Non voglio trattare delle innovazioni metriche ed espressive della poesia di Montale, dello scarto significativo del poeta ligure rispetto alla tradizione preesistente. Sono state scritte molte pagine di critica letteraria riguardanti la metafisica montaliana dell’ “anello che non tiene” e del “male di vivere”. Sono stati versati fiumi di inchiostro sul fatto che non ebbe certezza della realtà, né dell’esistenza e che non riuscì mai a conciliarsi con sé stesso. Forse per queste ragioni la sua poesia è un’interrogazione delle cose ed è costituita da oggetti che divengono simboli. Ma non è mai puro esercizio di nominazione, né vano tentativo di giungere alla soglia del dicibile. Il poeta è teso verso l’essenziale, evita inutili orpelli. Non a caso il poeta degli “Ossi di seppia” nel 1946 aveva sostenuto in “Intervista immaginaria” che la poesia era apporto di conoscenza e non più mera rappresentazione. Questa sua affermazione si può considerare una dichiarazione di intenti, a cui seppe rimanere fedele e coerente negli anni successivi. Montale aveva intuito che gli oggetti potevano inviare dei segnali da decifrare e che in essi ci fossero dei significati profondi da cogliere, evitando di cacciarsi in zone inesplorate ai più e di dare forma alla materia informe e indifferenziata dell’inconscio, senza tuttavia rimuoverlo. Ecco allora che Montale cerca la verità nel dettaglio. La cerca nella traccia di lumaca, nello smeriglio di vetro. Non esclude dalla sua indagine nemmeno lo stuzzicadenti e la briciola, perché anche queste “possono dirci qualcosa”. La verità è sotto ai nostri occhi, nelle nostre mani. E’ come una cosa che non riusciamo a trovare,  l’abbiamo cercata in tutti gli angoli tranne che nelle nostre mani. Ma allo stesso tempo Montale ci dice che “è inafferrabile e sguscia come un’anguilla”. Esistono però delle persone che sono in grado di aiutarci nella ricerca della verità. E’ il caso di Esterina, che salva dal “delirio di immobilità” Arsenio e tutti coloro che appartengono alla “razza di chi rimane a terra”. Nel lessico poetico di Montale compare in più occasioni il termine “agnizione”, che significa riconoscimento. Secondo il vocabolario Treccani significa esattamente: “Il riconoscere o il riconoscersi di persone in particolari circostanze; spec., nel teatro classico e d’imitazione classica, il riconoscimento di uno o più personaggi che scoprono la loro identità fin allora sconosciuta, risolvendo così, alla fine, le complesse vicende dell’intreccio”. Grazie ad Esterina il poeta giunge all’agnizione, alla rivelazione esistenziale, all’illuminazione lirica. I letterati potrebbero definirla epifania. Tramite quelle che Holderlin definiva “divinità terrestri” Montale giunge alle sue formule poetiche, alle sue celebri sentenze. Queste “divinità terrestri” sono state naturalmente persone in carne ed ossa, ma hanno incontrato un grande poeta che è riuscito a vagheggiarle e trasfigurarle. Forse idealizzandole. Per Montale la donna quindi non è semplice musa, ma chiave di accesso per conoscere la verità per lui che, a differenza di Esterina, è “della razza di chi rimane a terra”. Ora vorrei fare una considerazione di ampio respiro sulla verità. In questi giorni ho messo a punto uno schema esplicativo sulla verità ed i modi di intenderla nel mondo. Va preso naturalmente con il beneficio di inventario. Per qualcuno sarà probabilmente una ipersemplificazione, ma forse qualche altro lo potrà trovare utile o quantomeno divertente. Spero comunque che venga giudicato con bonaria indulgenza. 

In estrema sintesi e semplificando, a mio avviso, sostanzialmente ci sono 7 modi di porsi nei confronti della verità (7 atteggiamenti spesso non esplicitati totalmente): 1) la verità non è cosa umana ma divina. L’uomo può avere solo lampi e sprazzi di creatività, ispirato da Dio. Bisogna attenersi esclusivamente alla parola di Dio (atteggiamento religioso).  2) possiamo avere solo un rapporto cumulativo, progressivo e asintotico con la verità. La verità non è mai definitiva, ma deve essere continuamente accertata. Alla verità possiamo solo avvicinarci sempre più, ma mai toccarla pienamente (atteggiamento scientifico). 3) la verità è per pochi iniziati. Le masse non sono pronte per la verità (atteggiamento esoterico). 4) secondo il realismo “l’intelletto si adegua alle cose”. Abbiamo la fortuna che i nostri stati mentali corrispondano con la realtà. 5) secondo S. Agostino la verità abita nell’interiorità dell’uomo. Anche nella scienza non si possono affidare solo ai dati, ma c’è bisogno dell’unitarietà della coscienza (atteggiamento idealistico). 6) Secondo il misticismo orientale non esiste il Vero assoluto, ma ogni istante ha la sua verità. 7) la realtà è un impasto di oggettività e soggettività. Ogni uomo però secondo il costruttivismo ha una sua visione del mondo. Non si può quindi parlare di una verità ma di innumerevoli verità. 

Questi atteggiamenti non sono mutualmente esclusivi. L’atteggiamento 2 e l’atteggiamento 4 ad esempio possono coesistere pacificamente in alcune persone. Quando in una persona coesistono l’atteggiamento 1 e l’atteggiamento 2 si verificano delle contraddizioni insanabili. Chi coniuga l’atteggiamento 1 e l’atteggiamento 5 spesso è solito dedicare la vita al raccoglimento, agli esercizi spirituali, insomma alla preghiera. 

Il rapporto già labile, parziale e problematico con la verità è diventato ancora più difficile con i mass media attuali. Infatti si parla sempre più di post-verità. Citando Lucio Dalla, quello che era vero ieri non sarà più vero domani. Il cantautore bolognese aveva anticipato i tempi.