Il libro, del 1892, ha per protagonista il generico soldato che è seguito dal suo arruolamento, quando lascia il suo paese natale, unico mondo a lui noto, fino al suo congedo. Mediante alcuni artifici letterari, l’autore fa una specie di “lezione” di storia dell’unità d’Italia attraverso le battaglie del Risorgimento, ricordando altresì i momenti nei quali il paese poteva considerarsi unito (in primis la storia di Roma) sempre attraverso le battaglie e gli atti di eroismo che le hanno caratterizzate. In seguito attraverso l’opera di un ufficiale che riproduce sul terreno l’Italia con monti, laghi, fiumi, ecc., spiega la geografia della nazione e le caratteristiche dei luoghi e dei suoi abitanti e dei principali accadimenti.
Tutto sembra avere lo scopo di “fare gli italiani”, cioè di sprovincializzare le persone (i giovani soldati) infondendo loro i valori fondanti per la costruzione di uno stato unito anche nei sentimenti, nei comportamenti e nelle aspirazioni. Ecco alcune delle frasi conclusive del libro:
“Partire dal proprio paese quali la natura, la famiglia e la scuola ci han fatti, e tornarvi, migliori, ecco il po’ di bene che la vita concede di fare anche ai più meschini. […] Noi piccoli di fortuna e d’ingegno, lavoratori dei campi e delle officine, … possiam far molto per la Nazione. Non vogliamo essere nulla d’illustre, qualcosa di buono sì. Fuori di casa nostra, come cavalieri erranti, abbiamo sopportato la fame, il freddo, il sole cocente, non domandando altro che d’imparare a vivere di lavoro, d’onore e di giustizia. E ritornati nel nostro paesello, vi compiremo con semplice animo il dovere d’ogni giorno; ameremo il prossimo, correggeremo in noi quello che ci parrà errore, affinchè i nostri vicini imparino da noi; li aiuteremo, e vivremo in pace con essi, anche quando, per ignoranza o per passione, vorranno farci qualche loro piccola guerra. E studieremo sempre il bene”.
Sinossi a cura di Gianluigi Trivia
Dall’incipit del libro:
Dicevano i nonni che le battaglie, i plebisciti, il regno d‘Italia formato nei due anni miracolosi cinquantanove e sessanta, erano cose belle e grandi, ma che volevano star a vedere chi avrebbe saputo piantare la coscrizione in Sicilia. Pareva una cosa da guerra civile. E la Romagna, le Marche, l’Umbria che non avevano mai saputo cosa fosse, altro che sotto Napoleone? Essi gli avevano vissuti quei tempi e se ne ricordavano per dire che allora i giovani, la più parte, si erano dati alla campagna, che nel solo regno italico v’erano stati sin centosessantamila renitenti, che forse, tra Sicilia, Napolitano, questa e quell’altra parte dell’Italia nova, sarebbe avvenuto lo stesso.
E così pensava anche un vecchio Commissario di leva piemontese, ma ciononostante avrebbe voluto esser dei primi a portar l’urna con entro i numeri in uno di quei paesi. Casi della vita; lo voleva e gli toccò di dover andar in Sicilia, proprio nel bel principio. Ubbidì di cuore, andò, vide, si trovò a dei momenti assai brutti. La prima volta, a estrarre il numero, non vi fu quasi nessuno. I pochi che si presentarono cacciavano la mano nell’urna, come per cavarne una maledizione a lui e a tutto il Seggio. Poi alla chiamata sotto l’armi, in tutta l’isola, quasi cinquemila coscritti non avevano risposto. Meno male quelli che si nascondevano; ma quelli che avrebbero pigliati i monti? Ci sarebbe voluto presto un esercito per farli star buoni.
Scarica gratis: Uomini e soldati di Giuseppe Cesare Abba.