Il secondo volume della Letteratura della nuova Italia si apre con quattro capitoli incentrati sull’opera di Carducci e termina con una lunga appendice nuovamente dedicata – tramite ben nove brevi saggi – ancora alla poetica carducciana. Nella prima parte, pur mostrando un certo apprezzamento per il saggio e l’opera di Thovez imperniata sulla critica a Carducci, Il pastore il gregge e la zampogna (saggio che può essere letto anche in questa biblioteca Manuzio), ne sottolinea in realtà quelli che vede come limiti ed errori; gli elementi che Thovez interpreta come sintomi di contraddittorietà, Croce li considera invece riconducibili a una unità di ispirazione, persino affiancando il patriottismo risorgimentale di Carducci al sostegno alla guerra contro greci e turchi.
Nel quarto capitolo, dedicato al Carducci pensatore e critico, lo tratta come uno sprovveduto sotto l’aspetto filosofico e, dal punto di vista critico, gli riconosce un buon gusto di fondo ma deficitario di “dottrina estetica e filosofia dell’arte”.
Più specifici invece i brevi saggi che compongono l’appendice, che prendono in considerazione singoli componimenti – si parte col notissimo Inno a Satana – o tematiche poetiche presenti in Carducci, come ad esempio la “poesia d’amore” carducciana.
Per Croce l’arte è sempre conoscenza intuitiva o, ancor più semplicemente “intuizione”; non manca occasione quindi per sottolinearne il carattere ideale, aconcettuale e individuale, visto in contrapposizione alle dottrine fisiche, edonistiche, moralistiche e concettualistiche. Questo consente a Croce, in questo gruppo di saggi di critica letteraria come altrove, di negare valore di arte ogniqualvolta intraveda nella motivazione del poeta uno slancio che sia in contrasto con l’ideologia che lui condivide.
Si comprende quindi che né Rapisardi né Ada Negri possano, con le loro poesie di sdegnosa protesta o di denuncia delle misere condizioni di vita dei più deboli, collocarsi nell’ambito di ciò che per la sua visione estetica possa essere considerata poesia. Infatti non è mai l’idea ma il “sentimento” o “stato d’animo” a conferire coerenza ed unità all’intuizione artistica, unica e sola strada che possa rendere l’arte “vera arte”. Dall’alto della sua ormai consolidata autorevolezza Croce può infierire su Rapisardi reo di una invettiva contro i critici – pare proprio che si sia sentito coinvolto… – e dall’altra parte giudicare severamente Arturo Graf addebitando alla permalosità certe sue prese di posizione: «non c’è astio piú chiuso, piú feroce e implacabile di quello del pretendente poeta non laudato». Ma viene da pensare che anche l’astio del critico «non laudato» non sia meno solido e duraturo.
Alcune considerazioni sui limiti della poesia femminile paiono oggi un poco preconcette, anche se si deve ammettere che i saggi su Annie Vivanti, Contessa Lara e Vittoria Aganoor paiono attenti e obiettivi e non tralasciano di mettere in luce i valori letterari che ancora oggi queste scrittrici possono impersonare. Anche il saggio su Ada Negri, pur se troppo filtrato dall’ottica talvolta deformante della filosofia estetica che Croce non attenua mai neppure per mezza riga dei suoi scritti, presenta elementi di apprezzamento che sono certamente utili per conoscere questa importante scrittrice.
Abbiamo poi saggi su autori di teatro come Cossa e Giacosa, i poeti Marradi e Cavallotti – per il quale la mannaia crociana verso la sua posizione ideologica cala senza pietà – e per altri oggi meno conosciuti come Riccardi di Lantosca, Ricci Signorini, Alinda Bonacci. Il saggio su Pascarella, di grande interesse per conoscere l’idea di Croce sulla poesia dialettale, è nuovamente spunto per sottolineare i limiti “estetici” del Carducci che per Pascarella spese parole di grande lode. E Croce sottolinea prontamente «quella impressionabilità vivissima che provava il Carducci per gli uomini e i fatti della patria, delle rivoluzioni e delle guerre italiane, e che lo portava talora ad ammirare come belle cose brutte che facessero vibrare in lui le corde di quei sentimenti». In conclusione Croce interpreta il suo ruolo di critico letterario come verifica dell’esistenza o meno dell’intuizione come parametro unico e discriminante esclusivo per separare l’arte dalla non-arte.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del primo saggio Carduccianismo postumo:
Alla poesia del Carducci non mancarono, quando cominciò a venire in fama, molti e diversi avversari. E senza parlare di coloro che contrastavano questo o quel pensiero dell’autore e censuravano questa o quella delle sue opere (e ai quali il Carducci stesso rispose, fors’anche con troppa veemenza e non sempre con provata necessità, nelle sue «confessioni e battaglie»), gli avversarî, che si potrebbero dire sistematici, furono di due sorte: gli uni piú propriamente letterarî, che rifiutavano quella poesia perché oscura e artifiziosa, perché troppo sbrigliata e non rifuggente da trivialità, perché si ostinava a rinserrarsi nello schema metrico insueto delle odi barbare; gli altri, spiriti religiosi o politici, che aborrivano nel Carducci il cantore di Satana, il propugnatore dell’ideale repubblicano, l’insultatore del partito che aveva dato compimento all’unità e condotto l’Italia a Roma.
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