L’opera di Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 fu pubblicata sulla “Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue” che aveva previsto una serie di articoli aventi per titolo Dal 1848 al 1849, Il 13 giugno 1849, Ripercussioni del 13 giugno sul continente e La situazione attuale : l’Inghilterra. Solo i primi tre vennero pubblicati nei fascicoli I-III. Nel 1895 Engels pubblicò una nuova edizione dell’opera di Marx intitolandola Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 dando titoli nuovi ai tre capitoli già apparsi. Come quarto capitolo aggiunse le parti dedicate alla Francia della “Rassegna” maggio-ottobre 1850 con il titolo La soppressione del suffragio universale nel 1850.

Scrivendo il 13 febbraio 1895 a Richard Fischer, Engels affermò che il quarto capitolo forniva «una reale conclusione al tutto senza la quale esso rimarrebbe un frammento». L’Introduzione per l’edizione in opuscolo delle Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, che uscì a Berlino nel 1895, fu scritta da Engels pochi mesi prima della sua morte, fra il 14 febbraio e il 6 marzo 1895. Il 6 marzo 1895, tramite una lettera di Richard Fischer, la direzione del Partito socialdemocratico tedesco, adducendo motivi di opportunità tattica e accennando al pericolo sempre incombente di una legge contro i socialisti, chiese a Engels di attutire il tono, ritenuto troppo rivoluzionario, dell’Introduzione e di accogliere una serie di modifiche che si considerava necessario apportarvi. Engels, pur manifestando riserve e critiche nei confronti dell’atteggiamento irresoluto del partito e delle sue preoccupazioni legalitarie, accolse quasi tutte le richieste di modifica avanzate e consentì che fossero cancellati i passi relativi a una eventuale lotta armata del proletariato contro la borghesia. Nella presente edizione elettronica, che si basa sulla prima edizione italiana, subito tradotta nel 1896 da Ettore Ciccotti, la prefazione di Engels è quindi nella versione tagliata. Bisognerà attendere edizioni molto più recenti per leggere anche i passi censurati.

Ma la controversia sull’Introduzione di Engels si era sviluppata anche precedentemente. Prima che in volume, l’Introduzione di Engels era apparsa sul “Vorwärts” [Avanti], organo centrale della socialdemocrazia tedesca, diretto da Wilhelm Liebknecht, ma con omissioni che deformavano completamente il pensiero di Engels, tanto che questi ne scriveva al Lafargue il 3 aprile 1895:

«X mi ha fatto un brutto scherzo. Dalla mia Introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-1850 egli ha estratto tutto ciò che poteva servirgli in difesa della “tattica ad ogni costo pacifica e contraria alla violenza” che gli fa comodo predicare da un po’ di tempo, soprattutto ora che a Berlino si preparano leggi eccezionali. Ma io raccomando questa tattica solo per la “Germania d’oggi”, e anche qui con “riserve di carattere essenziale”. In Francia, Belgio, Italia e Austria non è possibile seguire questa tattica nella sua interezza e in Germania può diventare inadatta domani».

Indignato di questo lavoro “redazionale”, Engels aveva scritto a Kautsky il primo aprile 1895:

«Con mia grande sorpresa, trovo oggi nel “Vorwärts” un estratto della mia Introduzione, pubblicato senza che io lo sapessi, e così sconciato che io vi appaio come un pacifico fautore della legalità a ogni costo. Tanto più vorrei che la Introduzione apparisse nella “Neue Zeit”, perché venisse distrutta questa vergognosa impressione. Dirò molto chiaramente ciò che penso a questo proposito a Liebknecht e anche a coloro, chiunque essi siano, che gli hanno offerto questa possibilità di deformare il mio pensiero».

Tuttavia, né la “Neue Zeit” (quindicinale socialista pubblicato a Stoccarda, sotto la direzione di Kautsky, dal 1883 al 1923) né l’opuscolo contenente Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 riportarono il testo integrale dell’Introduzione di Engels. Su richiesta esplicita della direzione socialdemocratica, la quale temeva che il governo emanasse in Germania una nuova legge sui socialisti, Engels – che sarebbe morto pochi mesi dopo questa pubblicazione – fu quindi costretto a cancellare alcuni passi della sua Introduzione, relativi alla eventuale lotta amata del proletariato contro la borghesia. Il testo integrale dell’Introduzione di Engels venne pubblicato per la prima volta nell’Unione Sovietica nel 1934 (Marx, Augewählte Werke, 2 volumi, Mosca-Leningrado).

Le vicende rivoluzionarie che nel 1848 percorsero l’intera Europa continentale furono lo sbocco di lotte diverse e con obiettivi diversificati in base alle specificità nazionali e in relazione al loro grado di sviluppo politico e sociale che era tutt’altro che omogeneo; in Germania, Ungheria, Polonia e Italia i moti rivoluzionari erano tesi a realizzare l’unità e l’indipendenza nazionale e ad infrangere limitazioni e ostacoli posti dal Congresso di Vienna, per il quale la Santa Alleanza forniva la trave portante, quale custode dell’assetto internazionale del momento. Ma senza dubbio non era certo difficile vedere in questa ventata rivoluzionaria gli embrioni di opposizione radicale e la volontà di infrangere i lacci dell’assolutismo e le vestigia del feudalesimo. Per inciso si può raccomandare la lettura, per quel che riguarda l’Italia, del libro di Petruccelli della Gattina – presente in questa biblioteca Manuzio – La rivoluzione di Napoli nel 1848. La direzione del movimento era quindi nelle mani della borghesia ma, come è facilmente intuibile, le strade prospettate, e talvolta con fatica percorse, erano differenziate e venivano ad emergere anche i primi nuclei rivoluzionari del movimento operaio. È abbastanza facile oggi inquadrare le cause storiche di quei moti nello steccato che veniva imposto da una classe capitalistica in ascesa e nelle sue necessità di adeguamento dei rapporti sociali economici e politici alle proprie esigenze di sviluppo e per consolidare la propria posizione economica in maniera che divenisse funzionale a poter giungere a controllare le leve del potere politico sia sul piano nazionale che internazionale.

Ma in Francia la situazione era certamente diversa. Dal 1789 al periodo napoleonico i rapporti sociali erano profondamente mutati e la dinamica dei contrasti convergeva nella lotta contro l’aristocrazia finanziaria monarchica e conservatrice, cioè quella frazione della borghesia che si era insediata al potere con la rivoluzione del luglio 1830. Si andava sviluppando quindi una lotta tra frazioni della borghesia finalizzate al cambiamento della forma politica della società borghese ormai consolidata. Benché lo sviluppo industriale fosse in Francia ancora limitato, rendendo quindi solo embrionale la presa di coscienza proletaria, era tuttavia molto più avanzato rispetto agli altri paesi dell’Europa ancora pesantemente condizionati dai residui feudali. Quindi, mentre la maggior parte delle insurrezioni del 1848 videro gli embrioni del proletariato affiancare la borghesia per abbattere le vecchie classi dominanti nemiche della borghesia stessa, per quanto concerne la Francia Marx ed Engels poterono scrivere nel Manifesto del Partito Comunista che

«gli operai di Parigi, rovesciando il governo, avevano l’intenzione ben determinata di rovesciare il regime della borghesia».

Questo probabilmente rese possibile il fatto che la borghesia fosse in grado di assumere la consapevolezza che, anche nelle insurrezioni di Vienna e Berlino, esisteva la potenzialità perché prendesse consistenza l’azione proletaria. Questo insieme di fattori, uniti alla ripresa economica susseguente alla crisi del 1847, concorsero a far sì che la borghesia europea cercasse un rapido compromesso per mettere termine alla crisi rivoluzionaria limitando al minimo la potenzialità d’intervento delle masse lavoratrici emergenti.

Come ben sappiamo nessuno dei grandi obiettivi democratici e nazionali per i quali si era combattuto nel 1848 trovò realizzazione. Ungheresi, italiani e polacchi rimanevano soggiogati da tirannie, mentre Austria e Prussia non tardavano a ripristinare il carattere spiccatamente autoritario del loro regime; la repubblica democratica francese lasciava il posto all’instaurarsi del Secondo Impero. In un discorso del 14 aprile 1856 Marx poté quindi affermare:

«Le cosiddette rivoluzioni del 1848 non furono che meschini episodi, piccole rotture e lacerazioni nella dura crosta della società europea».

Ma poco dopo aggiunge

«Esse rivelarono, al di sotto della superficie apparentemente solida, un mare di materia fluida, che aveva solo bisogno di espansione per far andare in pezzi continenti di roccia compatta. Rumorosamente e confusamente, esse annunciarono l’emancipazione del proletariato, cioè il segreto del secolo XIX e della rivoluzione di questo secolo».

Per queste ragioni Marx può esordire nel primo saggio di questo volume affermando:

«Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionarî, risultati di rapporti sociali non peranco acuiti in netti antagonismi di classe, ‒ persone, illusioni, fantasie, progetti, da cui non era libero il partito rivoluzionario avanti la rivoluzione di febbraio e da cui non la vittoria di febbraio poteva liberarlo, ma solamente una serie di disfatte.»

Tutto questo induce Marx (ed Engels) a individuare come decisiva la presenza del proletariato nelle insurrezioni del 1848 e a sottolineare come questa presenza fosse per loro l’aspetto di maggior rilievo in questo frangente storico. Per cui Engels, nella prefazione al Manifesto può affermare:

«Dappertutto quella rivoluzione fu l’opera della classe operaia; fu questa che fece le barricate e pagò di persona»,

anche se i tempi non ancora maturi predisposero una situazione che

«fece fare infine ai combattenti proletari solo il lavoro della borghesia […] e i frutti della rivoluzione furono dunque raccolti in ultima analisi dalla classe capitalista».

Analizzando quindi questa esperienza storica, Marx in questi saggi (e nel successivo Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte) mette in luce posizione e tendenze dei diversi strati della borghesia e dei suoi partiti, sottolineandone le contraddizioni, la fragilità dei loro programmi politici e quindi l’impotenza rivoluzionaria. Tramite questa analisi Marx può quindi sottolineare alcuni tratti caratteristici delle sue analisi più pregnanti finalizzate a un’educazione politica del proletariato per renderlo consapevole che al proprio interno – e soprattutto dove la classe operaia era meno sviluppata – l’ideologia dominante era quella borghese e questo rendeva fragile il proletariato e la sua spinta rivoluzionaria, ostacolandolo e esponendolo ad ogni possibile tradimento sulla strada della costruzione di una solida coscienza di classe e di un proprio partito rivoluzionario.

Questi aspetti riscontrabili in questi testi consentirono più tardi a Lenin di affermare che in questi scritti (e in altri sul ’48 e sulla Comune) sono il substrato teorico per la definizione dei concetti della dittatura del proletariato, della lotta per il potere, della solidarietà internazionale del movimento operaio e socialista.

È chiaro che non si tratta dell’unica chiave di interpretazione possibile. Sui limiti di queste interpretazioni si potrebbe evidenziare una bibliografia certamente non banale; oggi a me sembrerebbe particolarmente rilevante rileggere, ad esempio, le riflessioni di Roman Rosdolsky; queste prendono consistenza all’interno dei giudizi di Marx ed Engels nei confronti dei popoli slavi “senza storia”, giudizi che nascono anche dalle loro riflessioni sulla fase storica del 1848-49 e che hanno tuttavia avallato tante posizioni genericamente internazionaliste che hanno preteso di difendere la tradizione rivoluzionaria riducendo tutte le contraddizioni del sistema a una visione improntata a un piatto economicismo. Il tutto filtrato attraverso la visione e l’impostazione della “Neue Rheinische Zeitung Politisch-ökonomische Revue” e il suo voler porre l’accento sulla questione nazionale nella rivoluzione del 1848-49. Impostazione che Marx ed Engels finirono per avallare.

In una prospettiva attuale – nella quale gli Stati Uniti cercano di individuare nuove strade per riaffermare il proprio dominio dei mercati sempre più in crisi dopo il tramonto dell’ordine di Yalta, e dove l’antagonismo tra i concorrenti in grado di sfidare questa egemonia, non solo da un punto di vista economico ma anche sociale e politico e, oserei dire, persino morale, mette in rilievo l’instabilità dei rapporti tra stati e riporta prepotentemente e drammaticamente alla ribalta le questioni nazionali – può quindi non essere mero esercizio di erudizione storica rileggere questi scritti di Marx, utili anche per scorgere le linee di sviluppo di una posizione antagonista fondata sull’idea del materialismo storico e sulle differenze e relazioni con altre idee tese a comprendere le dinamiche del cambiamento sociale.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Ad eccezione d’alcuni pochi capitoli, non v’ha periodo importante degli annali rivoluzionari dal 1848 al 1849, che non porti l’intitolazione: Disfatta della rivoluzione!
Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionarî, risultati di rapporti sociali non peranco acuiti in netti antagonismi di classe, ‒ persone, illusioni, fantasie, progetti, da cui non era libero il partito rivoluzionario avanti la rivoluzione di febbraio e da cui non la vittoria di febbraio poteva liberarlo, ma solamente una serie di disfatte.
In una parola: il progresso rivoluzionario non si fe’ strada colle tragicomiche sue conquiste immediate ma, al contrario, col sorgere d’una controrivoluzione serrata, possente, col sorgere d’un avversario, nel combattere il quale unicamente fu dal partito dell’insurrezione raggiunta la maturità di partito davvero rivoluzionario.
Dimostrare ciò è il tema delle pagine che seguono.

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