Savinio ha affrontato in modo diretto il problema dell’infanzia in due romanzi; uno è questo che presentiamo adesso, Infanzia di Nivasio Dolcemare e l’altro è Tragedia dell’infanzia, del quale presto faremo l’edizione elettronica per la biblioteca Manuzio.
Sembra che Savinio abbia difficoltà a staccarsi dall’infanzia, ma la guarda con occhio abbastanza distaccato e sereno. Certamente in un’ottica freudiana. In un poscritto di una lettera a Mondadori (Infanzia di Nivasio Dolcemare è l’unico testo di Savinio che pubblicò questo editore) chiede di poter avere, in porto assegnato, La Psicoanalisi di Enzo Bonaventura perché è scaduto il prestito con la biblioteca e il libro risulta esaurito nelle librerie. [Per inciso, questo testo di Bonaventura è oggi disponibile nella biblioteca Manuzio]. Michel David dedica alcune pagine a Savinio nel suo libro La psicoanalisi nella cultura italiana.
Questo interesse ha probabilmente contribuito a che le riflessioni dell’autore sulla propria infanzia si svolgano senza risentimento, attenuando le inquietudini che contrappongono l’adolescente e il giovane ai genitori. Savinio colloca le tematiche psicoanalitiche in un’ottica saldamente antiautoritaria, in aperta opposizione all’etica e alla cultura dominante. La riprova viene dalle accuse di Padre Gemelli, portavoce pressoché ufficiale della cultura cattolica e conservatrice italiana che rimproverò Savinio di farsi promotore della psicoanalisi e di Freud dalle colonne del “Corriere della Sera”. Questi articoli di Savinio saranno successivamente raccolti in volume. Negli anni ’50 dello scorso secolo il cattolicesimo guardava con evidente imbarazzo alla diffusione in Italia della psicoanalisi, che era vista soprattutto in relazione alla sfera sessuale e quindi concepita come in contrasto alla morale puritana predominante.
Savinio conduce chi legge attraverso la trasformazione dell’anima in psiche, come premessa indispensabile ad ogni possibile ulteriore sviluppo. Mentre l’anima proviene da Dio, la psiche appartiene al corpo e a questo è indissolubilmente legata. Tematica simile troviamo, un po’ confusamente, in Angelica o la notte di maggio, romanzo giovanile dell’autore che però testimonia come queste riflessioni fossero presenti nel bagaglio narrativo dell’autore praticamente da sempre. Nel racconto La nostra anima, Psiche assume persino sembianze reali e mostruose. Nivasio Dolcemare raggiunge invece un distacco che consente di guardare alla propria psiche con ironia talvolta scherzosa, e certamente con la maturità dell’esperienza.
Tuttavia le vicissitudini che portarono nel 1941 alla pubblicazione del libro testimoniano anch’esse che «il più straniero degli scrittori italiani» [definizione di Leonardo Sciascia] non era troppo tranquillo. Appena distribuito il volume nelle librerie, Savinio ne chiede a Mondadori il ritiro dal commercio, preso dall’ansia di possibili ritorsioni. Questo nonostante Mondadori avesse già chiarito con il Ministero della Cultura Popolare che non c’erano ordini di alcun tipo in merito a questo libro. La verità viene però svelata dallo stesso Savinio e – per quanto la vicenda testimoni comunque del clima di censura che si viveva in quegli anni – consisteva nel fatto che l’autore aveva raggiunto un accordo con Bompiani per la pubblicazione di tutti i suoi libri. Il romanzo era già apparso in otto puntate sulla rivista di Leo Longanesi “L’Italiano” tra il 1935 e il 1938; il titolo era Due terzi della vita di Nivasio Doolcemare – con ardita incursione nel futuro a guisa di epilogo.
Nivasio è anagramma di Savinio (dell’argomento degli pseudonimi-anagramma dell’autore ho già parlato presentando Maupassant e l’altro); il padre è ancora un nuovo anagramma: Visanio, il quale con la madre Trigliona forma una coppia di genitori quanto mai inconsueti e bizzarri. Ma sono comunque loro che segnano le tappe della formazione di Nivasio mentre sullo sfondo Atene – la città dell’infanzia di Savinio – appare scenario surreale e sulla via di un’inesorabile decadenza.
Le sperimentazioni linguistiche si abbinano in maniera efficace alla costruzione classicistica della frase, che risulta essere sempre fluida ma contemporaneamente scoppiettante. Incarna perfettamente lo spirito surrealista che segna la scomparsa del romanzo ottocentesco fornendo i capolavori narrativi del novecento.
L’infanzia viene alleggerita dai suoi aspetti tragici e l’umorismo prevale sulla comicità. Con i bizzarri genitori e i loro ancor più bizzarri amici – il marchese Raúl detto l’imbecille, il barone e la baronessa Ràthibor, il pittore Ermenegildo Bonfiglioli che dipinge «tondeggiamenti tiepoleschi» e la lieve come ombra Pertilina – Atene simboleggia una terra di confine tra oriente ed occidente. Troviamo presenti più lingue e anche più esperienze che racchiudono l’embrione della civiltà e della cultura e persino della religione che conosciamo. Solo che il «Dio Greco stava seduto dietro la tenda di percalle, al lume di candela, e si fumava una sigaretta» ed «è meno un Ente Astratto che un Demiurgo, ossia un Dio Operaio, un Dio Passionale, un Dio soggetto all’ira e alla fame, al freddo e alla gioia azzurra che ispirano i giochi dei bambini». Al Dio cattolico resta l’ira che lo trasforma nella causa prima dell’autoritarismo patriarcale sia mentale che etico. Anche in questo consistono le riflessioni che Savinio propone per superare il concetto tradizionale di uomo, lanciarlo oltre i suoi tradizionali limiti e, attraverso l’infanzia – e il sogno che l’infanzia stessa racchiude – riportare l’umanità a una sorta di eden. E non è un caso che la tematica dell’infanzia sia il perno reale attorno al quale ruota la narrazione saviniana, insieme ovviamente all’ironia e a una certa “divina frivolezza” – concetto che Savinio introdusse in alcuni scritti musicali oggi radunati in Scatola Sonora e che simboleggia le dinamiche di equivoco e paradosso, divertimento e humour, inteso quest’ultimo nell’ottica bretoniana del surrealismo –, e tramite questa tematica è possibile frantumare i paradigmi delle idee preconcette e superate che un male inteso umanesimo ci ha lasciato in eredità.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Il giorno in cui Nivasio Dolcemare uscì dal grembo materno, il sole picchiava a martello sulla città della civetta.
Cinque da una parte e cinque dall’altra, le lunghe steariche colorate sorgevano agli angoli del caminetto, si piegavano sui candelabri di bronzo, piangevano lunghi lacrimoni.
La culla spumeggiava in un angolo.
Di minuto in minuto un rapido fruscio d’acqua rameggiava nei muri, passava sulle finestre che opponevano le loro persiane chiuse all’assalto del caldo portentoso.
Quel rapido fruscio dava idea di una pioggia intermittente, una pioggia stanca, un fantasma di pioggia. Era opera invece di una dozzina di mercenari agli ordini del commendatore Visanio, i quali, coperti di lana dal collo alle caviglie, rovesciavano mastelli d’acqua sul tetto, a fine di lenire, sotto, l’affanno della partoriente.
Il tema dell’acqua sul tetto, e soprattutto delle candele che si consumavano da sole, alimentò per molto tempo le conversazioni di casa Dolcemare.
La signora Trigliona riceveva il martedì. Gli amici dei Dolcemare vivevano nel terrore. Lo sbadato o l’ingenuo non mancavano mai, che d’un tratto se ne uscivano a dire:
«Che caldo oggi!».
Scarica gratis: Infanzia di Nivasio Dolcemare di Alberto Savinio.