Scrive Furio Jesi:

«Quando un germanista pensa ad un autore che cancellò le tracce dietro di sé, gli si presenta anzitutto il nome di Rilke. Certo, con un apparato di sistematica eliminazione degli indizi, maturato e affinato per anni, Rilke è riuscito a lasciarci di sé un’immagine che ci sfugge proprio quando risulta patentemente mistificatrice».

Forse nessuno come Jesi, partito dall’affinamento degli strumenti della filologia e dell’antropologia per orientare poi i suoi studi dall’antico e preistorico verso la letteratura moderna e contemporanea mettendone in luce le interazioni reciproche, ha potuto mettere a punto gli strumenti migliori che gli sono serviti per parlare di Rilke proponendo un “modello di lettura sugli archetipi narrativi”. E ancora credo che nessuno come Jesi sia stato capace di inserire la poetica rilkiana in un quadro filosofico complessivo mettendola in relazione con una teoria del mito, della memoria culturale, della filosofia della scrittura.

Le scelte che Errante fa in questa sua scelta antologica, molto ampia ed esaustiva, dell’opera poetica di Rilke, direi che confermano il percorso individuato da Jesi. Veniamo condotti quindi dalle poesie giovanili delle Erste Gedichte, alla maturità delle Neue Gedichte fino alle Duineser Elegien e Die Sonette an Orpheus. In questo percorso vediamo il poeta «maturare come l’albero che non incalza i suoi succhi» e conoscere le sue origini consente di «trasformare in un unico punto l’epifania dell’ignoto altrimenti scissa in nascita e morte». Probabilmente il vertice di questa riflessione la possiamo identificare nel Ciclo duinese e nei Sonetti a Orfeo nei quali Rilke coniuga, pur se con linguaggio immaginifico, alcuni dei più rilevanti elementi della storia filosofica e culturale in particolare mettendo a nudo la crisi nella quale si dibatte la tradizione filosofica borghese.

Le elegie Duinesi consentono a Rilke di uscire da un periodo di aridità di ispirazione e vengono iniziate nel 1912 a Duino. Gli anni della prima guerra mondiale segnano una “ricaduta” nella sterilità produttiva e il ciclo viene ripreso e perfezionato durante il soggiorno di Rilke a Munoz nel Vallese nel 1922. Furono pubblicate a Parigi nel 1923. Le dieci elegie che compongono la raccolta si collocano in un periodo nel quale il poeta era già oggetto di una sorta di culto; certamente il periodo di smarrimento che seguì alla pubblicazione e che caratterizzò la fase storica tra le due guerre mondiali fu fertile sia per l’influenza delle sue suggestioni contenutistiche che per motivi più strettamente letterari inerenti ad esempio agli elementi di innovazione linguistica. Per queste ragioni è forse questa la raccolta poetica che si fa veicolo dell’enorme influenza postuma dell’ultimo Rilke. Si può dire che non sia un caso che abbia suscitato grande attenzione in Heidegger, che in quanto attento conoscitore del pensiero europeo e della sua evoluzione, non tardò a scorgervi l’influsso della denuncia nietzschiana della morte di dio. Attraverso le dieci elegie duinesi si parte quindi dall’indagare sui limiti umani, mettendo in rapporto l’uomo all’angelo, che portano l’uomo stesso a una dispersione di sé e alla perdita della purezza del sentire. Si passa quindi al passaggio dal massimo di artificio al massimo di autenticità. L’epoca della tecnica ci appare informe. L’Angelo, sebbene invocato è anche respinto. Con l’ultima elegia, una volta toccata la fonte della gioia si giunge al silenzio dell’indistinzione perfetta. La caduta si contrappone, sia pure astrattamente, al movimento in ascesa che fa da filo conduttore delle elegie, e diventa il vero simbolo di morte e felicità.

Nello stesso anno, il 1922, sempre a Munoz e mentre stava per portare a termine le Elegie Duinesi, Rilke compone i Sonetti a Orfeo. Alla fine dell’anno precedente l’autore aveva ricevuto dall’amica Getrud Ouckama Knoop un diario nel quale descriveva il decorso della malattia della figlia di lei Wera, giovane danzatrice che il poeta conosceva e ammirava. Il male che l’aveva colpita l’aveva dapprima immobilizzata e poi uccisa. I sonetti sono l’espressione della vibrante commozione che questa vicenda suscitò nel poeta. Furono pubblicati nel 1923 a Lipsia. Le composizioni sono caratterizzate da versi brevi e intensi, frutto di eloquio essenziale e concentrato e appaiono quasi complementari alle precedenti Elegie duinesi che presentavano invece un ampio e dilatato respiro. La raccolta si compone di due parti rispettivamente di 24 e 29 sonetti. Nella prima parte troneggia la figura mitologica di Orfeo, che consente al poeta di intessere una fitta trama simbolica, peraltro tipica del suo ermetismo. Viene introdotto il tema del Doppelbereich, cioè il duplice regno dei vivi e dei morti nel quale la poesia raggiunge la propria pienezza. Attraverso poi il superamento del dolore soggettivo, che consente di instaurare un rapporto di umile complementarietà con tutti gli esseri possiamo sottrarci al disumano dominio delle macchine e giungere a un rapporto equilibrato con le cose. Il “respiro”, inteso come scambio armonico tra interiore ed esteriore simboleggia l’incessante divenire. Questo percorso è idealmente e simbolicamente percorso sulle orme di Wera-Euridice seguendo il tracciato dell’orfica discesa.

Mentre Errante presenta complete le Elegie Duinesi, per i Sonetti di Orfeo, opera invece una scelta. Così anche per le importanti raccolte precedenti, nelle quali è facile ritrovare in embrione la continuità delle tematiche che abbiamo indicato a proposito dei suoi due ultimi lavori. Il Libro delle immagini venne pubblicato in prima edizione a Berlino nel 1902, e comprendeva 47 poesie composte tra il 1898 e il 1901. La seconda edizione, pubblicata nel 1906, fu arricchita con altre 43 poesie composte fra il 1902 e il 1906. Errante ne traduce una trentina, sufficienti però per percepire i sentimenti di sconcertante esclusione nati fin dall’infanzia, l’emozione intrisa di solitudine. Se nelle poesie giovanili, comprese nella prima parte di questa raccolta, ravvisiamo una miscellanea improntata a descrizioni di cose e immagini attraverso le quali si ravvisa il Rilke crepuscolare e intimista, è facile trovare invece in queste poesie del Libro delle immagini, il senso plastico e il gusto figurativo che anticipa la grande poesia rilkiana che abbiamo brevemente esaminato sopra. Giusto ricordare, in questa raccolta, le poesie dedicate agli “ultimi” cioè i più sfortunati e i maggiormente colpiti da disgrazia e dolore. Nella scelta di Errante queste poesie (tra le quali ci sono quelle dedicate al suicida, all’idiota, al lebbroso, all’alcolizzato) sono rappresentate da La Cieca, che in un certo qual modo le compendia tutte, offrendo anche la possibile via d’uscita dal dolore attraverso una più interiore, ma non meno efficace, capacità di visione. Nella scelta operata da Errante La Cieca segue la tenebrosa serie di brevi poesie In una notte di bufera.

Il Libro d’ore (Das Stundenbuch) è formato da tre raccolte e di tutte e tre Errante fornisce una scelta abbondante ed efficace. La prima – Il libro della vita claustrale – venne composta nel 1899 durante il periodo che Rilke trascorse accanto a Lou Andreas-Salomé a Berlino-Schmargendord, di ritorno da un viaggio in Italia e in Russia; la seconda – Il libro del pellegrinaggio – fu scritto nel 1901 a Westerwede, vicino Brema, residenza che seguì un secondo viaggio in Russia; la terza – Il libro della povertà e della morte – fu scritto a Viareggio nel 1903. Possiamo definire il complesso di questo lavoro come il raggiungimento della maturità artistica da parte di Rilke. La ricerca di dio si identifica mirabilmente, anche se talvolta ambiguamente, con i vari e sfuggenti aspetti della vita e del mondo. Sotto forma quasi di preghiere e meditazioni religiose troviamo quindi l’amore per gli aspetti tangibili delle cose, amore mediato da metafore che si susseguono incalzanti e da un discorso poetico particolarmente ricco di immagini. Attraverso la celebrazione delle cose terrene si giunge alla “costruzione” di un dio che appare quanto mai opera dell’uomo. Il poeta cerca quindi la sintesi tra una religiosità contemplativa ed eremitica, che caratterizza il primo libro, e la spinta alla fratellanza che viene percepita come caratteristica della religiosità russa (secondo libro); ma nel terzo libro prevale invece la ripulsa per lo squallore e la miseria morale delle grandi città moderne, dove si celebra la velocità e un “progresso” che appare invece come squallida “traccia di lumaca”.

Se nelle opere giovanili le intuizioni che saranno poi caratteristiche della sua poetica appaiono ancora confuse, già nelle Prime poesie (Frühe Gedichte) che sono del 1899, le linee musicali e artistiche divengono limpide e l’intelaiatura dei versi porta in quell’atmosfera di ambiguo sogno che permette di rivolgerci verso “l’anima” delle cose. Questo avviene poi compiutamente sia con Il libro delle immagini, slancio assoluto verso la creazione, che con l’attrazione verso il misticismo di Il libro d’ore. I Neue Gedichte (Nuove Poesie) – composte nel 1907 – sono invece dedicate a Rodin, e forse per questo la evanescente musicalità delle raccolte precedenti prende ora una forma plastica, quasi attraverso un culto della forma che risente certamente del contatto con l’arte dello scultore. Sono ben 172 liriche, tra le quali probabilmente la più famosa è La fontana di Roma.

Das Marienleben (La vita di Maria) è composta da 13 quadri, qui tradotti integralmente, scritti a Duino nel 1913 in pratica durante il periodo di crisi di ispirazione del poeta.

Un cenno merita anche la celebre Romanza dell’Alfiere (tradotta svariate volte in italiano e qui con il titolo La ballata sull’amore e sulla morte dell’alfiere Cristoforo Rilke.) L’autore dice, in una sua lettera, di averla composta in una sola notte d’autunno. Scritta nel 1904 fu un immediato e inaspettato successo e a lungo fu in pratica l’opera alla quale si ascriveva la fama poetica dell’autore, specialmente all’estero. In ogni caso si tratta di un piccolo classico che prende origine da una notizia di cronaca relativa a un presunto antenato del poeta, morto in battaglia contro i turchi quando aveva solo 18 anni. Consta di 27 momenti lirici attraverso i quali è scandita la vicenda di gloria amore e morte del giovane Cristoforo.

Le ultime poesie hanno indotto alcuni critici e filosofi – penso a Cacciari ad esempio – ad accostare Rilke filosoficamente, al pensiero negativo postnietzschiano. Ma, come abbiamo visto in apertura di questa breve presentazione del presente e-book, la lettura esistenzialistica dell’opera di Rilke prende le mosse da Heidegger ed oggi le indagini filosofiche miranti a indagare sul rapporto del poeta con con Nietzsche e con Husserl si fanno più convincenti e tali da superare con decisione la critica rilkiana piuttosto agiografica e limitatamente letteraria fino agli anni ’50 dello scorso secolo. Chi volesse approfondire queste tematiche credo che possa rivolgersi alla lettura di quanto Furio Jesi scrisse (e tradusse, con risultati forse mai raggiunti da altri in precedenza) in merito a questo grande poeta e scrittore.

Nonostante la traduzione di Vincenzo Errante sia oggi affiancata da altre e non certo meno efficaci traduzioni, voglio qui riportare quello che ha scritto Paola Maria Filippi nel suo saggio Die Weise von Liebe und Tod e la ricezione di Vincenzo Errante; il quale Errante, per rendere accessibile al pubblico italiano l’opera di Rilke, ha avuto un ruolo pionieristico, ma non per questo meno efficace e corretto, benché spesso la critica accademica abbia accusato Errante di «interpretazione fuorviante». Ecco quanto scrive Filippi:

«Il tradurre, per Vincenzo Errante, lungi dall’essere un’attività ancillare e di secondaria importanza rispetto all’impegno critico, si pone come il vertice di ogni esperienza estetica di autori stranieri assunti in quella poliedricità di aspetti che rendono lo studio della letteratura un approccio totalizzante per affrontare e comprendere una dimensione culturale “altra”, diversa, talvolta antipodale, ma non per questo inattingibile. La traduzione, o meglio il particolare genere di traduzione cui Errante plaude e che pratica con profonda consapevolezza, non è semplicemente un mezzo per meglio avvicinarsi ad autori, opere ovvero mondi che si esprimono in altri sistemi linguistici. La traduzione d’arte teorizzata, praticata, insegnata da Errante è il fine ultimo di un intenso e complesso percorso di studio e approfondimento che riconosce il suo apice proprio nel riversare in italiano quanto si è “appreso” nell’estraneità di lingue e culture diverse.»

Sempre Filippi dice:

«Errante del poeta praghese tradusse moltissime opere. Le tradusse e le rielaborò incessantemente in una sorta di implacabile, inesausta tensione ri-creativa suffragata da un diuturno labor limae linguistico attraverso il quale intendeva concretare la propria personale concezione dell’autore.»

Queste traduzioni sono precedute dalla prefazione di Errante; potremo tuttavia presto pubblicare in questa stessa biblioteca Manuzio l’importante ed esaustiva opera critica dello stesso Errante Rilke:Storia di un’anima e di una poesia.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

La prima lirica Regalità di poeta:

Compostamente, sopporta la vita!
Rimpicciolisce i meschini soltanto
Se i mendicanti ti chiaman fratello,
t’è dato egualmente di essere un Re.

Se della fronte il silenzio divino
non ti recinge corona di gemme,
al tuo passaggio s’inchinano i bimbi,
i cuori sognanti si estasiano in te.

Tessono i Giorni col fulgido sole
il tuo mantello di porpora e neve.
Con nelle mani la gioia e il dolore,
le Notti, adorando, si prostrano a te.

Scarica gratis: Liriche di Rainer Maria Rilke.