Questo romanzo del Bersezio del 1881, sullo sfondo storico del Ducato di Parma di metà ottocento, è la storia romanzata della congiura e dell’assassinio del Duca Carlo III di Borbone, avvenuta nel 1854.
Questo governante, penultimo nella storia di questo piccolo stato preunitario, si era contraddistinto in negativo, sia per i suoi comportamenti irrazionali e violenti che per certe decisioni che avevano portato il ducato al collasso economico, fino a farsi odiare da gran parte della popolazione dello Stato. Già quando era a Torino in forza all’esercito sabaudo – era nipote del re Vittorio Emanuele I – aveva assunto comportamenti scapestrati, tali da suscitare sconcerto nella stessa austera casata sabauda. Probabilmente ciò era anche dovuto all’educazione avuta dai due genitori, il padre di carattere debole e inconcludente e la madre estremamente religiosa, nonché dall’ambiente di corte caratterizzato dalla presenza di avventurieri e di persone di fama dubbia. Nel 1849, diventato duca regnante di Parma, dopo l’abdicazione del padre Carlo II, i suoi comportamenti strani continuarono. Pur essendo decisamente contrario alla pena di morte, reintrodusse la pena del bastone (pur essendo stato un regime autoritario, secondo alcuni non era così reazionario come i suoi omologhi della Toscana e di Modena). Non pochi sudditi parmensi furono bastonati in pubblico. Egli era solito picchiare col suo bastone da passeggio chi, a suo giudizio, fosse irriverente con lui. Ciò provocò diffusi malumori e provocò la congiura che mise fine alla sua vita. Egli sopportò con grande forza la dolorosa agonia dopo l’aggressione, tale da impressionare anche i suoi detrattori.
Le vere cause ed i reali mandanti del complotto e dell’aggressione non furono mai chiarite o volute chiarire. In verità sembra fosse inviso a certe categorie di sudditi per certe decisioni a loro sfavore. Non gli perdonavano che avesse preso decisioni a favore dei sudditi più poveri, in particolare i contadini che egli riteneva più fedeli. Inoltre non vedeva di buon occhio il potere austriaco, palesato già prima ancora di diventare duca di Parma.
Forse le ragioni profonde vanno cercate anche nelle cancellerie europee dell’epoca, alla vigilia di fatti che avranno un impatto molto grave su tutta l’Europa, i cui effetti non sono ancora ad oggi del tutto sopiti.
Sinossi a cura di Giuseppe Piero Perduca
Dall’incipit del libro:
La stagione carnevalesca al ducale teatro di Parma nell’inverno dall’anno 1853 all’anno 1854 era, come s’usa dire, brillantissima. Quell’odioso tirannello che fu Carlo III di Borbone credeva che potesse conferire a dare alla sua persona di piccolo principe alcuna maggior grandezza, al suo governo degno del pazzo Eliogabalo alcuna luce di splendido fasto, l’avere nel ricco teatro un sontuoso spettacolo d’opera e di ballo, con artisti di prim’ordine, con apparati scenici di costosa eleganza. A ristaurare il teatro e farlo più sfarzoso di ornamenti che qualunque altro, il bravo duca aveva speso oltre a un mezzo milione di lire; e ogni anno una vistosa somma era profusa a procurare su quelle scene spettacoli meravigliosi. È vero che tutti i denari occorrenti a siffatte spese venivano tolti con poco o nessun garbo dalla borsa dei sudditi; ma il principe trovava ciò naturalissimo, piacevole, affatto d’accordo colla sua profonda convinzione che il popolo, così felice da essere affidato al suo reggimento, fosse stato creato apposta per soddisfare in ogni modo i gusti, le passioni, i capricci, le avidità, le curiosità del principe.
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