La verità della scienza è sempre provvisoria e perfettibile, anche se è conoscenza oggettiva. La verità umana (quando è presente nell’arte) invece secondo me è sempre parziale. Essa può essere verità che racchiude il sentire oppure il pensare. Gli artisti cercano sempre di procedere dal particolare all’universale,  ma non sempre vi riescono. Per verità nell’arte si intende una rivelazione (non certo un’ovvietà priva di praticità), spesso causata da una speculazione e da un continuo interrogarsi. Nella poesia a mio avviso ci sono sostanzialmente questi tipi di verità umana: la verità interiore, la verità della natura, la verità storica, la verità sociale. La verità interiore comprende la descrizione di stati d’animo, stati mentali, associazioni, illuminazioni, sentenze, impressioni, percezioni, riflessioni, pensieri metafisici, considerazioni filosofiche ed esistenziali. A tal proposito ricordo che S.Agostino scriveva che “la verità abita nell’interiorità dell’uomo”. La verità interiore spesso è dovuta a un atteggiamento sapienziale e gnomico.

Comunque può essere determinata non solo da estenuanti meditazioni ma anche da felici intuizioni e folgorazioni. Però  come sostenevo all’inizio è parziale perché a una teoria si può sempre contrapporre una teoria complementare. Ogni verità di questo tipo può essere sempre capovolta e confutata da qualsiasi altro autore. A mio avviso nessuno è depositario assoluto della verità, perché la verità umana non è mai un assoluto. 

La verità umana, anche quella frutto del pensiero più saggio e profondo, è sempre scaturita da un punto di vista. Ogni poesia è figlia di una determinata angolatura. Ogni poesia riflette una certa concezione del mondo. La verità della natura riguarda la descrizione dei paesaggi e più in generale di quello che un tempo si chiamava creato. Zanzotto ad esempio ha rappresentato in modo esemplare il suo Veneto. Questi sono i due tipi di verità umana più diffusi nella poesia antica e moderna. Ma una poesia come “Muore ignominiosamente la Repubblica” di Mario Luzi ad esempio descrive magistralmente il clima degli anni Settanta, segnati dal terrorismo. Quando l’ha scritta si riferiva a degli eventi di cronaca nera. 

Oggi questa lirica è verità storica. Come altro esempio posso citare “Diario d’Algeria” di Sereni che rappresenta la prigionia  del poeta durante la seconda guerra mondiale. Questa raccolta testimonia una particolare condizione di un certo contesto storico. “La ballata di Rudi” di Pagliarani invece ci racconta l’Italia degli anni Cinquanta, descrivendo alcune figure disoneste. Giovanni Giudici ha descritto il lavoro impiegatizio in una grande città industriale nella seconda metà del Novecento. Queste sono anche verità umane sociali. Lo stesso Baudelaire, che nei “I fiori del male” descrive le prostitute dell’epoca, è un poeta che restituisce pienamente la marginalità  sociale della Francia di quegli anni. Naturalmente la poesia comunica e veicola messaggi in modo molto particolare, indipendentemente dal fatto che il poeta sia veggente, orfico, razionalista, neorealista, ermetico o della Neoavanguardia. Per Vittorio Sgarbi il disagio è il fondamento stesso dell’arte contemporanea. Giovanni Raboni sosteneva che la lingua della poesia fosse irrazionale e nel corso del Novecento questa particolare arte lo ha spesso dimostrato raffigurando la crisi del linguaggio nella società consumistica, dominata dai mass media. La poesia quindi non sarebbe più pura e semplice nominazione. Come non ricordare Sanguineti secondo cui esisteva un’equivalenza tra ideologia e linguaggio? 

Comunque tutte queste forme di verità a cui giungono gli artisti sono dovute secondo me all’interazione tra conoscenza teorica ed esperienza di vita. Ma c’è anche chi la pensa diversamente. Ci sono alcuni filosofi come Vattimo che pensano che l’arte non dica niente di più sul mondo. Quindi essa sarebbe soltanto un’interpretazione come un’altra della realtà. Secondo questa scuola di pensiero l’artista non vedrebbe il reale da un osservatorio privilegiato e la sua opera non aggiungerebbe niente alla conoscenza della realtà. Per Platone l’arte è semplice copia di una copia. È mimesi. Per Giorgio Manganelli la letteratura è menzogna. Per il raffinato intellettuale ogni scrittore non è altro che un buffone. Anche per Picasso l’arte è una menzogna che si avvicina alla realtà. Per Pessoa il poeta è un fingitore, che non prova veramente le emozioni; utilizza solo l’immaginazione. L’arte in effetti può essere considerata menzogna in quanto è anche causata dall’astrazione e dalla trasfigurazione. Può essere quindi anche specchio deformante della realtà. L’artista, anche quello più realista, è un testimone del mondo ma il mondo cambia incessantemente e ciò che può dare l’opera d’arte è soltanto la visione dell’artista in quel particolare periodo. Inoltre l’arte può anche non essere verosimile e può prescindere dalla verità; può essere pura evasione ed essere irreale: può anche essere “arte per l’arte”. Per Borges l’arte vuole sempre “irrealtà invisibili”. Infine per Kant ricercare la bellezza non significa approdare a una verità. Ma ci sono anche illustri pensatori che ritengono che l’arte sia verità. Secondo Aristotele essa può raggiungere una dimensione universale. Keats scrive che “la bellezza è verità e la verità è bellezza”. Emily Dickinson sosteneva che il poeta dovesse dire la verità,  ma deve dirla obliqua.  Per Heidegger l’opera d’arte è verità in quanto esprime un mondo e non è solo una semplice copia della realtà: è apertura di un mondo. Per Gadamer l’opera d’arte è arricchimento ontologico perché ci fornisce nuove prospettive da cui guardare il mondo e ci dona nuovi tipi di figurazioni. Il filosofo fa l’esempio della Provenza rappresentata dai quadri di Van Gogh, che aggiungono alla nostra conoscenza una nuova visione del mondo. Prima di allora nessuno infatti aveva rappresentato così la Provenza. Ma esiste anche un’altra scuola di pensiero secondo cui la verità è sovrumana e l’uomo non può che tendere asintoticamente a essa senza mai raggiungerla. Insomma l’arte è un mistero. Per finire ricordo Vincenzo Gioberti per cui la verità è un poligono e ogni uomo non è che un lato.