotto.
— Mio caro, non sono io stato indovino? Il vostro strumento mi tira addosso de’ guai. Scendo adesso dal quartiere della signora che m’ha parlato chiaro, o smettere di sonare o uscir subito da questa casa.
Il giovine prima terminò la sua frase melodica, posò l’arco attraverso il leggìo, il violino sulle sue ginocchia, poi guardò il vecchio portiere col viso costernato, come chi è tolto bruscamente da pensieri piacevoli.
— Uscire da questa casa, voi dite? O dove volete ch’io vada? Aspetterete almeno, m’immagino, che arrivi la fine del mese. E intanto pretendereste voi altri ch’io non sonassi più? È impossibile!
E tolto l’arco e il violino, ricominciò la frase di prima, socchiudendo gli occhi per gustarla meglio. Il portiere allora si mise a girare per la stanza, a battere i piedi, a sbuffare, a bestemmiare. Il giovine si scosse:
— C’è bisogno di bestemmiare! Certo io non patirò che, per causa mia, voi andiate incontro a de’ guai; ma, d’altra parte, io ho bisogno di studiare e non posso mica andare a sonar il violino nella Montagnola… Vediamo di rimediare alla meglio.
E alzatosi, trasse dal cassetto del tavolo un gingillo d’ebano che adattò alle corde dello strumento, inforcandolo e premendolo molto sul ponticello: poi diede un’arcata lunga e vigorosa che, alla prima, fece al vecchio stendere in avanti tutte due le mani come per impedire che quel suono, così maledettamente vibrato, si diffondesse e scappasse fuori dalla finestra e salisse in alto a suscitare nuovi sdegni.

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