di
Le mille e una notte
Novelle arabe

Storia del principe Ahmed e della fata Pari-Banou

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Il Sultano delle Indie da parecchi anni aveva nella sua vecchiaia la soddisfazione di vedere che tre principi suoi figliuoli, degni imitatori delle sue virtù, con una principessa sua nipote, facevano l’ornamento della sua Corte. Il primogenito de’ principi si chiamava Hussain, il secondo Alì, il più giovane Ahmed e la principessa sua nipote Nouronnihar.

Il Sultano, zio della principessa, che si era proposto di maritarla, appena sarebbe stata in età di contrar parentado, con qualche principe de’ suoi vicini, cominciava a pensarvi seriamente, quando scorse che i tre principi suoi figliuoli l’amavano appassionatamente.

Egli ne ebbe un gran dolore, e questo perché la loro passione oltreché gl’impediva di contrarre il parentado che aveva meditato, lo metteva anche in un grande imbarazzo giacché pensava alla difficoltà di ottenere che i due cadetti almeno consentissero a cederla al primogenito.

Siccome trovò un’ostinazione insormontabile, li fece venire tutti e tre innanzi a lui, e loro tenne questo discorso:

— Figliuoli miei – disse – io trovo a proposito che andiate a viaggiare ciascuno separatamente in un paese diverso, di modo che non possiate incontrarvi; e come voi sapete che io son curioso di quanto può esservi di raro e singolare, prometto la principessa mia nipote a colui tra voi che mi porterà la rarità più straordinaria e più singolare. Per le spese di viaggio e per la compera della rarità di cui avrete a fare l’acquisto, io darò la stessa somma a ciascuno.

I tre principi risposero che erano pronti ad obbedire.

Il giorno appresso appena spuntò l’alba, dopo essersi abbracciati ed augurati reciprocamente un buon viaggio, salirono a cavallo, e presero ciascuno una strada diversa.

Il principe Hussain, il primogenito de’ tre fratelli, che aveva inteso dire meraviglie della grandezza, delle forze, delle ricchezze e dello splendore del regno di Bisnagar, prese la strada dalla parte del Mar delle Indie, e dopo un cammino di circa tre mesi giunse a Bisnagar.

Il principe Hussain, dopo aver percorso il quartiere delle rose, di strada in strada, colla mente piena di tante ricchezze che si erano presentate a’ suoi sguardi, ebbe bisogno di riposo.

Avendo manifestato questo suo bisogno ad un mercante, costui lo invitò molto cortesemente ad entrare ed a sedersi nella sua bottega.

Non era molto tempo che stava nella bottega, quando vide passare un banditore con un tappeto sul braccio, di circa sei piedi quadrati, che lo gridava trenta borse all’incanto; egli chiamò il banditore, e gli domandò di fargli vedere il tappeto, che gli parve d’un prezzo esorbitante, non solo per la sua piccolezza, ma anche per la sua qualità.

Quando ebbe ben bene esaminato il tappeto, domandò al banditore perché un tappeto da piedi sì piccolo e di sì poca apparenza, fosse messo ad un sì alto prezzo.

Il banditore, che prendeva il principe Hussain per un mercante, gli disse per risposta:

— Signore, se questo prezzo vi sembra eccessivo, la vostra meraviglia sarà molto più grande quando saprete che ho ordine di farlo salire fino a quaranta borse, e di non darlo se non a colui che me ne conterà la somma.

— Bisogna dunque – riprese il principe Hussain – che così valga per qualche pregio che non mi è noto.

— Voi l’avete indovinato, – rispose il banditore – e ne converrete quando saprete che sedendosi sopra immantinente si è trasportati da esso ove si desidera di andare e vi si giunge quasi nello stesso momento senza che vi si frapponga ostacolo di sorta.

Questo discorso fece sì che il principe delle Indie, considerando che la cagione principale del suo viaggio era di riportare al Sultano suo padre qualche rarità singolare, giudicò di doverlo comperare.

Contò al banditore la somma delle quaranta borse in oro, aggiungendovi un dono di venti monete d’oro.

In tal guisa il principe Hussain rimase possessore del tappeto, con una gioia estrema di aver acquistato appena giunto a Bisnagar, una cosa sì rara che doveva, siccome non ne dubitava, valergli il possesso di Nouronnihar.

Difatti egli teneva come una cosa impossibile che i principi suoi fratelli cadetti riportassero dal loro viaggio nulla che potesse paragonarsi con quello in cui egli si era felicemente imbattuto.

Senza fare più lungo soggiorno a Bisnagar, poteva, sedendosi sul tappeto, lo stesso giorno andare alla posta convenuta con essi; ma sarebbe stato obbligato di aspettarli troppo lungo tempo.

Ciò fu cagione che, curioso di vedere il Re di Bisnagar e la sua Corte, e di prendere cognizione delle forze, delle leggi, de’ costumi, della religione e dello stato di tutto il Regno, risolse d’impiegare alcuni mesi a soddisfare la sua curiosità.

Il principe Hussain avrebbe voluto fare un più lungo soggiorno alla Corte e nel Regno di Bisnagar potendovelo arrestare piacevolmente una infinità di meraviglie, fino all’ultimo giorno fissato, nel quale egli ed i Principi suoi fratelli eran convenuti di riunirsi; ma pienamente soddisfatto di ciò che aveva veduto, siccome era continuamente occupato dell’oggetto del suo amore, e siccome, dopo l’acquisto che aveva fatto, la bellezza ed i vezzi di Nouronnihar aumentavano di giorno in giorno la violenza della sua passione, gli sembrò che avrebbe l’animo più tranquillo e che sarebbe più vicino alla sua felicità quando si fosse avvicinato a lei.

Dopo aver soddisfatto il custode del Khan della pigione, egli stese il tappeto e vi si assise con l’ufficiale che aveva condotto seco; indi raccoltosi in sé medesimo, dopo aver seriamente desiderato d’esser trasportato al luogo ove i principi suoi fratelli dovevano convenire, s’accorse ben presto di esservi giunto; ed arrestandosi, senza farsi conoscere se non per un mercante, li aspettò.

Il principe Alì, fratello secondogenito del principe Hussain, che aveva fatto il disegno di viaggiare in Persia, per uniformarsi all’intenzione del Sultano delle Indie, ne aveva presa la strada con una carovana, colla quale s’era unito, dopo la sua separazione dai due Principi suoi fratelli.

Dopo un cammino di circa quattro mesi arrivò finalmente a Schiraz, capitale di quel vastissimo Regno.

Siccome avea stretta amicizia per istrada con un piccolo numero di mercanti, senza farsi conoscere se non per un gioielliere, prese albergo con essi nello stesso Khan.

L’indomani, mentre i mercanti mettevano in mostra i loro generi, il principe Alì, dopo aver cambiato d’abito, si fece condurre al quartiere ove si vendevano le pietre preziose, gli oggetti in oro, in argento, in broccato, stoffe di seta, tele fini e diverse altre rarità.

Tra tutti i banditori che andavano e venivano, carichi di differenti oggetti gridandoli all’incanto, non rimase poco sorpreso al vederne uno che teneva in mano un cilindro d’avorio, lungo circa un piede e della grossezza di poco di più di un pollice, ch’egli gridava a trenta borse.

Sul principio s’immaginò che il banditore non fosse nel suo buon senno; e per convincersene avvicinossi alla bottega di un mercante, e mostrandogli il banditore, gli disse:

— Signore ditemi, vi prego, se io non m’inganno questo uomo che grida un piccolo cilindro d’avorio a trenta borse, ha egli lo spirito sano?

— Signore – rispose il mercante – a meno che non lo abbia perduto da ieri, posso assicurarvi che è il più saggio di tutti i nostri banditori. Egli or ora ripasserà, noi lo chiameremo, e v’informerete voi stesso. Intanto sedetevi sul mio sofà e riposatevi.

Il principe Alì non ricusò l’offerta obbligante del mercante, e poco dopo il banditore ripassò.

Il mercante lo chiamò per nome dicendogli:

— Rispondete a questo signore, il quale vuol sapere se siete nel vostro buon senno per gridare a trenta borse un cilindro d’avorio.

Il banditore rivolgendosi al principe Alì, gli disse:

— Signore, voi non siete solo che mi tratti da pazzo, per cagione di questo cilindro; ma voi stesso giudicherete se lo sono quando ve ne avrò detta la proprietà, e spero che allora vi metterete un prezzo come coloro cui l’ho già mostrato, i quali avevano sì cattiva opinione di me. Primieramente, signore – proseguì il banditore, presentando il cilindro al Principe – osservate che questo è guarnito di una lente a ciascuna estremità, e considerate che, guardando per l’uno dei due lati qualunque cosa si possa desiderare di vedere, la si scorge immantinente!

— Mostratemi – continuò – per dove bisogna guardare, affinché me ne convinca.

Il banditore glielo mostrò.

Il principe desiderando vedere il Sultano delle Indie suo padre, lo scorse tosto in perfetta salute, seduto sul trono, in mezzo al suo Consiglio.

Poscia, siccome dopo il Sultano non aveva nulla di più caro al mondo della principessa Nouronnihar, così desiderò di vederla e la vide seduta innanzi alla sua tavoletta circondata dalle sue donne, ridente e di buon umore.

Il principe Alì non ebbe bisogno di altra prova per persuadersi esser quel cilindro l’oggetto più prezioso esistente non solo nella città di Schiraz ma anche in tutto l’universo.

Quando il principe Alì ebbe fatto questo acquisto, fu compreso da una gioia tanto grande, in quanto che i principi suoi fratelli com’ei se ne persuase, non avrebbero trovato nulla di così raro e di così degno di ammirazione; e per conseguenza la principessa Nouronnihar sarebbe la ricompensa delle fatiche del suo viaggio.

Ei non pensò più se non a prendere cognizione della corte di Persia senza farsi conoscere, ed a vedere quanto v’era di più curioso a Schiraz e nelle vicinanze, aspettando che la carovana con cui era venuto riprendesse tosto la strada delle Indie.

Ritornandosene colla medesima, giunse al luogo fissato ove il principe Hussain era già arrivato.

Entrambi aspettarono il ritorno del principe Ahmed.

Questi recatosi in Samarcanda fino dal giorno del suo arrivo, aveva imitato i due principi suoi fratelli, andando al Bezestein.

Appena entratovi, un banditore si presentò tosto a lui con un pomo artificiale in mano, gridandolo al prezzo di trentacinque borse.

Egli si arrestò dicendo:

— Mostratemi quel pomo, e ditemi quale virtù o quale proprietà tanto straordinaria possa avere per essere gridato ad un sì alto prezzo.

E il banditore porgendoglielo, acciocché l’esaminasse, gli disse:

— Signore, questo pomo, a guardarlo dall’esterno è ben poca cosa: ma se si considerano le proprietà, le virtù e l’uso ammirabile che se ne può fare pel bene degli uomini, si può dire che non ha prezzo, e chi lo possiede è certo d’avere un tesoro. Infatti, non vi è infermo afflitto da qualunque siasi malattia mortale, che non guarisca immediatamente. E ciò avviene nel modo più facile del mondo, cioè semplicemente facendolo aspirare alla persona inferma.

Mentre il banditore informava il principe Ahmed delle virtù del pomo artificiale, parecchie persone si arrestarono, confermando la verità delle sue parole.

E siccome una di esse manifestò d’avere un amico così pericolosamente ammalato da non più sperare della sua vita ed esser quella un’occasione di farne vedere l’esperienza al principe Ahmed, costui lo prese in parola, e disse al banditore che gliene avrebbe date quaranta borse, se guariva l’infermo in questione.

L’esperienza riuscì, e il principe, dopo aver contato le quaranta borse al banditore, il quale gli consegnò il pomo artificiale, attese la partenza della prima carovana per ritornare nelle Indie.

Il principe Ahmed, giunto al luogo dell’appuntamento, vi trovò i suoi due fratelli, i quali lo aspettavano ansiosamente.

Appena furono riuniti, Hussain nella sua qualità di primogenito, così disse:

— Fratelli miei, io vi dirò che la rarità da me portata dal viaggio che ho fatto al regno di Bisnagar, è il tappeto su cui son seduto. Esso è comune e senza appariscenza come ben vedete; ma quando vi avrò dichiarata qual è la sua virtù, sarete presi da un’ammirazione tanto più grande, in quanto che nulla avrete mai inteso di simile. Difatti, tale quale vi sembra chi vi è assiso sopra, e desidera di essere trasportato in qualche luogo per lontano che esso sia, vi giunge nel medesimo momento.

— Fratel mio – disse allora il principe Alì – questo cilindro d’avorio che vedete, come pure il vostro tappeto, a vederlo non sembra una rarità da meritare una grande attenzione. Io non l’ho pagato meno del vostro tappeto, e non sono meno contento del mio contratto di quello che voi lo siate del vostro. Giusto come siete, converrete meco che non sono stato ingannato quando saprete che guardando dall’uno dei capi, si scorge qualunque oggetto si desideri vedere. Io non voglio peraltro che stiate alla mia parola – continuò il principe Alì presentando il cilindro – eccolo, fatene l’esperienza!

Hussain prese il cilindro, e come ebbe aprossimato l’occhio al capo che il principe gli aveva indicato, con intenzione di vedere la principessa Nouronnihar e di sapere come ella stesse, i suoi due fratelli che avevano gli occhi fissi su di lui, furono stremamente maravigliati di vederlo tutto ad un tratto cangiar di colore, in modo che attestava una sorpresa straordinaria congiunta ad una grande afflizione.

Il principe Hussain, senza dar loro il tempo di domandargliene la cagione, disse:

— Principi, inutilmente voi ed io abbiamo intrapreso un viaggio sì penoso nella speranza di essere ricompensati col possesso della leggiadra Nouronnihar, poiché tra pochi momenti quell’amabile principessa non sarà più in vita. Io l’ho veduta adesso nel suo letto, circondata dalle sue donne e dai suoi eunuchi, che piangono e sembrano non aspettar altra cosa se non di vederla esalar lo spirito.

Quando il principe Ahmed ebbe preso il cilindro dalle mani di Alì, e che ebbe veduto la principessa Nouronnihar sì vicina alla fine de’ suoi giorni, prese la parola, e rivolgendola ai due principi suoi fratelli:

— Principi – disse – la principessa Nouronnihar, ch’è l’oggetto de’ voti di tutti quanti noi tre, è veramente in uno stato vicinissimo alla morte. Ma per quanto mi sembra, purché non perdiamo tempo, vi è ancora speranza di preservarla da questo momento fatale.

Allora il principe Ahmed trasse dal seno il pomo artificiale che aveva acquistato, e mostrandolo ai principi suoi fratelli, disse loro:

— Il pomo che vedete non m’ha meno costato del tappeto, e del cilindro d’avorio, che voi avete portato ciascuno dal vostro viaggio. Per non tenervi sospesi, vi dirò che esso ha la virtù di guarire immediatamente qualsivoglia ammalato fosse pure all’agonia. L’esperienza che ne ho fatta m’impedisce di dubitarne, e posso farvene vedere l’effetto a voi medesimi, nella persona della principessa Nouronnihar, se arriviamo in tempo per soccorrerla.

— Se non ci vuole altro che questo – rispose Hussain – non possiamo fare più sollecitamente che trasportandoci sul momento fino nella camera della principessa, colla virtù del tappeto.

Tosto, i principi fratelli s’assisero sul tappeto trovandosi immediatamente nella camera della principessa Nouronnihar. La loro presenza, sì poco aspettata, spaventò le donne e gli eunuchi della principessa, non comprendendo per quale meraviglia tre uomini si trovassero in mezzo ad essi.

Il principe Ahmed, non appena fu nella camera di Nouronnihar, e non appena ebbe veduta quella principessa moribonda, si alzò tosto da sopra il tappeto; la qual cosa fecero anche gli altri due principi, e s’avvicinò al letto, mettendole il suo pomo meraviglioso sotto le narici.

Alcuni momenti dopo la principessa aprì gli occhi, girò il capo guardando dall’una e dall’altra parte guardando le persone che la circondavano, e si pose a sedere sul letto chiedendo da vestirsi, colla stessa scioltezza e la stessa indifferenza come se non avesse fatto se non risvegliarsi dopo un lungo sonno.

Le donne le manifestarono subito, in un modo che indicava la lor gioia, che a’ tre principi suoi cugini, e particolarmente al principe Ahmed, andava debitrice d’aver ricuperata sì presto la sua salute.

Immantinente manifestando la gioia che aveva di riceverli, li ringraziò tutti insieme, ed il principe Ahmed in particolare.

Mentre la principessa si vestiva, i principi, uscendo dal suo appartamento, andarono a prostrarsi a’ piedi del Sultano loro padre.

Dopo i complimenti dall’una parte e dall’altra, i principi gli presentarono ciascuno la rarità riportata.

Il Sultano delle Indie, dopo aver ascoltato con benevolenza quanto i principi gli dissero, restò qualche tempo in silenzio, come se avesse pensato a quel che aveva loro a rispondere.

Egli interruppe finalmente il suo silenzio, e loro tenne questo discorso pieno di saviezza:

— Figliuoli miei, io dichiarerei uno di voi con gran piacere vincitore del concorso se potessi farlo con giustizia, ma giudicate voi stessi se lo posso. A voi, principe Ahmed egli è vero che la principessa mia nipote è debitrice della sua guarigione ed al vostro pomo artificiale: ma vi domando, gliel’avreste voi procurata se pria il cilindro d’avorio del principe Alì non vi avesse fatto conoscere il pericolo in cui versava, e se il tappeto del principe Hussain non avesse servito a venirla prontamente a soccorrere? Riguardo a voi, principe Alì, il vostro cilindro d’avorio ha servito a conoscere, a voi ed a’ principi vostri fratelli, che stavate sul punto di perdere la principessa vostra cugina, ed in ciò bisogna confessare ch’ella vi ha una grandissima obbligazione. Bisogna però che conveniate che questa cognizione sarebbe stata inutile, senza il pomo artificiale e senza il tappeto. E in quanto a voi, principe Hussain, la principessa sarebbe un’ingrata, se non vi mostrasse la sua riconoscenza, in considerazione del vostro tappeto, che si è trovato sì necessario per procurarle la guarigione! Ma considerate che non sarebbe stato di nessun uso, se non aveste avuto cognizione della malattia mediante il cilindro d’avorio del principe Alì, e se il principe Ahmed non avesse adoperato il suo pomo artificiale per guarirla. Stando la cosa in questi termini, vedete bene eziandio che spetta a me ricorrere ad un’altra via per determinarmi nella scelta che debbo fare tra voi. Or siccome vi è ancora del tempo fino alla notte, lo voglio fare fin da oggi. Uscite dunque prendete ciascun di voi un arco ed una freccia, e andate fuori della città alla gran pianura degli esercizi dei cavalli. Io vado a prepararmi per venirvi, e dichiaro che darò la principessa Nouronnihar per isposa a colui tra voi che avrà tirato più lontano.

I tre principi vennero muniti ciascuno di un arco e di una freccia, che consegnarono ad un loro ufficiale, i quali si eran tosto radunati appena avevan saputo la notizia del loro ritorno, ed andarono alla pianura degli esercizi dei cavalli seguiti da innumerevole folla di popolo.

Il Sultano non si fece aspettare; ed appena fu giunto il principe Hussain come il primogenito, prese il suo arco e la sua freccia e tirò il primo; il principe Alì tirò dopo, e la freccia si vide cadere più lontano di quella del principe Hussain; il principe Ahmed tirò l’ultimo, ma la freccia si perdé di vista e nessuno la vide cadere.

Si corse, si cercò, ma qualunque cosa se ne facesse, anche dallo stesso Ahmed, non fu possibile di trovarla né vicina, né lontana.

Quantunque fosse credibile esser lui che avesse meritata la principessa Nouronnihar, e dovessergli essere accordata, siccome era necessario nondimeno che la freccia si trovasse per rendere la cosa evidente e certa, così ad onta di qualunque rimostranza egli facesse al Sultano, costui non lasciò di giudicare in favore di Alì. E dati gli ordini per i preparativi delle solennità, le nozze, pochi giorni dopo si celebrarono con grande magnificenza.

Il principe Hussain ne ebbe un dispiacere tanto sensibile che abbandonò la corte, rinunziò al diritto che aveva di succedere alla corona per andare a farsi Dervis, ed a mettersi sotto la disciplina d’un famosissimo Scheich.

Il principe Ahmed, per la stessa ragione del principe Hussain, non assistette nemmen’egli alle nozze del principe Alì colla principessa Nouronnihar, ma non rinunziò al mondo come lui.

Siccome non poteva comprendere in qual guisa la freccia che aveva scoccata, fosse, per così dire, divenuta invisibile, senza farsi scorgere da’ suoi, e risoluto a cercarla in modo che non avesse nulla a rimproverarsi, andò al luogo in cui quelle del principe Hussain e del principe Alì erano stato ragunate, e da quel punto, camminando a destra ed a sinistra, andò sì lungi senza trovare quel che cercava, da giudicare che la durata fatica fosse stata inutile.

Attirato nondimeno quasi suo malgrado, non lasciò di proseguire la sua strada fino ad alcune roccie molto alte, ove sarebbe stato obbligato a volgersi quando avesse voluto passare innanzi, e quelle roccie, estremamente ripide, erano situate in un luogo sterile, a quattro leghe lontano dal luogo da cui era partito.

Avvicinandosi a quelle rocce, il principe Ahmed scorse una freccia che raccolse, e dopo averla considerata, fu assai meravigliato nel riconoscere ch’era la stessa scoccata da lui.

— Vi ha del mistero – diss’egli tra sé – in una cosa sì straordinaria, e questo mistero non può esser se non vantaggioso per me. La fortuna, dopo avermi afflitto, privandomi del possesso di un bene che doveva, come io lo sperava, formare la felicità della mia vita, me ne riserba forse un altro per mia consolazione.

Immerso in questo pensiero, siccome la faccia delle roccie si avanzava in punta, formando più grotte, così il principe entrò in una di quelle grotte; e siccome ei guardava in ogni angolo, una porta di ferro si presentò senza apparenza di serratura.

Ei temette al bel principio che fosse chiusa; ma spingendola si aprì di dentro, e vide una discesa in dolce declivio, sensa gradini, per dove calò tenendo la freccia in mano.

Quasi nello stesso tempo una signora d’un aspetto e d’un portamento maestoso, e d’una bellezza cui la ricchezza delle stoffe ond’era vestita e le pietre preziose di cui era ornata ben si addicevano, si avanzò fino sul vestibolo accompagnata da una schiera di donne.

Appena il principe Ahmed ebbe scorto la signora, avanzò il passo per andare a renderle i suoi omaggi; e la signora, dal canto suo, che lo vide venire, lo prevenne con queste parole:

— Principe Ahmed, avvicinatevi, e siate il benvenuto.

La sorpresa del principe non fu piccola allorché si intese chiamare per nome. Finalmente inginocchiatosi innanzi la signora, e rialzatosi disse:

— Signora, senza commettere una inciviltà, potrei domandarvi per quale avventura accade, come voi stessa mi fate conoscere, che io non sia ignoto a voi, che siete tanto a noi vicina, senza che ne abbia avuta mai cognizione, tranne che oggi?

— Principe – rispose ella – voi siete sorpreso, dite, che io conosca voi senza che voi conosciate me; ma la vostra sorpresa cesserà quando avrete saputo chi io mi sia. Voi non ignorate senza dubbio una cosa, che la vostra religione v’insegna: la quale è che il mondo sia abitato così da Genî come da uomini. Io sono figliuola d’uno di questi Geni, de’ più potenti e de’ più distinti fra loro, ed il mio nome è Pari-Banou. Laonde voi dovete cessar d’esser sorpreso che io conosca voi, il Sultano vostro padre, i principi vostri fratelli, e la principessa Nouronnihar. Io sono informata ancora del vostro viaggio, di cui potrei dirvi tutti i particolari, poiché io ho fatto mettere in vendita a Samarcanda il pomo artificiale che voi avete comperato; io a Bisnagar il tappeto che il principe Hussain vi ha trovato; ed io a Schiraz il cilindro di avorio che il principe Alì vi ha acquistato. Ciò che deve bastarvi per farvi comprendere che io non ignoro nulla di quel che vi riguarda. La sola cosa che vi aggiungo è, che mi siete sembrato degno d’una sorte migliore di quella di possedere la principessa Nouronnihar, e che per farvi incamminare, siccome io mi trovava presente allorché scoccaste la freccia che vedo voi tenete, avendo preveduto che non sarebbe passata oltre quella del principe Alì, così la presi in aria, e le detti il movimento necessario finché venisse a percuotere la roccia presso cui l’avete trovata, non spetta che a voi di profittare dell’occasione che vi si presenta di divenir più felice!

Il principe non durò fatica a comprendere di quale felicità ella intendesse parlare.

— Signora – rispose Ahmed – quand’anche non avessi per tutta la mia vita che la felicità d’essere vostro schiavo, e l’ammiratore di tanti vezzi, pure mi stimerei il più felice di tutti i mortali. Perdonate l’audacia che ho di domandarvi questa grazia, e non isdegnate, ricusandomela, di ammettere nella vostra Corte un principe il quale si dedica tutto a voi.

— Principe – soggiunse la fata – siccome è lungo tempo che io sono padrona della mia volontà, col consentimento de’ miei parenti, così non è già quale schiavo che voglio ammettervi nella mia Corte, ma quale padrone della mia persona, di tutto ciò che mi appartiene e che può appartenermi, insieme a me, dandomi la vostra fede, e volendo aggradirmi per vostra sposa.

Il principe Ahmed, senza risponder nulla a questo discorso della Fata, e penetrato di riconoscenza, credette di non poter meglio dimostrargliela che avvicinandosi per baciarle il lembo della veste; ma ella non gliene diede il tempo, e presentandogli la mano, che egli baciò, ritenendo e stringendo la sua, gli disse:

— Principe Ahmed, non mi date voi la vostra fede com’io vi do la mia?

— Eh signora – rispose il principe fuori di sé per la gioia – che potrei far di meglio che mi facesse maggior piacere! Sì, mia Sultana, mia regina; io ve la do col mio cuore senza riserva.

— Quand’è così, – riprese la Fata – voi siete il mio sposo ed io sono vostra. I matrimoni non si contraggono tra noi con altre cerimonie, e sono più fermi ed insolubili che non lo sieno tra gli uomini, ad onta delle formalità che essi richiedono.

A capo di sei mesi il principe Ahmed, che aveva sempre amato ed onorato il Sultano suo padre, concepì un gran desiderio di saper notizie di lui, e siccome non poteva soddisfarlo se non assentandosi per andarne in traccia egli medesimo, ne parlò a Pari-Banou in un colloquio, pregandola di volerglielo permettere.

Questo discorso inquietò la Fata, la quale temette che fosse un pretesto per abbandonarla, e però gli disse:

— In che posso io avervi cagionato malcontento per obbligarvi a domandarmi questo permesso? Sarebb’egli possibile che aveste dimenticato di avermi data la vostra fede, e che non amaste più me, che vi amo tanto appassionatamente?

Ahmed, che l’amava in cuore tanto perfettamente quanto ne l’assicurava colle sue parole, cessò d’insistere davvantaggio sul permesso che le aveva domandato e la Fata gli manifestò quanto fosse soddisfatta della sua sottomissione.

Il Sultano delle Indie, in mezzo a’ godimenti fatti in occasione delle nozze del principe Alì e della principessa Nouronnihar, era stato sensibilmente afflitto dell’allontanamento de’ due altri principi suoi figliuoli.

Non istette lungo tempo ad essere informato del partito che il principe Hussain aveva preso di abbandonare il mondo e del luogo che aveva scelto per ritirarsi.

Fece tutte le diligenze possibili per aver novelle del principe Ahmed; spacciò corrieri in tutte le provincie de’ suoi stati, con ordine ai Governatori di arrestarlo e di obbligarlo a ritornare alla Corte; ma le cure che si dette non ebbero il successo che aveva sperato, e le sue pene invece di diminuire, non fecero che aumentare.

Il gran Visir, non meno affezionato alla persona del Sultano, che zelante nell’adempiere l’amministrazione dello stato, pensando a’ mezzi di apportargli sollievo, si ricordò di una maga di cui si dicevano maraviglie, e propose di farla venire e di consultarla.

Il Sultano vi acconsentì, ed il gran Visir, dopo averla mandata a cercare, gliela condusse egli medesimo. Il Sultano disse alla Maga:

— L’afflizione in cui sono dopo le nozze del principe Alì mio figliuolo, e della principessa Nouronnihar mia nipote, e dell’assenza del principe Ahmed è così conosciuta, che tu non l’ignorerai senza dubbio. Colla tua arte e colla tua abilità non potrai dirmi ciò che n’è divenuto?

La Maga tornò l’indomani e disse al Sultano:

— Sire, qualunque diligenza io abbia usata, servendomi dell’arte mia per obbedire alla Maestà Vostra su ciò che ella desidera di sapere, non ho potuto trovare altra cosa, se non che il principe Ahmed non è morto; la cosa è certissima e può assicurarsene. Quanto al luogo ove può essere, è quello che non ho potuto scoprire.

Il Sultano delle Indie fu obbligato a contentarsi di questa risposta.

Per ritornare al principe Ahmed, egli parlò sì spesso alla fata Pari-Banou di suo padre, senza mostrar davvantaggio il desiderio che aveva di vederlo, che ben presto ella comprese il suo disegno quale fosse.

Ella gli disse un giorno:

— Principe, il permesso che mi avete domandato di andar a vedere il Sultano vostro padre mi aveva fatto concepire un giusto timore, che non fosse un pretesto per darmi un segno della vostra incostanza, e per abbandonarmi; ma presentemente, convinta affatto dalle vostre parole, di poter sicura riposarmi sopra la vostra costanza e sulla stabilità del vostro amore, cangio di sentimento, e vi accordo volentieri questo permesso.

Quando tutto fu pronto, il principe Ahmed pigliò congedo dalla Fata abbracciandola, e rinnovandole la promessa di ritornare quanto prima.

Fugli condotto un cavallo, ch’essa avevagli fatto tenere apparecchiato, il quale, oltre all’essere adorno di ricchissimi arnesi, era più bello e di maggior pregio di qualunque altro che fosse nelle scuderie del Sultano delle Indie.

Egli in leggiadrissima maniera lo salì, con gran piacere della Fata, e, dopo averle dato l’ultimo addio, se ne partì.

Non essendo la strada che conduceva alla capitale delle Indie molto lunga, il principe Ahmed poco tempo v’impiegò a giungervi.

Subito ch’egli vi entrò, il popolo, giubilante di rivederlo, lo accolse con acclamazioni, ed in folla l’acompagnò fino al palazzo del Sultano, il quale lo accolse e con gran giubilo lo abbracciò.

Il principe Ahmed non si fermò più di tre giorni alla Corte del Sultano suo padre; nel quarto partissene di buon mattino, e la fata Pari-Banou lo rivide con altrettanto maggior giubilo, in quanto ch’essa, non aspettavasi che sì in breve dovesse ritornare.

Un mese dopo il ritorno del principe Ahmed, come la fata Pari-Banou ebbe osservato che da quel tempo questo principe parlato non le aveva del Sultano quasi più non fosse, mentre prima tanto spesso gliene parlava, essa giudicò che se ne astenesse per la considerazione e stima che per lei nutriva.

Laonde ella colse l’occasione un giorno di così parlargli:

— Principe, ditemi, avete voi posto in dimenticanza il Sultano vostro padre? Non vi ricordate forse più della promessa che gli avete fatta di andarlo di quando in quando a vedere?

Il principe Ahmed partissene il giorno seguente collo stesso accompagnamento, ma più splendido; ed egli stesso, salito sopra un bellissimo cavallo ben bardato, e vestito con magnificenza maggiore della prima volta, venne accolto dal Sultano collo stesso giubilo e colla stessa soddisfazione.

Continuò egli per molti mesi a visitarlo, e sempre in equipaggio più ricco e più superbo.

Finalmente certi Visir favoriti del Sultano, i quali giudicarono della grandezza e del potere del principe Ahmed, dai contrassegni che apparir facevano, abusarono della libertà che il Sultano dava loro di parlargli per fargli nascere sospetti contro di quello.

Rappresentarongli essi che la buona prudenza voleva che egli sapesse ove il principe suo figliuolo facesse il suo soggiorno, donde ricavasse il mezzo di fare una tale spesa, quando assegnatogli non aveva né appannaggio, né una sicura rendita, e che non sembrava venir alla Corte se non per rimproverarlo, affettando di far vedere ch’egli non aveva bisogno delle sue liberalità per vivere da principe, e che finalmente era da temere che egli non facesse sollevare i popoli per tentare di balzarlo dal trono.

Il Sultano delle Indie risolse di far indagare le traccie del principe Ahmed, senza darne cognizione alcuna al suo gran Visir al quale uopo fece venir la Maga, alla quale disse:

— Tu significata mi hai la verità, quando mi hai assicurato che il mio figliuolo Ahmed non era morto, e te ne conservo distinto obbligo. Un altro piacere mi devi fare. Dopo che l’ho ritrovato, e che di mese in mese se ne viene alla mia corte, ottenere non ho potuto da lui che mi partecipi in qual luogo stabilito si sia, né importunarlo ho voluto, perché contro sua voglia mi palesasse il segreto. Ma io ti credo sufficientemente capace di appagare pienamente la mia curiosità, senza che né egli né veruno della mia Corte nulla saper ne possano. Tu sai ch’egli ora qui si trova, essendo solito di partirsene senza prender congedo né da me né da veruno della mia Corte; però, senza perder tempo, va’ subito dietro alle sue traccie, e con tanta accuratezza osservalo, ch’esser certa tu possa ov’esso ritirasi, e portamene la risposta.

Nell’uscir dal palazzo del Sultano, come la Maga saputo aveva in qual luogo il principe Ahmed ritrovata avesse la sua freccia, subito vi andò, e si nascose fra i dirupi.

Nel giorno seguente, allo spuntar dell’alba, il principe Ahmed se ne partì senza essersi congedato dal Sultano.

La Maga che lo vide venire, lo accompagnò cogli occhi, finché lo perdette di vista col suo accompagnamento.

Come quei dirupi formavano una barriera insuperabile ai mortali, così a piedi come a cavallo, tanto erano scoscesi, la Maga giudicò una delle due: o che il principe si ritirasse in una caverna, o in qualche luogo sotterraneo, in cui facessero il loro soggiorno i Genî e le Fate.

Quando ebbe giudicato che il principe e le sue genti dispersi esser dovevano, e rientrati o nella caverna o nel sotterraneo secondo che aveva immaginato, uscì essa dal luogo ove nascosta erasi, ed andossene addirittura nella grotta, ove entrar li aveva veduti.

Essa vi entrò, ed inoltratasi fino a che terminavasi in molti andirivieni, guardò da tutte le parti, andando e ritornando molte volte per i medesimi luoghi; ma nonostante la sua diligenza, ella non vide alcuna apertura di caverna, non che la porta di ferro, la quale non era sfuggita alla ricerca del principe Ahmed, poiché quella porta solamente era visibile a certuni, la presenza dei quali esser poteva grata alla fata Pari-Banou.

La Maga ritornò a renderne parte al Sultano, e terminando di fargli il racconto delle sue investigazioni, soggiunse:

— Sire, come la Maestà Vostra può comprenderlo, dopo quanto ho avuto l’onore di significarle, non mi sarà difficile di darle tutta la soddisfazione ch’ella può desiderare, riguardo alla condotta del principe Ahmed. Presentemente non le dirò il mio parere, amando meglio di farglielo conoscere in una maniera ch’ella dubitar non ne possa. Per giungervi non le ricerco se non tempo e sofferenza.

Il Sultano le disse:

— Tu sei la padrona, va’ ed opera come a proposito giudicherai, ch’io aspetterò con sofferenza l’effetto delle tue promesse.

E, per maggiormente incoraggiarla, la regalò d’un diamante d’un valore grandissimo. Siccome il principe Ahmed, dacché aveva ottenuta dalla fata Pari-Banou la permissione di andar a corteggiare il Sultano delle Indie, tralasciato non aveva di regolarmente andarvi una volta al mese, così la Maga, la quale non lo ignorava, aspettò che il mese che scorreva fosse terminato. Un giorno o due prima che finisse non trascurò di andare a’ piè dei dirupi, nel luogo in cui aveva perduto di vista il principe e le sue genti, e quivi aspettò.

Nel giorno seguente il principe Ahmed uscì al suo solito dalla porta di ferro collo stesso accompagnamento che usava seguirlo, e giunse vicino alla Maga, che egli non conosceva per quella che fosse.

Appena ebbe veduto ch’ella stava coricata col capo appoggiato al dirupo, e che si lamentava come una persona che molto patisse, si volse per avvicinarsi a lei, e ricercolle quale fosse il suo male, e ciò che far potesse per esserle di sollievo.

L’astuta maga, senza alzare il capo, guardando il principe in una maniera tale da accrescere la compassione di che era già penetrato, rispose con parole interrotte come se avesse una gran difficoltà di respirare, ch’ella era partita dalla casa per andare alla città, e che per istrada era stata assalita da una febbre tanto violenta che finalmente le forze le erano mancate, e che era stata costretta a fermarsi.

— Buona donna – rispose il principe Ahmed – non siete tanto lontana dal soccorso del quale avete bisogno quanto voi lo credete. Son pronto a darvene le prove, ed a mettervi al coperto molto qui vicino, o in un luogo del quale si avrà per voi non solamente tutta la possibile premura, ma ancora ove ritroverete una sollecita guarigione.

Nello stesso tempo due cavalieri del principe scesero da cavallo, l’aiutarono a rialzarsi, e la posero in groppa.

Nel mentre ch’essi risalivano a cavallo, il principe ritornato indietro, si pose alla testa, e giunse in breve alla porta di ferro, che venne aperta da uno de’ cavalieri, il quale era andato innanzi.

Egli entrò, e giunto che fu nella corte del palazzo della Fata, senza por piede a terra, spedì uno de’ cavalieri per avvisarla che voleva parlarle.

— Mia principessa – le disse accennandole la Maga che due delle sue genti avevan posto a terra – vi prego di avere per questa buona donna la stessa compassione che avreste per me.

La fata Pari-Banou, che aveva tenuti gli occhi fissi sulla supposta inferma nel mentre che il principe Ahmed le parlava, comandò a due delle sue donne, le quali accompagnata l’avevano, di levarla dalle mani dei due cavalieri, di condurla in un appartamento del palazzo e di avere per lei molta cura.

Mentre quelle due donne eseguivano l’ordine che avevano ricevuto, Pari-Banou si accostò al principe Ahmed, ed abbassando la voce:

— Principe – gli disse – non mi sembra che quella donna sia tanto inferma quanto ella fa apparire, e molto m’inganno s’ella non è qui venuta a bella posta ed espressamente per apportarvi dispiaceri grandissimi.

Questo discorso della Fata non cagionò alcuno spavento al principe Ahmed:

— Mia principessa – rispose egli – come ricordo non aver fatto male alcuno a chicchessia, né avendo disegno di farne, così non credo pure che alcuno vi sia il quale formar possa il pensiero di cagionarmene.

Ciò detto congedossi dalla Fata.

Le due donne che la Fata incaricato aveva dei suoi ordini, avevano condotta la Maga in un bellissimo appartamento. Quando l’ebbero aiutata a coricarsi, una delle due donne se ne uscì, e poco tempo dopo ritornò tenendo un vaso, ripieno di squisitissimo liquore.

La Maga pigliò il vaso di porcellana, tracannò il liquore scuotendo e dibattendo il capo come si fosse fatta una grande violenza.

Ricoricata che fu, le due donne accuratamente la coprirono, e:

— Statevi in riposo – le disse quella la quale avevale apprestata la bevanda – fra un’ora circa ritorneremo.

Giunsero queste nel tempo che avevano indicato, e ritrovarono la Maga alzata, vestita, ed assisa sopra lo strato, dal quale alzossi, vedendole entrare:

— Oh che ammirabile bevanda! – esclamò essa – ha prodotto il suo effetto in meno di quello che mi avevate detto, ed è già qualche tempo che vi aspettava con impazienza, per pregarvi di condurmi alla vostra caritatevole padrona, acciò la ringrazî della sua bontà.

Le due donne, Fate come la loro padrona, la condussero, per mezzo a molti appartamenti, nel salone più magnifico e più riccamente addobbato che fosse nel palazzo.

Pari-Banou stava in questo salone, assisa sopra un trono d’oro massiccio, arricchito di diamanti, di rubini, e di perle di una straordinaria grossezza, accompagnata a destra ed a sinistra da un gran numero di Fate, tutte quante di una singolare bellezza.

Al vedere cotanto splendore, la Maga non restò solamente abbagliata, ma stupefatta a segno, che dopo essersi prostrata avanti al trono, non le fu possibile di aprir la bocca per ringraziare la Fata, come se l’era proposto. Pari-Banou gliene risparmiò la pena, dicendole:

— Buona donna, ho gran piacere che siasi presentata l’occasione di giovarvi, e di rendervi in istato di proseguire il vostro viaggio. Io non voglio trattenervi; ma prima però che partiate non vi rincrescerà di vedere il mio palazzo; perciò andate colle mie donne, esse vi accompagneranno, e ve lo faranno vedere.

La Maga, sempre stupefatta, prostrossi per la seconda volta colla fronte sopra il tappeto che copriva il basso del trono, e congedossi senza avere né forza né ardire di profferire una sola parola, lasciandosi condurre dalle due Fate che l’accompagnavano.

Vide ella con istupore, e con esclamazioni continue, gli appartamenti ad uno ad uno. Le due Fate le dissero, che quanto sinora aveva considerato e’ non era riguardato che una semplice ombra, della grandezza e nel potere della loro padrona, e che nella grande estensione de’ suoi Stati, possedeva altri palazzi.

Parlandole di molte altre particolarità esse la condussero fino alla porta di ferro, per la quale il principe Ahmed l’aveva condotta; ed apertala, le dissero che le auguravano un felice viaggio, dopo che la Maga ebbe tolto congedo da esse, e che l’ebbe ringraziate della pena ch’eransi data.

Dopo di essersi avanzata qualche passo, la Maga si voltò per osservare la porta e per riconoscerla; ma invano, perché erasi resa invisibile. Laonde, a riserva di questa sola circostanza, andò dal Sultano, molto contenta di sé stessa di avere tanto bene adempiuta, nella maniera che proposta erasi, la commissione della quale era stata incaricata.

Il Sultano, avvisato del suo arrivo, venir la fece.

La Maga narrò al Sultano delle Indie tutto quanto gli era successo poi soggiunse:

— Sire che pensa mai la Maestà Vostra di queste inaudite ricchezze della Fata? In quanto a me, o Sire, supplico la Maestà Vostra di perdonarmi se mi prendo la libertà di dimostrarle che son presa da grande spavento quando considero la disgrazia che può accadergliene. Voglio credere che il principe Ahmed, in considerazione della sua ottima indole, non sia da sé stesso capace di nulla intraprendere contro la Maestà Vostra; ma chi può ripromettersi che la Fata, colle sue lusinghe, coi suoi vezzi, e col potere che già ha acquistato sopra lo spirito di suo marito, ispirar non gli possa il disegno pernicioso di balzare dal trono la Maestà Vostra, e d’impadronirsi della corona del regno delle Indie?

Per quanto persuaso fosse il Sultano delle Indie dell’ottima indole del principe Ahmed, non lasciò di restare assai penetrato dal discorso della Maga, sì che le disse congedandola:

— Io ti ringrazio della pena che ti sei data e del tuo salutevole consiglio.

Il giorno seguente, quando il principe Ahmed si fu presentato davanti al Sultano suo padre, il quale trattenevasi co’ suoi favoriti, e che ebbe occupato il luogo più vicino alla sua persona, la sua presenza non impedì che la conversazione sopra molte cose indifferenti non continuasse per qualche tempo ancora.

Il Sultano poscia principiò il discorso, e rivolgendosi al principe Ahmed, gli disse:

— Figliuol mio, quando voi veniste a levarmi dalla profonda mestizia in cui la lunghezza della vostra lontananza mi aveva immerso, mi faceste un mistero del luogo che avevate scelto per vostra dimora; e molto consolato dal vedervi, e di sapere che eravate contento del vostro destino, non volli penetrare nel vostro segreto, quando compresi che non lo bramavate. Non so per altro qual ragione abbiate potuto avere per trattare di tal sorta un padre, il quale, allora come oggi, vi assicura della parte che prende alla vostra felicità. So benissimo qual sia questa felicità, me ne rallegro con voi, ed approvo il partito che avete seguito di sposare una Fata cotanto degna di essere amata, cotanto ricca, cotanto possente, come da buona parte ho saputo. Con tutto il mio potere non mi sarebbe stato possibile di procurarvi un matrimonio simile. Nell’alto posto al quale siete innalzato, e che invidiato esser potrebbe da ogni altro fuorché da un padre come sono io, vi chiedo non solamente che continuiate a viver meco in buona armonia, come al presente avete sempre fatto, ma ancora ad impegnare tutto il vostro credito che aver potete presso della vostra Fata, per ottenermi la sua assistenza nei bisogni che aver potrei, e da questo momento non vi rincrescerà che mi risolva di fare esperimento di questo credito. Voi non ignorate a quale spesa eccessiva, senza parlare dell’imbarazzo, i miei generali, i miei ufficiali subalterni, ed io stesso, siamo obbligati tutte le volte che uscir dobbiamo in campo, in tempo di guerra, per provvederci di padiglioni e di tende, di cammelli e di altri animali da carico per il trasporto. Se maturamente considerate il piacere che mi fareste, son persuaso che non avrete pena ad operare in maniera ch’ella vi accordi un padiglione da stringersi nella mano, e sotto al quale tutta la mia armata possa starsene al coperto, particolarmente quando le avrete fatto conoscere che questo sarà per me destinato.

Il principe Ahmed non aveva mai pensato che il Sultano suo padre, dovesse esiger da lui una cosa simile, la quale gli parve difficilissima, per non dire impossibile.

— Sire – rispos’egli – se ho fatto un mistero alla Maestà Vostra di ciò che accaduto mi era, e del partito da me accettato, dopo avere ritrovata la mia freccia – il che non mi parve che molto importasse a voi di essere narrato – quantunque ignoro per qual mezzo questo mistero le sia stato rivelato, non posso nulladimeno tenerle celato che la relazione fattagliene è vera. Io sono marito della Fata della quale l’è stato parlato; io l’amo, e son persuaso ch’ella egualmente mi ama; ma per ciò che riguarda al credito che ho preso per lei, come la Maestà Vostra crede, nulla dir ne posso, e non solamente di questo non ho fatto l’esperimento, ma non ne ho avuto nemmeno il pensiero.

Il Sultano delle Indie replicò al principe Ahmed:

— Figliuol mio, sarebbe sommo il mio rincrescimento se ciò che vi chieggo potesse somministrarvi motivo di cagionarmi il dispiacere di non più rivedervi. Scorgo molto bene che voi non conoscete il potere che ha un marito sopra di una moglie. La vostra farebbe vedere di non amarvi che molto debolmente, se col potere che gode, come Fata, vi negasse una cosa di tanto poca conseguenza, quanto quella che vi prego di chiederle per mio amore.

Il principe Ahmed avrebbe amato meglio che richiesto gli avesse tutt’altro che di esporlo a dispiacere alla sua cara Pari-Banou, e pel dolore ch’egli ne concepì, partì dalla Corte due giorni prima di quello che fosse solito.

Giunto che fu, la Fata, la quale fino allora l’aveva sempre veduto presentarsele innanzi con sembiante allegro, gli domandò la cagione del mutamento che in lui scorgeva.

Il principe Ahmed, non potendo resistere più lungo tempo alle vive istanze della Fata, le disse:

— Signora, il cielo prolunghi la vita del Sultano mio padre, e lo benedica fino al termine de’ suoi giorni! L’ho lasciato vivo, ed in perfetta salute. So che non è già questo che cagiona il mio rammarico, del quale accorta vi siete. Il Sultano stesso è quello che n’è la vera ragione, e ne sono altrettanto più afflitto, in quanto che mi pone nella necessità dolorosa di esservi importuno. Primieramente, o signora, voi ben sapete la mia premura grandissima di occultargli la felicità che ho avuta di vedervi, di amarvi, di meritare dalla vostra buona grazia il vostro amore, e di ricevere la vostra fede, dandovi la mia: né so nulladimeno con qual mezzo ne sia stato informato.

La fata Pari-Banou interruppe a questo punto il principe Ahmed, dicendo:

— Ed io lo so: ricordatevi di quanto vi ho detto della donna che vi ha dato ad intendere di essere inferma, e della quale aveste compassione; ella stessa è quella che ha rapportato al Sultano vostro padre ciò che voi gli avete nascoso. Io vi aveva detto ch’ella era tanto inferma quanto lo eravamo voi ed io, ed ella ne ha fatto vedere la verità.

— Signora – proseguì il principe Ahmed – voi avete potuto osservare, che fino ad ora contento solo di essere amato, di altro favore che vi ho pregata. Dopo il possesso di una moglie cotanto amabile, che mai bramar davvantaggio potrei? Non ignoro però quale sia il vostro potere; ma erami fatto un debito di guardarmi bene dal farne l’esperimento. Considerate dunque, ve ne scongiuro, che non sono io, ma il Sultano mio padre, il quale vi fa l’indiscreta ricerca, per quanto mi sembra, di un padiglione che lo ponga a coperto delle ingiurie del tempo quando va a mettersi in campo egli con tutta la sua corte e tutta la sua armata, e che questo tengasi nelle mani.

— Principe – ripigliò la Fata sorridendo – molto mi rincresce che tanto poca cosa vi abbia cagionato l’imbarazzo ed il tormento di spirito che conoscer mi fate. Ponete dunque lo spirito in calma, e siate persuaso, che invece di importunarmi, mi farò sempre un grandissimo piacere di accordarvi quanto bramar potete che io operi per vostro amore.

Così terminando, la Fata comandò che le si facesse venir la sua tesoriera, la quale venuta:

— Nourgiham – le disse la Fata, essendo questo il nome della tesoriera – portami il padiglione più grande che ritrovasi nel mio tesoro.

Nourgiham pochi momenti dopo ritornò e portò un padiglione, il quale non solamente stringevasi in una mano, ma ancora che la mano nascondere poteva serrandola, e presentollo alla Fata sua padrona, la quale lo prese e lo consegnò nelle mani del principe Ahmed affinché lo considerasse.

Il principe Ahmed lo pigliò, ed il giorno seguente, senza alcun ritardo, salì a cavallo, ed accompagnato del suo solito seguito, andò dal Sultano suo padre.

Il Sultano, il quale erasi persuaso che un padiglione, tale quale ricercato lo aveva, fosse cosa oltre al possibile, restò grandemente sorpreso della sollecitudine del principe suo figliuolo.

Ricevette egli il padiglione, e dopo di averne considerata la picciolezza, fu grande il suo stupore, dal quale ebbe pena di rinvenire quando l’ebbe fatto stendere nella gran pianura che detta abbiamo, e che ebbe veduto due altri eserciti, egualmente numerosi che il suo, molto comodamente potervisi stare al coperto.

In apparenza il Sultano delle Indie attestò al principe l’obbligo che gli aveva di un regalo cotanto magnifico, pregandolo di ringraziare distintamente la Fata Pari-Banou per parte sua; e per dimostrargli maggiormente la stima che ne faceva comandò che fosse custodito diligentemente nel suo tesoro; ma in sé stesso concepì un’invidia più crudele di quella che i suoi adulatori e la Maga inspirata avevangli, considerando che col favor della Fata il principe suo figliuolo poteva eseguir cose, le quali erano infinitamente superiori al proprio potere, nonostante la sua grandezza e le sue ricchezze. Sicché, più incoraggiato di prima a nulla trascurare per fare in maniera che egli perisse, consigliossi colla Maga e questa gli suggerì che dovesse impegnar il principe a portargli dell’acqua del fonte dei Leoni.

Verso sera, nel mentre che il Sultano teneva l’ordinaria assemblea de’ suoi cortigiani, ove ritrovavasi pure il principe Ahmed, gli parlò ne’ seguenti termini:

— Figliuol mio – gli disse – già vi ho attestato quanto vi sia obbligato pel regalo del padiglione che procurato mi avete, e che considero come l’oggetto più prezioso del mio tesoro. Fa d’uopo che per mio amore un’altra cosa facciate, la quale non mi sarà meno grata. Ho saputo che la Fata vostra moglie si serve di una certa acqua del fonte dei Leoni, la quale risana da ogni specie di febbri, anche le più pericolose. Essendo io interamente persuaso che la mia salute vi è carissima, non dubito che non vogliate chiedergliene un vaso, e portarmelo come un gran rimedio del quale ad ogni momento posso averne bisogno.

Il giorno seguente il principe Ahmed, ritornato dalla fata Pari-Banou, le fece il racconto di quanto operato aveva, e di quanto era avvenuto alla Corte del Sultano suo padre allorché aveagli presentato il padiglione, che ricevuto lo aveva con gran sentimento di riconoscenza per lei; né tralasciò di palesarle la nuova richiesta che era incaricato di farle in suo nome, e terminando soggiunse:

— Mia principessa, questo ch’io vi espongo non è se non semplice racconto di quanto è avvenuto fra il Sultano mio padre e me. In quanto al rimanente, voi siete la padrona di soddisfarlo in ciò che egli brama o di ricusarglielo, senza che io vi prenda interesse alcuno, poiché io non voglio se non quello che voi vorrete.

— No, no – ripigliò la fata Pari-Banou – ho molto piacere che il Sultano dell’Indie sappia che voi indifferente non mi siete. Voglio contentarlo: e per quanti consigli la Maga suggerir gli possa (conoscendo io molto bene che queste richieste sono insinuazioni di colei), non troverà alla sprovvista né voi, né me. Grande iniquità si contiene in questa domanda, e voi lo comprenderete da quanto sono per dirvi. La fontana dei Leoni è collocata nel mezzo della corte di un gran Castello, il cui ingresso è custodito da quattro leoni dei più feroci, due de’ quali alternativamente stanno desti, nel mentre che gli altri due dormono: ma ciò per nulla vi spaventi; vi provvederò io con che passar per mezzo ad essi senza pericolo alcuno.

La fata Pari-Banou allora occupavasi a cucire, e, tenendo a lei vicini molti gomitoli, uno ne pigliò, e presentandolo al principe Ahmed:

— Primieramente, – ella disse – prendete questo gomitolo; dirovvi poscia l’uso che far ne dovrete. In secondo luogo, fatevi preparare due cavalli, uno sopra il quale salirete e l’altro che condurrete a mano, carico di due quarti di castrato, e quando sarete uscito dalla porta di ferro, gitterete davanti a voi il gomitolo: questo rotolerà, né cesserà di rotolare se non alla porta del castello. Seguitelo fin là, e quando si sarà fermato ed aperta la porta, vedrete i quattro leoni, due de’ quali stanno desti, co’ loro ruggiti risveglieranno gli altri due che dormiranno. Non vi spaventate, ma gettate ad ognuno di loro un quarto di castrato, senza por piede a terra. Ciò eseguito, senza perdita di tempo spronate il vostro cavallo, e con un corso veloce andate prestamente alla fontana, riempite il vostro vaso, senza pure discendere da cavallo, e ritornate colla stessa prestezza. I leoni occupati per anche a mangiare, vi lasceranno libera l’uscita.

Il principe Ahmed se ne partì nel giorno seguente in quell’ora appunto che la fata Pari-Banou avevagli indicata, e puntualmente eseguì quanto essa prescritto gli aveva. Giunse esso alla porta del castello, distribuì i quarti di castrato a’ quattro leoni, e dopo esser passato per mezzo ad essi con intrepidezza, penetrò fino alla fontana, prese l’acqua e ne riempì il vaso, ritornò, ed uscì dal castello sano e salvo come entrato vi era. Allontanato che per poco si fu, volgendosi addietro vide due leoni che a tutta lor lena gli correvano dietro; ed egli, senza intimorirsi, impugnò la sciabola e si pose sulla difesa; ma come osservò camminando che uno di essi erasi levato dal dritto cammino in qualche distanza, mostrando collo scuotere il capo e la coda che non veniva per cagionargli alcun male, ma per camminargli innanzi, e che l’altro restava addietro per accompagnarlo, ripose la sua sciabola nel fodero, ed in tal maniera proseguì il suo viaggio fino alla capitale dell’Indie, ov’entrò accompagnato da’ due leoni i quali non lo abbandonarono se non alla porta del Sultano. Essi ve lo lasciarono entrare; dopo di che ripigliarono la stessa strada per la quale erano venuti.

Molti ufficiali, i quali si presentarono per aiutare il principe a discendere da cavallo, l’accompagnarono fino all’appartamento del Sultano, ove egli trattenevasi co’ suoi favoriti. Colà avvicinossi al trono, depose il vaso a’ piè del Sultano, baciò il tappeto che ne copriva il pavimento, e rialzandosi:

— Sire – gli disse – questa è l’acqua salutare che la Maestà Vostra ha desiderato di porre nel numero delle cose preziose e curiose che arricchiscono e adornano il suo tesoro. Le auguro una salute sempre cotanto perfetta, che in verun tempo non abbia bisogno di farne uso.

Quando il principe ebbe terminato il suo complimento, il Sultano gli fece pigliar posto alla sua destra, ed allora:

— Figliuol mio – gli disse – vi professo un obbligo grande del vostro regalo, in quanto che conosco il pericolo al quale per amor mio vi siete esposto.

La Maga, al suo arrivo risparmiò al Sultano la pena di parlare di suo figlio, il principe Ahmed, e del successo del suo viaggio, essendone ella stata informata subito dal rumore che se n’era sparso; ed erasi già preparata al mezzo infallibile, a quanto esso pretendeva. Comunicato avendo questo mezzo al Sultano il giorno seguente all’assemblea de’ suoi cortigiani, il Sultano lo manifestò al principe Ahmed, che vi si trovava in questi termini:

— Figliuol mio – egli disse – non mi resta che un’altra sola preghiera a farvi, dopo la quale nulla ho da esigere dalla vostra obbedienza, né dal vostro credito presso la Fata vostra moglie. La preghiera consiste nel condurmi un uomo il quale non sia alto più di un piede e mezzo, con la barba lunga trenta piedi, che porti una barra di ferro di cinquecento libbre di peso della quale servasi a guisa di un bastone a due capi, e che sappia parlare.

Il giorno seguente, come il principe fu ritornato al regno sotterraneo di Pari-Banou, subito le partecipò la nuova richiesta del Sultano suo padre, ch’egli considerava, secondo lui, come una cosa che meno ancora credeva possibile delle due prime.

— Mio principe – ripigliò la Fata – non vi spaventate. Eravi gran rischio a correre per portar l’acqua della fontana dei Leoni al Sultano vostro padre, ma veruno ve n’è per ritrovare l’uomo ch’egli ricerca. Quest’uomo è mio fratello Schaibar. Egli è formato per l’appunto come il Sultano vostro padre l’ha descritto; né porta altre armi se non la barra di ferro di cinquecento libbre di peso, senza la quale giammai non cammina, e gli serve a farsi rispettare. Or ora lo farò venire, e voi stesso giudicherete se dico la verità; ma sopratutto preparatevi a non ispaventarvi della sua stravagante figura quando lo vedrete comparire.

La Fata fecesi portare sotto il vestibolo del suo palazzo un braciere d’oro pieno di fuoco ed un vasetto dello stesso metallo. Ella cavò dal vasetto un profumo che vi stava conservato, e gettato che l’ebbe nel braciere, se ne innalzò un denso fumo. Pochi momenti dopo questa cerimonia la Fata disse al principe Ahmed:

— Mio principe, questo è mio fratello che viene, lo vedete voi?

Il principe guardò, e vide Schaibar, il quale non era alto più di un piede e mezzo, e se ne veniva con molta gravità con la barra di ferro di cinquecento libbre sopra la spalla, e la barba molto folta lunga trenta piedi che sosteneva davanti, i mustacchi folti a proporzione e tirati fin sopra le orecchie da coprirgli quasi la faccia, gli occhi di porco conficcati nel capo, il quale era di una enorme grossezza e coperto con una berretta puntata. Oltre a ciò era gobbo davanti e di dietro.

— Fratel mio – ella disse – questi è mio marito, il suo nome è Ahmed, ed è figliuolo del Sultano dell’Indie. La ragione per la quale non vi ho invitato ai miei sponsali, è stata per non avervi voluto stornare dalla spedizione nella quale eravate impegnato, onde ho inteso con piacere che vittorioso ritornato siete; ed è a riguardo del mio sposo che mi sono presa la libertà di chiamarvi.

A queste parole Schaibar, guardando il principe Ahmed con occhio benigno, senza nulladimeno diminuire per poco né la sua fierezza, né la sua aria feroce:

— Sorella mia – egli disse – vi è qualche occasione nella quale prestare gli possa alcun servigio?

— Il Sultano suo padre – ripigliò Pari-Banou – nutre la curiosità di vedervi; pregovi dunque di compiacervi ch’egli sia il vostro conduttore.

— Egli non deve che insegnarmi la strada – ripigliò Schaibar.

— Fratel mio – replicò Pari-Banou – l’ora è troppo tarda per intraprendere oggi stesso questo viaggio; sì che voi vi contenterete a differirlo a domani mattina. Frattanto, essendo necessario che siate informato di quanto passa fra il Sultano delle Indie e il principe Ahmed dopo il nostro matrimonio, questa sera ve lo parteciperò.

Il giorno seguente Schaibar, informato di quanto era necessario che egli non ignorasse, partì di buon mattino accompagnato dal principe Ahmed, il quale lo doveva presentare al Sultano.

Il principe e Schaibar s’inoltrarono senza ostacolo fino alla sala del Consiglio, ove il Sultano, assiso sopra il suo trono, dava udienza.

Schaibar col capo alto si accostò fieramente al trono, e senza aspettare che il principe Ahmed lo presentasse, interrogò egli stesso il Sultano dell’Indie in questi termini:

— Tu ricercato mi hai? Eccomi qui, che vuoi da me?

Il Sultano, invece di rispondere, si era poste le mani innanzi agli occhi, e stornavali, per non vedere un oggetto cotanto spaventevole.

Schaibar, sdegnato da questa incivile ed offensiva accoglienza, dopo averlo incomodato a venire, alzò la barra di ferro dicendogli:

— Parla, dunque.

E com’ebbe detto ciò, scaricategliela sopra il capo, l’accoppò; e ciò avvenne con tanta celerità che il principe Ahmed non poté nemmeno pensare a chiedergli grazia.

Quanto far poté si fu d’impedire che non accoppasse il gran Visir, il quale non era lontano dalla destra del Sultano rappresentandogli ch’egli non aveva se non a lodarsi dei buoni consigli che aveva suggeriti al Sultano.

— Questi adunque sono quelli – disse Schaibar – che suggeriti gliene hanno dei pessimi?

E non appena ebbe pronunciate queste parole accoppò gli altri Visir a destra ed a sinistra, tutti favoriti adulatori del Sultano, e nemici del principe Ahmed.

Terminata questa terribile esecuzione, Schaibar uscì dalla sala del Consiglio, e nel mezzo della corte, postasi sopra la spalla la barra di ferro, guardando il gran Visir, il quale accompagnava il principe Ahmed, al quale era debitore della vita:

— Io so – egli disse – che qui vi è una certa Maga più nemica del principe mio cognato di quello che lo fossero gl’indegni favoriti che poco fa ho castigati; voglio che mi si conduca questa Maga.

Il gran Visir mandò a rintracciarla, e come gli fu condotta. Schaibar accoppandola colla sua barra di ferro:

— Impara – disse – a suggerire consigli perniciosi, ed a fingere di essere inferma.

E ciò detto lasciò la Maga morta nello stesso luogo.

— Ma questo non è tutto – soggiunse Schaibar – voglio pure accoppare tutte le persone della città, se in questo momento non riconoscono il principe Ahmed per Sultano delle Indie.

Subito quelli che erano presenti, e che udirono questa minaccia, echeggiar fecero l’aria gridando ad alta voce:

— Viva il Sultano Ahmed!…

E in pochi momenti la città tutta echeggiò della stessa acclamazione e proclamazione nel tempo medesimo.

Schaibar rivestir lo fece dell’abito di Sultano delle Indie, lo stabilì sul trono e dopo avergli fatto prestar l’omaggio e il giuramento di fedeltà ch’eragli dovuto, andò a pigliare sua sorella Pari-Banou, la condusse in gran pompa, facendola riconoscere per Sultana delle Indie.

Per quanto riguarda il principe Alì e la principessa Nouronnihar, siccome non avevano avuto alcuna parte nella cospirazione contro il principe Ahmed, il quale n’era già stato vendicato e siccome non ne avevano nemmeno avuta cognizione alcuna, così il principe Ahmed assegnò loro per appannaggio una provincia delle più considerevoli colla sua capitale, ove quelli andarono a passare il rimanente de’ loro giorni.

Spedì egli pure un ufficiale al principe Hussain, suo fratello maggiore, per avvisarlo della mutazione avvenuta, e per offrirgli di scegliere in tutto il Regno quella provincia che più gli piacesse per goderne la proprietà.

Ma il principe Hussain, tanto riputavasi felice nella sua solitudine, che fece ringraziare distintamente in suo nome il Sultano suo cadetto della gentilezza che aveva voluto esercitare con lui, assicurandolo della sua sottomissione, e protestandogli che la sola grazia che esso gli chiedeva, era di permettere che potesse continuare a vivere nel ritiro che scelto si aveva.


Conclusione

Scheherazade avendo terminate le sue Novelle e non avendone altre da cominciare si prostrò innanzi al Sultano delle Indie, dicendogli:

— Potente re del mondo, per lo spazio di mille e una notti la tua schiava t’ha raccontato delle piacevoli e dilettevole storie. Sei tu soddisfatto, o persisti ancora nella tua antica risoluzione?

— È pur poco – rispose il Sultano – che ti mozzi il capo, poiché i tuoi ultimi racconti mi hanno mortalmente annoiato!

Scheherazade fece allora un segno alla nutrice, e costei entrò con tre fanciulli, di cui il sultano aveva resa madre la figliuola del Visir, nel corso delle mille e una notti, per quanto erano durate le novelle.

L’uno dei fanciulli camminava solo, il secondo si sosteneva mercé l’aiuto di staffe di panno, il terzo era tuttavia allattato dalla nutrice.

La Sultana presentò quei fanciulli al suo sposo, e nuovamente si prostrò innanzi a lui, dicendo:

— Gran principe, ecco i tuoi figliuoli: per amor loro e non pe’ miei racconti, io ti supplico di farmi grazia! Se tu li privi della loro madre, quale sarà il loro destino?

E nel dir ciò strinse i suoi figliuoli al seno versando un torrente di lagrime.

Il Sultano vivamente commosso, abbracciò i suoi figliuoli, e disse:

— Io ti perdono per amore di questi fanciulli, poiché vedo che tu hai per essi un cuore di madre! Io ti faccio grazia, e Dio m’è testimonio.

Scheherazade rapita dalla gioia, si prostrò innanzi al suo sposo, dicendo:

— Che l’Altissimo prolunghi la durata della tua vita, e ti conceda una potenza ed una felicità senza limiti!

Questa fausta notizia fu tosto diffusa nel palazzo, ove produsse un’universale allegrezza.

L’indomani il Sultano convocò il consiglio e rivestì d’una veste d’onore il Visir, padre di Scheherazade, dicendogli:

— Che il cielo ti ricompensi del servigio da te reso all’impero, del pari che a me, arrestando il corso delle mie crudeli risoluzioni contro le figliuole de’ miei sudditi. La tua figliuola, che m’ha fatto padre di tre figli è la mia prediletta sposa!

Il Sultano dette ordine perché la città fosse illuminata e perché si facessero pubbliche feste, le quali durarono trenta giorni, nel cui corso si fecero nel palazzo splendidi banchetti a cui ciascuno era ammesso.

Il Sultano colmò quindi i suoi cortigiani di ricchi doni, e fece distribuire ai poveri grandi somme per elemosine e il suo regno, lungo e prospero, non fu poi turbato da niun sciagurato evento.

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TITOLO: Storia del principe Ahmed e della fata Pari-Banou

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Le mille e una notte : novelle arabe. - Milano : Bietti, [1934]. - 541 p. : ill. ; 19 cm.

SOGGETTO:
FICTION PER RAGAZZI / Fantasy e Magia
FICTION PER RAGAZZI / Leggende, Miti, Fiabe / Generale