A Bologna seminario  organizzato da Ordine dei Giornalisti, Arga e Inner Wheel

Come arriva al  cittadino comune l’informazione sul mutamento green in atto, che riguardi  la de-sigillazione dell’asfalto per lo sviluppo di aree verdi, la coltivazione di giardini con tipologie di piante capaci di adattarsi a climi aridi, le vasche di laminazione per contenere le bolle d’acqua, i vestiti a ridotto impatto ambientale e la cultura del riuso?

Se ne è discusso al seminario intitolato “Orma Verde: l’informazione e la comunicazione verde come fattore di successo”   organizzato  dall’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna insieme ad Arga-Associazione Interregionale  Giornalisti di Alimentazione Agricoltura e Ambiente e Inner Wheel Bologna-San Lazzaro-Valsamoggia.

Ospitato l’11 maggio scorso all’interno del Palazzo Liberty dei Giardini Margherita di Bologna, sede  della manifestazione “Giardini&Terrazzi” 2024, anch’essa partner dell’iniziativa, l’evento porta all’attenzione degli operatori dell’informazione quanto debba essere efficace la comunicazione in questo settore, pena gli equivoci e la disaffezione delle persone che saranno poco motivate a cambiare abitudini e stile di vita.

Il messaggio emerso dall’incontro è che  gli strumenti di prevenzione e di adattamento al cambiamento climatico ci sono e la loro applicazione richiede un lavoro di sinergia tra istituzioni,  agronomi,  bio-designer e comunicatori, appunto. Perché l’informazione su ciò che viene o non viene realizzato sia efficace, precisa ma anche accessibile ai non addetti ai lavori.

Giardini&Terrazzi 2024, Bologna, photocredit Anna Cavallo

Ad aprire il seminario Oddone Sangiorgi di Green Mood  e Rosa Maria Amorevole, presidente del quartiere Santo Stefano di Bologna all’interno dei quali si trovano i Giardini, che sottolineano quanto il cambiamento del clima sia impattante nella qualità della vita in una città-metropoli come Bologna.

“Per questo- afferma Sangiorgi -è importante che tutta la comunità sia coinvolta attraverso piccoli gesti quotidiani che sul lungo periodo fanno la differenza e che la sensibilizzazione su questi temi anche da parte degli organi di informazione sia corretta”.

Spesso, infatti – prosegue Amorevole – l’Amministrazione comunale si trova  ad affrontare i malumori dei cittadini quando si eseguono potature di alberi. I giornali, allora, attraverso titoli sensazionalistici, danno grande risalto a queste azioni, senza però enfatizzare con la stessa intensità che si tratta di misure preventive perché gli alberi sono malati.

“Grazie a nuovi strumenti tecnologici- spiega -le diagnosi oggi sono molto più precise e in grado di segnalare lo stato di salute di un albero che appare sano e frondoso ma che poi, sotto il tronco, risulta danneggiato”.

Anche sulla moda ecosostenibile – prosegue – le persone devono essere sensibilizzate maggiormente attraverso gli organi di informazione, sull’esistenza di start up che sono progredite moltissimo nella produzione di vestiario in tessuti naturali: “Attraverso i giusti canali potrebbero ampliare il proprio bacino di mercato e non rimanere confinate ai mercatini di quartiere e alla vendita online che comunque ha un target ancora molto di nicchia”.

Giardini&Terrazzi 2024, Bologna, photocredit Anna Cavallo

Dopo i saluti dei presidenti di Inner Wheel Bologna, Marilena Lelli, di San lazzaro Raffaella Maccagnani e di Valsamoggia, Ana Uzqueda, è intervenuto Roberto Zalambani, giornalista e presidente dell’Unione nazionale delle associazioni Arga, per fare il punto su La comunicazione ambientale, una sfida continua tra etica e competenza.

“Come associazione impegnata da anni nell’approfondimento sulle tematiche legate all’agroalimentare che successivamente si è esteso anche all’ambiente – precisa- siamo stati dei precursori e abbiamo istituito anche la Giornata della stampa ambientale. Così come abbiamo promosso il confronto e le collaborazioni con enti, associazioni e imprese che vogliano confrontarsi su quella che è una sfida per un futuro sostenibile.

Mi viene in mente la recente visita agli stabilimenti di produzione vinicola Caviro a Faenza dove abbiamo avuto occasione di conoscere più da vicino un esempio di economia circolare. Qui, ciò che rimane dalla lavorazione dell’uva per produrre il vino, viene trattato insieme agli scarti delle filiere agroalimentari e degli sfalci vegetali per diventare di nuovo materia prima. Grande attenzione abbiamo dedicato poi al florovivaismo che in Italia conta 17.000 aziende diffuse principalmente in quattro regioni: Liguria, Toscana, Lombardia e Campania e sulle dinamiche dell’import-export dei fiori che ci vede però grandi importatori dai Paesi Bassi”.

Sulla necessaria deontologia professionale per trattare le notizie su questo tema, da cui non si dovrebbe mai prescindere, Zalambani ricorda che la libertà di stampa nel nostro Paese, secondo i dati di Reporter Senza Frontiere, organizzazione no-profit nata a Parigi nel 1985 che riporta annualmente la classifica di 180 Paesi, nel 2024 è scesa di 5 posizioni rispetto all’anno precedente e, attualmente, si trova al 46° posto. Una via di mezzo, quindi, per l’informazione  e di conseguenza anche per quella sull’ambiente, né troppo  vincolata né troppo indipendente. Malgrado l’art.9 della Costituzione sancisca la tutela dell’ambiente come dovere e la promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica.

“La facilità con cui in Italia si rischia la querela – precisa Zalambani– spiega perché sia così poco diffuso il giornalismo investigativo”. Altra criticità segnalata è stata la scarsa conoscenza di noi italiani sulle lingue straniere che sui social  permetterebbe di accedere a fonti informative non ufficiali in lingua cinese, araba e russa. Così, invece,  si deve ripiegare sulle notizie fornite dalle più note agenzie di stampa.

Dedicato invece al mutamento climatico e ai suoi effetti sui giardini,  l’intervento del giornalista Marco Pirani della rivista specializzata Giardino Antico. “Le precipitazioni sporadiche ma intense, gli inverni sempre più miti e le estati torride stanno modificando anche la vegetazione. Se quindi vogliamo coltivare un giardino, sono necessari alcuni accorgimenti sia per evitare sprechi di acqua, sia per la salute degli alberi che decideremo di piantare”.

Addio, quindi al tipico giardino degli anni’80, spiega infatti Pirani, costituito da prati all’inglese, conifere e abeti. Allora, le estati finivano con le prime piogge dopo Ferragosto, l’autunno era lungo e piovoso, l’inverno molto freddo e le stagioni si susseguivano con regolarità. Ora constatiamo che è in atto  una tropicalizzazione del clima e un aumento della temperatura globale. In Italia, secondo i dati 3BMeteo de Il Sole 24 Ore, le temperature potrebbero alzarsi anche di 2 gradi. Precipitazioni irregolari, di carattere temporalesco o peggio, alluvionale, alternate a periodi di siccità, con fioriture anticipate o imprevedibili,  stanno cambiando l’intero ecosistema.

Le conseguenze, tra non molti anni, spiega, saranno la desertificazione di sempre più vaste aree. In Italia è a rischio il 28% del suolo e non solo nelle regioni meridionali ma anche in Emilia Romagna e Veneto. Si diffonderanno quindi piante esotiche che contenderanno l’habitat a quelle autoctone. Intanto, gli eventi climatici estremi  come quelli del Trentino a fine ottobre 2018 con 14 milioni di alberi abbattuti lungo una superficie di 41.000 ettari di terreno tra Trentino, Veneto e Lombardia, ha recato danni incalcolabili alla biodiversità che rischia di scomparire entro il 2080.

Pacciamatura dell’orto con la paglia photocredit Itagri dal web

I rimedi possibili per poter coltivare un giardino, saranno quindi: la scelta di piante locali ma resilienti, la gestione sostenibile del suolo, l’utilizzo di tecnologie per la manutenzione e di tecniche di giardinaggio idroponico, cioè di uno spazio in cui vengono coltivati piante e fiori senza ricorrere all’uso della terra e del  terriccio, ma creando semplicemente un ambiente favorevole per la crescita dei vegetali. Per innaffiare, si può ricorrere all‘irrigazione a goccia o alla pacciamatura, che consiste nel ricoprire il terreno con materiale organico che ne conserva l’umidità.

Molto importante anche la promozione di giardini urbani  e, soprattutto, educare all’importanza di attraversare il più possibile i giardini, soprattutto per chi abita nelle metropoli. In bici o a piedi per recarsi al lavoro, ma anche per andare a fare la spesa, questo semplice gesto ha un impatto importante sulla  qualità della vita.

Il tema è stato approfondito anche dall’agronoma Barbara Negroni, consigliera nazionale di Conaf-Consiglio Nazionale Dottori Agronomi e Dottori forestali, che ha rimarcato quanto sia importante che il comparto ambientale sia al primo posto nella pianificazione urbana, realizzando spazi verdi in grado di integrarsi con i percorsi quotidiani degli abitanti e ha menzionato anche gli studi sull’urbanistica di genere.

Pare infatti che le donne si muovano in città utilizzando mezzi diversi, sia a piedi che in bicicletta e privilegiando la trasversalità, mentre gli uomini si muovono in modo più lineare e prevalentemente attraverso piste ciclabili. Sollecitata dalle domande tra il pubblico, ha ammesso che a differenza di altre città europee come Londra, ad esempio, in cui i parchi  urbani sono sempre più vasti e accessibili da più corsie sia ciclabili che pedonali, consentendo così  a un numero elevato di cittadini di usufruirne per gli spostamenti, in Italia non è ancora così.

Per questo è fondamentale la collaborazione tra istituzioni e organi di informazione per diffondere conoscenze su strategie  già consolidate all’estero.  Certo, occorre sapere  come muoversi quando si intende fare giornalismo ambientale. Cosa scrivo? A chi chiedo? Come far diventare il pezzo un articolo di riferimento? Queste le domande da porsi. Infine, un accenno alla relazione tra ecosostenibilità e intelligenza artificiale, con l’ipotesi, non così lontana, che questa un giorno possa aiutare gli scienziati a progettare piante in grado di combattere il cambiamento climatico.

Dry Garden photocredit web

Il Green Designer  Roberto Malagoli dello Studio paesaggistico MaMa di Forlì ha invece parlato di Dry Garden e Rain Garden: due soluzioni in linea con i cambiamenti climatici. 

Il primo, come suggerisce il nome, è costituito da piante resistenti alla siccità, quali lavanda, piante aromatiche e graminacee, conifere nane, senza erba e con superfici drenanti.  Si possono inserire eventuali cannule per irrigazione di emergenza ogni 2 mesi in caso di siccità prolungata.

Rain Garden photocredit web

Il Rain Garden è invece il giardino all’interno di un’ampia vasca, in grado di controllare il processo di infiltrazione di acqua piovana all’interno di  superfici non impermeabilizzate . In tal modo le acque vengono trattenute prime di raggiungere le fogne e si evita il rischio di rottura e straripamento di queste ultime. In entrambe le tipologie la strada deve essere sopraelevata rispetto al giardino. Il costo si aggira sui 50.000 euro per un giardino di grandi dimensioni (es. pubblico, condominiale o industriale).

“Nei contesti periferici e industriali dismessi – continua Malagoli – ci sarebbe un gran bisogno di intervenire attraverso la de-sigillazione dell’asfalto, per poi buttare semi di piante aride e nel giro di pochi anni si svilupperebbero aree verdi, come si sta già facendo in Olanda, Germania e Francia”.

Il giornalista e presidente di Arga Emilia Romagna Andrea Guolo, ha toccato invece il dolente tasto del settore abbigliamento, tra i più inquinanti e  controversi dell’economia mondiale. Le prospettive future non sembrano ottimiste, malgrado la crescente sensibilizzazione sulla necessità del ritorno al vestito di seconda mano e alla produzione di capi in fibre naturali e con modalità ecosostenibili. Sia perché questo tipo di mercato non riuscirebbe a soddisfare l’enorme richiesta, sia perché il  tessile frutta 64,4 miliardi di euro, e l’industria della moda è seconda, per giro d’affari, solo  a quella meccanica.

Un’industria che richiede un consumo notevole di acqua e a elevato impatto ambientale  per l’utilizzo di materiali tossici come il poliestere, soprattutto nei capi di fast fashion provenienti da Paesi come la Cina. I vestiti usa e getta venduti a pochi euro e di scarsa qualità, infatti, non possono essere riciclati  e sono  difficili da  smaltire. Sono inoltre  prodotti anche  in stabilimenti del Bangladesh o altri Paesi asiatici, dove donne e minorenni lavorano dall’alba al tramonto, sottopagati e in pessime condizioni igienico-sanitarie.

Sta di fatto che l’Unione europea, conclude Guolo, attenta ai rispetto  dell’ambiente e dei diritti umani, vieta sul suo territorio stabilimenti di questo tipo, ma ne importa i prodotti che, essendo a basso costo, vanno incontro alle esigenze di persone sempre più impoverite dall’aumento del costo della vita ma soprattutto delle nuove generazioni, a dispetto della loro proclamata attenzione ai diritti umani.

Anna Cavallo