In verità, l’edizione italiana (1926) di questo romanzo di Jack London avrebbe dovuto mantenere il titolo originale dell’opera, Burning Daylight, così come le edizioni inglese e francese de I Malavoglia di Giovanni Verga hanno optato rispettivamente per The House by the Medlar Tree (I Malavoglia) e Les Malavoglia. “Radiosa aurora”, infatti, è la traduzione di un nome proprio, il soprannome attribuito al protagonista, Elam Harnish (come “I Malavoglia” alla famiglia Toscano):

«Elam Harnish era noto col nome di “Burning Daylight” (Radiosa Aurora); nome che gli era stato dato da lungo tempo, perché egli aveva l’abitudine, al mattino, di tirar fuori dalle coperte i suoi compagni, al grido di “Burning Daylight! Burning Daylight!”: “l’aurora risplende!”».

 

Come già dal titolo possiamo intuire, il narratore, lasciando in ombra tutti gli altri personaggi, focalizza l’attenzione esclusivamente su di lui, filo conduttore di un romanzo il cui scenario si sposta dall’Alaska dei cercatori d’oro alla Los Angeles dei finanzieri di Wall Street. Entra in scena al “Tivoli”, il locale in cui s’incontrano a Circle City i pionieri per svernare al rientro dai loro pericolosi viaggi:

«Burning Daylight impressionava a prima vista, per quanto il suo costume non differisse da quello degli altri uomini presenti al Tivoli. Portava dei gambali di pelle di alce, ornati di disegni indiani, larghi calzoni, e una coperta che gli serviva da mantello. Lunghi guanti di cuoio foderati di lana gli pendevano dal fianco, ed erano muniti, secondo la moda dello Yukon, d’una correggia di cuoio passata intorno al collo e incrociata sulle spalle. Un berretto di pelo, dal quale pendevano lunghi cordoni, gli copriva il capo. Col suo viso magro, un po’ lungo, e segnato da piccole cavità sotto le gote, egli aveva quasi l’aria di un indiano. Il suo colorito bruno e lo sguardo penetrante giovavano a tale rassomiglianza, ma la pelle sottile e gli occhi stessi denotavano un essere di razza bianca.»

Pur muovendosi in due scenari che più diversi non potrebbero essere, Daylight mantiene inalterate molte sue caratteristiche, prima fra tutte la passione per il gioco, nei saloon il poker, nella vita il rischio estremo:

«Così il tale raccoglie i francobolli, il tal altro le farfalle; costui ama i quadri, colui gli yacht, quell’altro ancora si appassiona alla caccia grossa. Un altro pensa che le corse dei cavalli siano tutta la vita, con la V maiuscola, un altro trova nelle attrici la sua più grande soddisfazione. Non si può far nulla contro i gusti. Si hanno; e che cosa fare per rimediarvi? Ebbene, io amo il giuoco. E amo giuocare. Voglio giuocare forte e presto. Son fatto così: giuoco».

Nella prima parte del romanzo, la storia del protagonista riecheggia l’esperienza giovanile dello stesso London che, dopo un’adolescenza turbolenta, a 21 anni era partito con il cognato per il Klondike, al confine fra Canada ed Alaska, per partecipare alla leggendaria corsa all’oro; a differenza del suo personaggio, però, London ne aveva tratto, come unico profitto, prezioso materiale per le sue opere.

Le vicende iniziano nel 1895, a Circle City, nell’Alaska, dove i cercatori d’oro vivono in condizioni estreme, d’inverno con temperature sotto i sessanta gradi sotto zero, nel resto dell’anno attraversando lande disabitate, in lotta con una natura di fronte alla quale l’uomo non è che “un pezzo di carne, dei nervi, una sensibilità che annaspava tra la melma per aver dell’oro”. Per questi uomini rudi, ma pronti a rischiare la vita per salvare i compagni, il trentenne Daylight diventa un eroe, “il superuomo dell’Artico”. Lo caratterizzano il gusto della sfida, la determinazione, la competitività, il desiderio di compiere imprese eccezionali mettendo in gioco la propria vita ed i propri guadagni, dapprima per istinto, poi consapevolmente:

«Secondo la sua sociologia elementare tutta la vita non era che un giuoco. Come si nasceva? Derubati o ladri, il gioco era sempre lo stesso; la Fortuna distribuiva le carte, e i fanciulli le giocavano come venivano loro distribuite. […] Non v’era alcuna giustizia. La maggior parte delle carte introduceva nella classe degli sfruttati; poche permettevano di diventare uno sfruttatore. Quel gioco di carte era la vita; la folla dei giocatori, la società. […] Era un combattimento di animali selvaggi; il forte atterrava il debole.»

L’unico rischio che Daylight rifiuta è l’amore, visto da sempre come un pericolo, un sentimento che può mettere a repentaglio gli obiettivi e l’esistenza stessa dell’uomo.

«l’amore, l’amore che turba, era più temibile del freddo, della fame. Le donne per sé stesse sono amabili, graziose a vedersi, ma con esse viene l’amore che brucia fino alle ossa e fa perdere la ragione.»

Bramoso di compiere imprese inaudite e di riscattarsi dalla propria condizione, benché i suoi progetti appaiano folli agli occhi dei compagni, coltiva il sogno grandioso di innovare il metodo di estrazione dell’oro e di dare nuovo sviluppo a quella zona facendovi nascere una grande città.

Nella seconda parte del romanzo, decide di abbandonare l’Alaska per cercare ricchezza e successo a Los Angeles, in una società capitalistica in cui il nemico da affrontare non è una natura estrema e implacabile, ma sono i “pescicani” di Wall Street, che, ancor più spietati del rigido Alaska, senza alcuno scrupolo morale circuiscono e portano alla rovina i rivali in affari, perseguendo un unico obiettivo, il profitto. Daylight, dopo le prime sconfitte, si adegua alle regole del nuovo mondo, ma a caro prezzo:

«La civiltà non aveva migliorato Daylight, sebbene i suoi abiti fossero di ottimo taglio ed egli parlasse un inglese più corretto. La sua intelligenza di giuocatore e dominatore s’era molto sviluppata; egli aveva preso abitudini più larghe di vita, e il suo spirito s’era acuito nelle lotte, spietate e complicate, con gli uomini. Ma la sua natura era divenuta più dura; […] Era diventato cinico, amaro e brutale. Il potere aveva agito su lui come su tutti gli uomini. […] non era più l’uomo dai muscoli di acciaio, disceso dall’Artico; non faceva abbastanza esercizio, mangiava più di quanto fosse necessario e beveva troppo. La sua muscolatura era divenuta flaccida; […] Quell’alterazione fisica si osservava pure sulla fisonomia; […] i lineamenti erano diventati più grossi e più duri e tradivano i segni della vita che egli menava, dell’egoismo arrogante di quell’uomo, della sua durezza e brutalità.»

Daylight però, benché indurito dal mondo della finanza, conserva nel profondo dell’animo il carattere e le virtù dell’antico cercatore d’oro, che riemergono quando egli entra di nuovo a contatto con la natura e, soprattutto, quando viene meno ad uno dei suoi più fermi principi, quello di non cadere mai nelle trappole dell’amore.

«Si trovò così un’altra carta in mano, che un Dio insensato gli aveva distribuita. Che importanza avrebbe preso quella carta? Non lo poteva immaginare, ma pensò che sarebbe stata buona. Poi ne dubitò. Poteva essere un artificio del caso per apportargli un maleficio, un disastro.»

Nell’ultima parte del romanzo, il tema prevalente è proprio l’amore, campo in cui Daylight, da neofita, si muove goffamente; da quel momento per la prima volta un altro personaggio, Dede Mason, gli contende la scena, assurgendo al ruolo di coprotagonista e inducendolo a confrontarsi con il se stesso di un tempo.

Burning Daylight è uno dei romanzi meno noti di Jack London pubblicati in Italia, ma nel 1910, quando uscì negli Stati Uniti, fu il best seller dell’anno. La figura di superuomo di Daylight sarà poi il modello per un altro più famoso romanzo, Martin Eden, ma qui lo scopo del protagonista è quello – molto più americano – di arricchirsi, mentre Martin Eden mirerà all’affermazione in ambito artistico.

Agli inizi del ‘900 il successo del romanzo ha ispirato il cinema muto: nel 1914 sono usciti i film della Paramount Pictures Burning Daylight: The Adventures of ‘Burning Daylight’ in Alaska”, e Burning Daylight: The Adventures of ‘Burning Daylight’ in Civilization, diretti e interpretati, nel ruolo di Daylight, da Hobart Bosworth; nel 1920 Edward Sloman ha diretto Burning Daylight, con Mitchell Lewis nel ruolo del protagonista; nel 1928 Charles Brabin è stato il regista di Burning Daylight, con Milton Sills e Doris Kenyon, coppia nel film e nella vita. Nel 2010 Sanzhar Sultanov ha diretto Burning Daylight, con Robert Keppner attore protagonista.

Il traduttore del romanzo è Gian Dàuli (1884-1945), https://liberliber.it/autori/autori-d/gian-dauli/.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli e Mariella Laurenti

Dall’incipit del libro:

Era una notte piuttosto tranquilla al Tivoli. Presso il banco del bar, che adornava una parte della grande sala dalle travi tarlate, s’intratteneva una mezza dozzina d’uomini, due dei quali discutevano della qualità del tè, e del succo del limone come rimedio contro lo scorbuto. I due parlavano con aria stanca, fra lunghi intervalli di silenzio, e gli altri li ascoltavano appena. Allineati lungo il muro opposto, si scorgevano gli arnesi occorrenti per i vari giuochi. La tavola dei craps era deserta: un solo uomo giocava al faraone, e la pallina della roulette non volteggiava nella custodia di vetro. Presso il camino, che ronzava, il croupier parlava con una donna dagli occhi neri, avvenente nella persona, nota da Juneau a Fort Yukon, col nome di «Vergine». Tre uomini giocavano a stud poker, senza entusiasmo; e nella sala da ballo, in fondo, tre coppie danzavano tristemente al suono faticoso d’un violino e d’un pianoforte.
Non si può dire, però, che Circle City fosse deserto e povero. I minatori erano ritornati da Moosehide Creek e dalle altre miniere dell’ovest, il lavaggio del minerale era stato prospero in quell’estate e le borse degli uomini erano piene di polvere d’oro e di pepite. Il Klondike non era stato ancora scoperto: i minatori ignoravano allora la pratica degli scavi profondi e dei fuochi per disgelare il suolo.

Scarica gratis: Radiosa aurora di Jack London.